mercoledì 29 agosto 2012

Indarno da Tempo
Forza e coraggio



Il bambino vizioso
Che gioca a videopoker
Sorseggiando sfizioso
Qualche gas zuccherato

Appartiene al passato
Di un mondo illetterato
Refrattario alle tasse
E quasi non bastasse

Poco sportivo. Adesso
Diete ed allenamenti
Gli riempiranno i giorni

Forse un poco più tetri
Per diventar campione
Sui cinquecento metri.

(29 agosto 2012)

Nota. Questo sonetto non contiene alcun riferimento,  se non casuale, a vicende contemporanee. Esso si ispira alla storia di un tale che scopre che sua moglie e il suo socio fanno l’amore sul divano del suo ufficio. Che fare? Divorziare gli spiaceva, perché in fondo, distrazioni a parte, era tutto sommato una buona moglie. Il socio era fuori causa perché era lui che ci metteva i soldi. E allora? Vendette il divano. (I.d.T.)



martedì 28 agosto 2012

Francesca Diano
Dante Maffìa
o del participio presente



Nel leggere l’Opera di Maffìa, volendo avere una visione d’insieme e iniziando dal principio, si prova innanzitutto sgomento.  E però è uno sgomento felice, perché  ci si affonda immediatamente come in uno di quei piumoni soffici e rigonfi che a premerli con la mano le si gonfiano subito tutt’attorno in uno sbuffo e la mano non la vedi più. Poi però t’accorgi che quella morbidezza in realtà ha dell’inquietante, perché ricorda vagamente le sabbie mobili. Il fatto è che te ne risenti risucchiato e trattenuto.

Roberto Bugliani
Da "Versi scortesi" (inediti)


Nel circondario

Il capitalismo della crescita è morto. Il socialismo della crescita, che gli assomiglia come un fratello, ci riflette l’immagine deformata non già del nostro avvenire, bensì del nostro passato. Il marxismo, sebbene continui a essere insostituibile come strumento d’analisi, ha perso il suo valore profetico.
Lo sviluppo delle forze produttive, grazie al quale la classe operaia avrebbe dovuto spezzare le sue catene e instaurare la libertà universale, ha spossessato i lavoratori delle loro ultime parcelle di sovranità, radicalizzato la divisione tra lavoro manuale e intellettuale, distrutto le basi materiali di un potere dei produttori.
La crescita economica, che doveva assicurare l’abbondanza e il benessere a tutti, ha fatto crescere i bisogni più in fretta di quanto potesse soddisfarli, ed è sfociata in un insieme di impasses che non sono soltanto economiche: il capitalismo della crescita è in crisi non solo perché è capitalismo, ma anche perché è della crescita.
Michel Bosquet (André Gorz), Ecologia e libertà (1977).

l’atlante, quando l’impero
ridisegna a proprio profitto le mappe
il conus marmoreus, ma senza la curiosità
dei marines sulle spiagge del pacifico
le gazze, se zampettano intruse
sulla ciottolaia dell’alba incappucciata di rugiada
l’assordante silenzio, che accompagna
il fumigare denso e nero di macerie

mercoledì 22 agosto 2012

Ennio Abate
Appunti sul nodo
Franco Fortini/Milo De Angelis
su Poesia 2.0



Vorrei riprendere su questo nostro blog ( in più spirabil aere spero) la questione che Giorgio Linguglossa ha sollevato sul Poesia 2.0 (qui). Per approfondirla e diradare l’offuscamento ideologico abbondante tra i  commenti letti. Un certo  mio dissenso si rivolge anche a Giorgio, ma so di potermelo permettere. Del resto egli ed altri/e sanno che possono permetterselo con me. Vediamo se ci si intende di più …Mi scuso se negli appunti ci sono refusi e qualche incongruenza, ma ci tengo a pubblicarlo subito. [E.A.]

