martedì 9 agosto 2011

CRITICA
Ennio Abate
Come si fa a fare
«la poesia onesta»,
se la critica proprio onesta non è?


Risposta a Manca la passione d'essere letti intervento di A. Berardinelli

(http://www.corriere.it/cultura/11_luglio_14/berardinelli-manca-passione-poesia_d7e03dd8-ae23-11e0-9787-0699da0a075e.shtml)


Un’amica del Laboratorio MOLTINPOESIA è rimasta sconcertata dal mio giudizio negativo che ho espressso in privato su quest’articolo del noto critico Alfonso  Berardinelli. Lei lo  trovava del tutto condivisibile. Liberissima.  Ora in pubblico cerco qui sotto di precisare le ragioni del mio giudizio negativo. Per andare subito all’osso e non menare il can per l’aia, lo faccio con un elenco stringato e forse pignolo di punti schematici. Il che presuppone, per un lettore serio, un confronto paziente fra i miei punti e questo articolo di Berardinelli. (Lascio da parte la mia opinione sul personaggio Berardinelli e la sua storia, che ho invece ampiamente trattato in questo saggio: Il critico è senza mestiere? Non resti «intruso», faccia il contrabbandiere! [E.A.]


*

Non sopporto in questo articolo:

1.  Il tono di chi - si sente - è abituato a discutere solo  con «poeti particolarmente intelligenti e colti» (amici suoi ovviamente).

 

2.  La conclusione apodittica (e non documentata, quindi da accettare “per fede”) di tali sue discussioni: « abbiamo concluso che oggi (e da tempo) la poesia italiana è prevalentemente divisa in due tipi: c'è quella incomprensibile e c'è quella noiosa».

 

3. La sostituzione del giudizio (che è operazione  lunga, paziente, complessa) con l’impressione. Perché quello che, a prima vista, è per Berardinelli incomprensibile  o noioso  nella poesia italiana odierna non è detto che non possa risultare, ad una lettura più approfondita, comunque significativo e forse anche comprensibile e non necessariamente noioso. In altri termini, se il lettore Berardinelli è prevenuto contro la poesia italiana odierna, è fin troppo facile che la trovi incomprensibile o noiosa. Impressione che per diventare giudizio, però, andrebbe documentata seriamente. E allora: quanti testi  ha esaminato Berardinelli? con quale grado di attenzione? ha confrontato  i suoi giudizi o impressioni con quelli di altri critici?).

 

4. La presunzione di spiegare lo stato di crisi della poesia odierna con un unico fattore e per giunta psicologico: la mancanza negli odierni autori di poesia della «passione di essere letti». Ammesso che tale fattore agisca e abbia il peso che Berardinelli gli attribuisce, esso di per sé non spiega affatto «perché di poesia se ne pubblica tanta e nessuno se ne accorge». Ci fossero poeti che avessero a dismisura la «passione di essere letti»,  forse che questa basta a suscitare  “la passione di leggere” le loro poesie (o libri di poesia). La “disaffezione per la poesia” (come quella per molte altre attività  umane serie e fondamentali) ha cause più profonde e Berardinelli farebbe meglio ad approfondirle.

 

5. La sua propensione a sparare genericamente sul “mucchio”, su una tipologia o una categoria (quella dei poeti o degli aspiranti poeti), tacendo sul degrado culturale che riguarda tutti, poeti e non.

 

6. L’affermazione che «chi scrive poesia crede di essere giustificato, qualunque cosa scriva, dal fatto che lo scrive al riparo di un'idea-valore, l'idea di poesia». È un’affermazione del tutto vaga e ad effetto. Potrebbe valere per mille categorie (medici, avvocati, politici, psicanalisti, giornalisti, ecc.).