1.
Ha avuto coraggio Giorgio Linguaglossa a sollevare il nodo  in questione.
E specie in questo momento, in cui Milo De Angelis è presentato come “il più grande poeta vivente italiano” e a Fortini viene negato persino un Meridiano della sua poesia, concesso invece a molti altri.. (Cfr.qui)

2.
È un grande nodo generazionale ( tra un “padre del ‘68” e quei “Fratelli amorevoli” che ebbero prima a che fare col ’68, poi col il “ritorno al privato” e alla “parola innamorata”), politico e di storia della poesia, che andrebbe indagato al di là dell’aneddotica apologetica che vorrebbe Fortini mentore del giovane De Angelis e poi  maestro superato dall’allievo più giovane e geniale (quasi un ricalco del rapporto tra il giovane Nietzsche e il suo maestro filologo evocato da Fortini in uno scritto di Insistenze…). Ma sollevarlo oggi  in un post, presto invaso da fans più o meno agguerriti di De Angelis, è stato controproducente  e insoddisfacente - credo - per lo stesso proponente. Perché la  sua proposta critica  e ben presto stata affondata e deviata in una sterile diatriba tra fans di De Angelis (molti) e qualche obiettore.

domenica 19 agosto 2012

Rita Simonitto
Prosa, poesia ed altro...


Riprendo il commento di Rita Simonitto (da qui) con quattro sue poesie di accompagnamento e di provocazione alla discussione tra i membri della "scialuppa" dei moltinpoesia. Mi pare un modo di favorire il dialogo già intenso tra alcuni dei commentatori di questo blog. [E.A.]

*… di qualcosa si dovrà pur morire, prima o poi, ed è impensabile che si possa fare affidamento sul suicidio dei poeti*. Così dice Mayoor.
Mi ha fatto venire in mente un commento che, al liceo, ci fece il ns. Prof. di Filosofia, quando ci introdusse allo studio della stessa:
“la filosofia è quella disciplina con la quale e senza la quale, il mondo resta tale e quale”.  Lui sapeva bene che non era così (ce l’aveva più con i filosofi parolai che con la filosofia), ma per noi fu un duro colpo (o, almeno per me, lo fu) circa la messa  in moto di spinte idealizzanti sui cambiamento del mondo che, in realtà, ben poco avevano a che fare con lo studio della filosofia. E così è anche per la poesia: se d’un colpo sparissero i poeti, non sparirebbe certo la poesia e la funzione importante che essa ha nel metterci in contatto con il reale.

Lucio Mayoor Tosi
Stasera cucino io




Stasera cucino io. 

Orchestre di ziti africani
su carne umana in povertà tra fontanelle di diamanti
e iniziali d'oro massiccio per sandali posati 
su criniere di leoni acconciate da stilisti italiani
vaporizzate da liquidi anteguerra
ottenuti pazientemente da uve ex contadine.
E frullato di contratti ghiacciati per sempre
di gusto extraterrestre. Dopodiché non si muore più 
e che facciamo? Chi va a prendere lo yacht?
Chi si unisce per un safari in gondola nel deserto?

martedì 14 agosto 2012

Anonimo per prova
Dattilografica torre


questo chicchirichì
di gallo ch'io
distinguo/fioco/fra 
fruscii meccanici di
motori/e questo so-
gno /due fratelli in
cammino sul ciglio
di un burrone/uno che
procede spedito/ed
è subito in basso/al
sicuro,/l'altro inve-
ce barcollante/sul
viscido manto d'erba/
s'aggrappa ad un uli-
vo contorto o altro
albero storto/pian-
tato proprio là/sul-
l'estremo ciglio/
e guarda/l’abisso 
che  così facilmente
(pensa) quasi tutti
normalmente discendo-
no/ e guarda vicinis-
sime/ le sue mani in-
debolite mollare la
presa/ sono momenti
che potrei lasciar per-
dere/ o prendere ap-
pena sul serio/ spun-
ti per una poesia (che
ormai é cosa fatta!)/
e d'una particolare
presentazione gra-
fica/ d'uno scritto-
re impietrito sulla
sua olivetti studio
44/ che, voi lettori
avrete adocchiato già
prima di leggere/-
costruttore di questo
 muro di parole-mat-
toni/ grafica torre/
oh steimberg!/ che
 lo  rinchiuderà


domenica 12 agosto 2012

Alberto Scarponi
da "parlari di parole.
ottanta ottave d’ottone"



Parlare terzo
Historia docet

6.
«Nel tempo dei gran tempi più grandiosi,
quand’eravamo belli forti e buoni,
senza disturbo di facinorosi
(che c’eravamo tolti dai coglioni),
noi esser potevamo anche ambiziosi
di funzionar da primi e da campioni
in tutto, nella storia, la memoria,
l’oratoria, la gloria, la vittoria.

giovedì 9 agosto 2012

Anonimo per prova
Quattro poesie



Quando le case

Quando le case non furono che un nome
composto da due sillabe
e nessun altro significato…

Quando il desiderio di essere e due
e tre, mica centomila, strenuo si arrampicava
sui muri di stanze vuote….

Quando le giustificazioni soddisfacenti
erano quelle del ragno che tesse solo
perché così per lui è giusto…..

Quando atterriti riconoscemmo
che ogni passo del respiro non era che respiro
già più lento, come di fior del vento, colti….

mercoledì 8 agosto 2012

Lorenzo Pezzato
Altre osservazioni su
"Per una poesia esodante"
di Ennio Abate



Ho letto gli spunti di Ennio Abate Per una poesia esodante e i commenti agli stessi.
Devo dire che dal mio punto di vista la discussione si concentra in pochi argomenti.
« [….] oggi certe tematiche non ci dicono più nulla, sono diventate talmente di pubblico dominio che, come una massa monetaria, passano di mano in mano in modo irriflesso e subliminale. In modo simile, riempire una poesia di “oggetti” riconoscibili porta fatalmente quella poesia verso l'insignificanza, la noia, non risveglia più la nostra attenzione; davanti a certe poesie il nostro cervello dorme [….].La post-poesia (o poesia che esonda dai propri argini e si riversa all'esterno della forma-poesia) va alla ricerca di una nuova serie di “oggetti linguistici”. [….] si tratta di munirsi di un pensiero critico che sia critico verso una intera cultura che ha prodotto certi oggetti e altri ne ha invece interdetti. È che occorre essere coscienti che l'esaurimento di una certa cultura implica anche l'esaurimento, la fine della poesia che quella cultura ha prodotto [….] » – scrive Linguaglossa.
                    Dormire dinanzi alle poesie dei simbolisti russi non è scandaloso ma non credo si tratti della querelle des anciennes et des modernes.Non c’è alcuna querelle in materia, la tensione tra i due poli esiste in ogni vicenda ed esperienza umana e alla fine il nuovo vince sempre.Tornare ciclicamente alla questione è soporifero quanto i simbolisti russi.

mercoledì 1 agosto 2012

Rita Simonitto
Osservazioni su
"Per una poesia esodante"
di Ennio Abate



Pubblico queste dense riflessioni sul mio lungo scritto Per una poesia esodante. La poesia passata a contrappelo. Sulla ex-piccola borghesia o ceto medio in poesia, che si legge interamente qui nell'Appendice del post. [E.A.]

Caro Ennio,
sento molta gratitudine per il lavoro importante (e, direi, necessario) che hai portato avanti e che hai messo generosamente a disposizione di Moltinpoesia.
Mi sento però in difficoltà ad intervenire poiché non ho le competenze necessarie quindi esporrò un mio punto di vista a partire dalle sollecitazioni che il tuo testo mi ha sollevato (tenendo conto anche degli interventi di Francesca Diano relativamente all’illusorietà del “credere di poter fare a meno dell'enorme peso del passato, del gigantesco bagaglio culturale che ci portiamo dietro”, e poi - come questione di Metodo - “PRIMA si deve sapere, POI si può distruggere e ripartire nudi”; e pure di Emy quando sostiene l’importanza di credere nelle capacità di un passato che senza di esso nessun futuro avrebbe senso).

martedì 31 luglio 2012

Giorgio Linguaglossa
Sul problema della "libertà" del poeta

Eugène Delacroix, La zattera della Medusa

Per la ricchezza di domande cruciali contenute, evidenzio in un post autonomo  questa riflessione-commento di Giorgio Linguaglossa, estraendola dal post in cui la discussione sul problema è iniziata (qui). [E.A.]