 

7. L’affermazione che «il 90% di ciò che si legge nelle collane di poesia e nelle antologie, è da dimenticare». Viene ancora da obiettare: Berardinelli lo ha accertato? Ha fatto seri studi su questo 90% di pubblicazioni? Non credo. Come molti altri critici si rifiuta, anzi, d’indagare questo «mare magnum» dell’«odierna poesia» e preferisce vivere di rendita, di spendere il suo nome contro i moltinpoesia, senza neppure  distinguere, valutare, classificare (come invece  fa, con tutti i rischi di un’azione controcorrente, Giorgio Linguaglossa nel suo appena uscito Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010).  Berardinelli la sua mezza verità («Che cosa resta una volta messa da parte la poesia incomprensibile e quella noiosa? Restano una decina o poco più di poeti, che sanno di che parlare e sanno che cos'è un verso») già ce l’ha. E, come tutte le mezze verità, si fonda sulla reticenza oggi di  prammatica: «Chi sono costoro? Per ragioni di cortesia, raramente i critici si decidono a dirlo, anche perché fra i non-poeti finirebbero parecchi «nomi» che negli ultimi vent'anni si sono conquistati, chissà come, un certo prestigio».

 

Voglio finire con due ultime osservazioni:

 

1)  Nonostante tanta sicumera e tanta spocchia anche Berardinelli alla fine tocca un punto serio, quando dice: «In che consiste la qualità di un testo poetico? Chi può accertare questa qualità? La partita si gioca fra lettori che non ci sono, sono sconcertati o sprovveduti, e critici la cui «competenza testuale» è diventata assai dubbia e che generalmente non osano giudicare, si astengono, non tengono lezioni sulla poesia contemporanea».  Arriva, cioè, a mettere il dito sulla piaga: l’assenza di critica vera, la rinuncia ad un pensiero critico anche (e non solo) in poesia. Berardinelli però, invece di affrontare il toro per le corna e farsi  l’autocritica (personale e di categoria), se la cava tessendo la lode di qualcuno che gli capita proprio sotto il naso («l' Annuario di poesia di Giorgio Manacorda, Paolo Febbraro e Matteo Marchesini»). Guarda caso, a dimostrazione dell’ampiezza del suo sguardo,  il Marchesini è uno dei« due giovani poeti particolarmente intelligenti e colti» con cui Berardinelli ama intrattenersi e informarsi (per procura) sullo stato di decadenza della “seconda repubblica dei poeti”.

 

2)  Dopo aver  ragionato «per generi e categorie generali»  quasi per tre quarti del suo articolo (che sono , infatti, le categorie generalissime di ‘poesia’ e di ‘narrativa’?), ha la sfacciataggine di concludere in gloria: «Il guaio e l'alienazione della non-lettura nascono dal fatto che si ragiona per generi e categorie generali, non per autori o, meglio ancora, per singoli libri e singoli testi ». Questo sarebbe il lavoro da “facchini della poesia”, ormai non più degno di un luminare  della Critica come lui.  Stufo di aver perso tempo  da giovane con quei poveracci delle riviste militanti, tipo «Quaderni piacentini», oggi Berardinelli scrive (pagato) esclusivamente sul «Corriere della sera», «L’avvenire», o  il «Foglio». Eppure si richiama al povero Saba, che gli dà la citazione giusta per concludere: resta da fare «la poesia onesta» perché, comunque, non può essercene altra». Ma io a questa citazione aggiungerei:…ma resta anche da fare la critica onesta.

 

 

 

1 commento:

fiorellaangelafrancesca ha detto...

Il potere della critica è obsoleto, a fronte della rivoluzione digitale che consente a tutti di pubblicare. Si parlano addosso e sparano sul mucchio per giustificare le cattedre e gli editoriali che hanno conquistato e vogliono detenere. Gli stessi poeti e scrittori avallano ancora questa situazione, considerando sempre come unico crisma del loro valore la pubblicazione su carta.
La critica in quanto giudizio espresso da qualcuno che è contemporaneo al fenomeno che giudica non avrebbemai dovuto esistere, perché quando si guarda da vicino l'occhio è torbido, il cuore ingombro di contingenze. Una Storia della letteratura è più seria.