Cari amici della scialuppa
...ancora al tempo del periodo blu e rosa Picasso era un pittore del tutto tradizionale che non aveva detto nulla di nuovo. La sua pittura non si era presa alcuna «libertà» nelle condizioni date del suo tempo. Con "Les demoiselle d'Avignon" inizia il periodo cubista, Picasso decide di prendere la rotta della «libertà» del pittore sulla tela. È il periodo delle avanguardie storiche, un proliferare di avanguardie in tutta l'Europa. «Libertà» contro «necessità», dereglement contro il ritorno all'ordine. Quando Rilke vide per la prima volta i quadri di Picasso ne rimase profondamente sgomento e atterrito. Dove poteva andare una simile arte? questo si chiedeva Rilke che qualche anno dopo avrebbe prodotto i suoi capolavori poetici (Le elegie Duinesi e i Sonetti a Orfeo)ma in direzione inversa rispetto a quella intrapresa da Picasso.

Emilia Banfi
Trasport



El fiulin el sunava la fisarmonica
cunt un andà lent, semper quel
el pader l’acumpagnava cunt ul viulin.

Stavan in pè, in mès al can chel durmiva
e ul sac di cuèrt  e strasc
el riflès negher di cavèi al smagiava
ul tailleur rus dèla vedrina.

lunedì 30 luglio 2012

Valentino Campo
Lamentazione


  
Considerate e osservate
se c’è un dolore simile al mio dolore,
al dolore che ora mi tormenta...
                                          giudicate,
pesate,
con la selce raschiate
ogni suo grumo.

Mi tolgo la giacca
                          l’appendo al muro,
lavo le mani per poterti parlare.

sabato 28 luglio 2012

Maria Teresa Rossi (1916 -2002)
Sette poesie



Maria Teresa Rossi era professoressa al Liceo Parini di Milano nel 1967, quando scoppiò il  caso de “La Zanzara”:  i redattori del giornalino scolastico furono processati per aver aperto un dibattito interno al liceo su argomenti sessuali. Fu l’unica insegnante che si schierò con gli studenti.  E fu ancora l'unica a stare con loro nel ’68, quando essi occuparono la scuola e il preside si rifiutò di chiamare la polizia, che intervenne "d’ufficio" scacciando gli occupanti e  portando fuori di peso anche la professoressa. Fu poi una delle figure di spicco in Avanguardia Operaia. Le poesie che  qui pubblico, traendole da un libretto delle Edizioni Punto rosso del 2004 curato da una sua ex allieva e amica, Erica Rodari, sono, sì, innanzitutto un omaggio postumo a  una «bella persona, una persona non comune» (p.6): era stata antifascista; aveva poi rotto con la famiglia d’origine borghese e cattolica («nella sua famiglia c’erano uno zio vescovo, una zia suora e un fratello presidente nazionale dell’Azione Cattolica», p.19) e con il primo marito fino a separarsi  anche dai figli, lasciati al marito; fu con  tenacia e severità  una militante fino a quando una malattia non la colpì nei suoi ultimi anni di vita. Ma esse vanno anche lette come riprova che la poesia, anche in chi ha scelto  una dimensione pubblica e politica di espressione,  è termometro di verità e di mai sopita  interrogazione sul “resto”. Il ‘noi’ di Maria Teresa forse trascurava l’’io’ di Maria Teresa, ma non lo dimenticava. E queste poesie, al di là del valore letterario  da discutere, lo provano. Ad esse  è affidata  la possibilità di alludere al  drammatico (e  apparentemente contraddittorio) senso di solitudine di una donna che pure aveva trovato la sua "dimensione pubblica": «… non cercare il sogno che t’illude / nel volto del vicino / Lascia intatto il segreto di ciascuno / e serba il tuo / Ogni incontro è rovina» ( p.121). [E.A.]

Distaccami da te
verso che premi
nell'orecchio proteso
ad ascoltar la tua parola amica
Portami via dal cuore questa pena
fanne la nota lieve che consoli
la mente affaticata
Vorrei cantare come l'usignolo
o stormir come il pioppo sotto il vento
Trovare il ritmo uguale e modulato
Senza soffrire

venerdì 27 luglio 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "Nessuno sa
quando il lupo sbrana"
di Maddalena Capalbi



Maddalena Capalbi Nessuno sa quando il lupo sbrana La Vita Felice, Milano, 2012


Questo libro di Maddalena Capalbi mi fa venire in mente alcune considerazioni in ordine ai mutamenti  del «parlato» e del «personale» del tardo Novecento. Questo della Capalbi è un «parlato» e un «personale» sciolto, liquido, snodabile, immediato per un «contenuto», o meglio, per un «contenitore» misto tra diario, occasione, storie periferiche e accadimenti vari ma sempre nell’ambito dei legami parentali e affettivi. È una poesia legata al mondo delle esperienze primarie; è il suo modo di restare attaccata al «reale».

mercoledì 25 luglio 2012

Eugenio Grandinetti
Pandora


Cousin, Pandora

Dimmi:le cose che sai ti sono note
Per sapienza infusa o sono il frutto
Di ricerche e di ripensamenti?
A me niente di ciò che so è stato dato
In modo gratuito e permanente.
Sapere è non avere
Nessuna certezza mai
E’ confrontarsi sempre
Con ogni presunta verità, e comunque
Considerarla sempre provvisoria
E costruire sempre con la mente
Un qualche edificio che ci sembri
Possa reggersi in piedi,consapevoli
Però che se una parte minima
Vacilli o cada
Tutto trascinerà nel proprio crollo
E allora occorrerà a fatica ricostruire
Fin dalle basi un edificio nuovo,
Sperando che regga alle intemperie
Dei dubbi e degli eventi.
Certo uno che creda di sapere
Per sapienza infusa potrà vivere
Soddisfatto di sé,senza cercare
Quale invece sia la verità. Ma ogni ricerca
Ha origine dal dubbio e il dubbio è ribellione:
E’ la mela che ci offre il tentatore
O è il fuoco nascosto nella canna
Ed è la consapevolezza che la sorte,
Qualunque essa sia,sarà comunque
L’espulsione dal falso paradiso
Dell’ignoranza e l’utilizzo ancipite dei doni
Racchiusi nel vaso di Pandora.

lunedì 23 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (5)



Tabea Nineo 1990
Questa è la quinta e ultima parte del mio saggio. Per comodità del lettore che vorrà leggerlo lo pubblico completo in appendice [E.A.]
   
13. Progettare? Ma scherzi! «Buone rovine» e storie che scottano

 Non posso al momento mostrare esempi pienamente convincenti di poesia esodante (i miei  li considero, con modestia indispensabile, dei tentativi in tale direzione). E poi oggi, in tempi di crisi, invitare a parlare di progetto (o a presentare dei  progetti da confrontare e scegliere) fa storcere il naso.
Diciamocelo lealmente. Di solito ciascuno di noi segue, se non con sufficienza, con la coda dell’occhio qualsiasi discorso “progettuale”. Lo vive come “calato dall’alto”, roba “da critici” o “da intellettuali”. E, se partecipa a iniziative pubbliche, lo fa con saltuaria eleganza (in modo da esserci e non esserci). Si tratterebbe di riti, ai quali presenziare per cortesia o convenienza.
Ora è pur vero che scrivere poesia è atto compiuto in solitudine e l’intervento altrui è previsto semmai a stadio avanzato o ad operazione compiuta. Ma è proprio così? È sempre stato così ed è irrimediabilmente destinato ad essere così?

domenica 22 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (4)


 Tabea Nineo 1990


11. Riepilogando. Un criterio politico-poetico come misura delle poetiche

 

Come ho detto nella tesi 1 (qui) credo che siamo in una insoddisfacente Babele poetante, subiamo una cattiva globalizzazione e operiamo in un “cattivo” ceto medio, che non è in grado, così pare (in assenza di una più precisa analisi), di porsi i problemi poetici e politici della “globalizzazione” o farsi voce del nostro tempo. Riproduce, invece, in piccolo il caos globale e frammentato. E in tale caos c’è spazio - tanto la frammentazione è ormai  dominante - per il “nuovo” e per il “vecchio” purché devitalizzati: il Web, la rivoluzione dei trasporti, le biotecnologie ma anche le piccole patrie, i dialetti (magari “meticciati”), i ritorni al mito (ma congelato e privatizzato).

Nessuna nuova polis (globale) si sta costruendo mentre gli stati-nazione vengono sconvolti. La falsa democratizzazione (non solo della poesia) convive con le false élite. L’opposizione storica pochi/molti  rimane intatta nell’ideologia e nell’immaginario in ogni campo, pur svelando ogni campo una microfisica dei poteri che non corrisponde alla macrofisica ufficiale e convenzionale.

Paola Febbraro
Da "Turbolenze in aria chiara"


*

            SOSPIRATI INDIZI

Uscendo dal circondario sapevo
Che la gabbia porta piume



*
Bellezza non ce n'è
e pensare che
ero partita per farne inno.
I sogni sceneggiavano direttamente e puntualmente
gli ultimi richiami prima di chiudere gli occhi
io non li mettevo in pratica, o sì,
scartando la loro realizzazione
e la mattina era più cheta
senza meraviglia, magari
amare per sottrazione d'inganni e promesse.


venerdì 20 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (3)


Tabea Nineo 1990


9. Contraddizioni interne a gruppi diversi, concorrenti ma in modi subordinati

 

Chiarito che siamo tutti ceto medio e che non è possibile più essere dei piccolo borghesi alla Montale o alla Fortini (a seconda delle preferenze), ci restano del passato vari modelli: eroicistici, nicciani, “neo/neon/avanguardistici” o fortiniani, montaliani, ecc. Sono necessari (ciascuno porta con sé - ammettendolo o negandolo - le sue «buone   «rovine»), ma da soli insufficienti per la chiarificazione della situazione presente e in mutamento. Sono simboli non trascurabili, sintomi di adesioni profonde a una storia o a una visione del mondo, ma da soli non decisivi.[1]  Nello specifico del discorso poetico, ne consegue che, come dice Linguaglossa, è vero: la “democratizzazione” dei linguaggi poetici “quotidiani” subisce l’egemonia di quelli dei mass media ed è  ad essi subordinata (e depauperata delle sue potenzialità). Anche perché la democrazia e la poesia non possono ridursi alla dimensione del quotidiano. Né esse possono esserci (ammesso che le si trovi dove si dice che siano) soltanto nel quotidiano. È però vero pure che l’aristocraticismo -  opposto della medaglia -, che oggi permane negli interstizi o nelle frange del ceto medio più ai margini dalle mode “democratiche” e muove una critica  in parte accettabile a  tale fasulla democratizzazione, limitandosi a fare il broncio e a richiamandosi all’antico, al premoderno o alle Origini, resta  un aspetto, complementare ma non alternativo della situazione di stallo.  E riesce patetico coi suoi tratti di nobiltà decaduta quanto l’altro - il democraticismo - appare  arrogante, rampante o falsamente modesto.

Luciano Troisio
Poesie da "Locations, impermanenza.
L'amore al tempo del pc"


PERCHE' NON CONOSCIAMO LE AVVENTURE STRAORDINARIE

Le avventure più straordinarie
non furono mai documentate
né su stele né su papiro
tanto meno su feuilleton o sulla “Trivial Literature”
che si occupavano di banali imitazioni per condòmini poverini.
Non si devono raccontare.
Molti dubitano che siano davvero successe.
Rimasero nelle remote memorie delle fanciulle più riservate
belle in modo raro e divinamente timide
in quelle degli erculei trasgressivi marinai
di braccio forte e zigomi vigorosi.

giovedì 19 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (2)

Tabea Nineo 1990

4. La piccola borghesia ai tempi di Fortini e Montale

 

Provo, facendo un altro passo, a riallacciarmi a un mio commento sul nodo Montale-Fortini-Mengaldo (qui); e in particolare al punto in cui scrivevo «c’è piccola borghesia e piccola borghesia» e mi dichiaravo - ancora una volta e per le stesse ragioni già indicate - contrario ad «un’assolutizzazione della categoria ‘piccola borghesia’»  o di quella affine di «ceto medio».

Può servire un confronto con queste due figure: Fortini e Montale. Fortini  si poteva rapportare ancora a un noi reale e storicamente solido (il movimento operaio, i “paesi allegorici” che per lui furono l’Urss, il Vietnam, poi la Cina). Quel noi ai suoi occhi pareva potesse ereditare una grande tradizione classico-borghese (lucacciana o adorniana) da contrapporre all’invasione dell’industria culturale, a cui Pasolini parve cedere. Poteva anche ricorrere fiduciosamente alla «sublime lingua borghese» come argine ai linguaggi dei mass media. O sentire ancora la “lotta per i comunismo” come un processo di inveramento possibile dei valori della Totalità Umanistica. Proprio quei valori che, forti in passato, il Moderno aveva spezzato o accantonato, promettendo di sostituirli con altri ben più universali. Poteva, infine, pensare alla propria poesia come un omologo anticipato della Forma, che l’umanità, uscendo dalla servitù capitalistica, avrebbe potuto dare alla propria vita.

Eugenio Grandinetti
Il grande fiume












Sto su una sponda del gran fiume e guardo 
l'acqua scorrere lenta e andare a perdersi 
tra le anse ed i salici e m'appare 
che un fiume non è altro che lo scorrere 
di vapori indistinti che da mari 
lontani una corrente 

mercoledì 18 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (1)

Tabea Nineo 1990

Pubblico, suddivisa in varie puntate, una lunga riflessione sulla crisi della poesia e sul soggetto che oggi  maggiormente se ne occupa, confrontandomi soprattutto con gli scritti dell'amico Giorgio Linguaglossa. [E.A.]

 Divergevano due strade in un bosco
ingiallito, e spiacente di non poterle fare
entrambe uno restando, a lungo mi fermai
una di esse finché potevo scrutando
là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi presi l’altra, così com’era,
che aveva forse i titoli migliori,
perché era erbosa e non portava segni;
benché, in fondo, il passar della gente
le avesse invero segnate più o meno lo stesso,

perché nessuna in quella mattina mostrava
sui fili d’erba l’impronta nera di un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
dubitavo se mai sarei tornato.

Io dovrò dire questo con un sospiro
in qualche posto fra molto molto tempo:
divergevano due strade in un bosco, ed io…..
io presi la meno battuta,
e di qui tutta la differenza è venuta.

(Robert Frost, “La strada non presa”, Traduzione di G. Giudici)

 

 

1. Coincidenze

 

Sul sito (cuginastro?) di "Le Parole e Le Cose" ho letto «Il romanzo nell’epoca della postletteratura» (qui). Il saggio - una introduzione di Carlo Carabba  a L'inferno del romanzo  del francese Richard Millet - sfiora appena il tema ‘poesia’, ma ho trovato delle coincidenze non casuali tra i suo concetti di «epoca della postletteratura» (la nostra d’oggi) o di «estetica postletteraria» e i discorsi sulla «post-poesia» o sul’«epoca della stagnazione» spesso accennati, sul questo blog e altrove, da Giorgio Linguaglossa.

Per  farsi un’idea, vediamo nella sintesi di Carabba  cosa si intende per «postletteratura». Per Millet:

 

«Postletterario è chi «scrive senza avere letto» (af. 277), la sua principale caratteristica è scrivere senza rendere conto di trovarsi in una tradizione: «Nei postletterari, tutto risiede nella postura, vale a dire nell’ignoranza della tradizione e nella fede nei poteri di immediatezza espressiva del linguaggio» (af. 346), o anche «postletteratura come confutazione dell’albero genealogico» (af. 233). L’autenticità data dall’immediatezza è obiettivo dello scrittore postletterario e prova della sua validità: «L’ignoranza della lingua in quanto prova di autenticità: ecco un elemento dell’estetica postletteraria» (af. 3); «il romanziere postletterario scrive addossato non alle rovine di un’estetica obsoleta ma nell’amnesia volontaria che fa di lui un agente del nichilismo, con l’immediatezza dell’autentico per unico argomento» (af. 92). […] In poche parole l’autore postletterario è quello che considera la letterarietà come un disvalore, che rinuncia a interrogare la tradizione a favore di uno spontaneismo compositivo, in cui l’atto creativo può rispondere a certe regole più o meno apprendibili e formalizzabili, ma mai a uno sguardo sull’«abisso come principio di conoscenza» (af. 290)».

Giorgio Linguaglossa
Sul "QUADERNARIO BLU"
della LietoColle -


Venticinque poeti d’oggi a cura di Giampiero Neri e Vincenzo Mascolo LietoColle, Faloppio, 2012

Partiamo dalla proposizione «Siamo usciti dal Novecento» che molto spesso si trova pronunciata dagli autori delle ultime generazioni. Che cosa significa essere usciti dal Novecento? Che cosa comporta trovarsi nel mezzo del guado dell’«Ignoto»? Hanno coscienza i nuovi autori di questa Antologia di ciò che comporta l’essere usciti dal Novecento?  - Giampiero Neri e Vincenzo Mascolo hanno lavorato sodo, hanno consegnato alle stampe questo tomo  di 274 pagine che raccoglie «alcune tra le voci poetiche più interessanti di oggi. Non un’antologia…», come è scritto nella brevissima introduzione, appena un cenno e via. Eppure, ci sarebbe stato bisogno di spiegare le ragioni che militano in favore dell’esistenza di questa cospicua schiera di autori presentati. Se davvero la poesia ha, oggi, diritto all’esistenza, dico una esistenza reale e significativa per dei lettori che cercano esperienze linguistiche significative.

martedì 17 luglio 2012

Samizdat
Scherzetto contro un filo-Monti



* Il testo (specie per i riferimenti a Stan, un commentatore) fa riferimento al dibattito in corso nel post: I primi otto mesi del governo Monti di  Mauro Piras apparso su LE PAROLE E LE COSE   di Mauro Piras (qui)

Cabaletta, tratta dal *Trovatore dei Riformatori fasulli*,
musica rubata da Samizdat a Giuseppe Verdi, libretto da riscrivere nei prossimi mesi.

Manrico (tenore):

Di quella Piras l'orrendo foco
ELLEPI’ELLECI’ avvamperà!...
Empi, spegnetela! O Stan tra poco
Col sangue vostro la spegnerà...

Bruciava già TreMonti fa.
Or ch’al PIDI' uno glien resta
L’onta a sinistra chi laverà
Nell’Italietta ognor men desta?

Leonora:

Non reggo a colpi tanto funesti...
Oh quanto meglio sarìa morir!

Ruiz, Coro di armati (rivolgendosi a Stan):

All'armi, all'armi! eccone presti
A pugnar teco, teco a sparir.

lunedì 16 luglio 2012

Luca Ferrieri
da "L'amore senza"


IN VECE DI POETICA
(Versacci, 5)

Scrivo quando la musica sale alle tempie
addenta la polpa
, il midollo, la luce.
Lo spasmo getta piccole gocce d'inchiostro,
artiglia la carta, scarnifica fino
a vederne zampillata l'arteria.
Quando si placa, anche le tracce della lotta
scompaiono
; nella distesa bianca nulla
che dica la strage fatta, l'orrendo nodo
mozzato alla gola. Stinge in parole
domestiche, che la mano pietosa
appallottola.