mercoledì 10 agosto 2011

CRITICA
Ennio Abate ed Enzo Giarmoleo
Al margine di una conversazione
su "Serve ancora la teoria?"
alla Libreria popolare
di via Tadino a Milano

Giovedì 7 luglio, alle ore 21.00,  nella Libreria Popolare di Via Tadino (Milano) Paolo Giovannetti, Antonio Loreto, Milli Graffi, Daniele Giglioli e Paolo Zublena conversarono su un tema oggi "fuori moda", ponedosi la domanda "Ci serve ancora la teoria?"( s'intende: in letteraratura) a partire dai fascicoli 45 ("in teoria in pratica") e 46 ("Brani di cognizione") della gloriosa (per gli addetti ai lavori) rivista “Il Verri”. Anche se in ritardo pubblichiamo un resoconto di impressioni e commento della serata scritto da me ed Enzo Giarmoleo.
[E.A.]
 *
 Enzo Giamoleo:

Caro Ennio, 
ti ringrazio per la proposta [di fare il resoconto dell’incontro alla Libreria di Via Tadino], ma ti devo confessare che non sono riuscito a prendere un gran che di appunti, un po’ per l'uso di linguaggi specialistici, un po’ per la volontà, forse la gioia di qualche oratore di non farsi capire ed anche perché ad un certo punto mi sono liberato, rilassato. Mi son detto: meno male che c'è Abate che prende appunti e poi riesce a imbastire un discorso, una risposta... Però mi piacerebbe poter leggere le tue impressioni. Nel frattempo ti mando le mie, un po’ raffazzonate.
enzo "Serve ancora la teoria?”

Gli oratori si sono alternati per capire le ragioni per cui la teoria diventa sempre più rarefatta. 
Una volta ci si chiedeva : Come è fatto un testo? Per una poesia ad esempio si guardava la metrica, anche la metrica fa parte della teoria. Oggi questo non interessa più. Insomma la teoria una volta necessaria, oggi è quasi superflua, lavorare su un testo esclude la teoria. Non v’è alcuna riflessione teorica! 
Tutto questo ha sicuramente  una relazione con l’attitudine di molti critici, il cui lavoro superficiale è solo legato alle esigenze del mercato e non più ad una vera analisi delle opere. Il sistema editoriale, dove vige il valore di scambio, diventa sempre più asfittico e chiuso in se stesso, specie se lo confrontiamo col sistema del Web, criticabile, ma  che spesso è più aperto e produce cose di notevole valore.
Mi sembra non si sia parlato di nuovi strumenti per interpretare il mondo, la poesia, la narrativa...
Mi domando: la teoria è scomparsa a causa di questi critici superficiali o a causa del nuovo sistema economico e di potere, che ci ha deprivato della vecchia cultura, riuscendo a frammentare le nostre precedenti sicurezze? Forse il Web potrebbe essere  la via d’uscita per una riformulazione della teoria o di una nuova teoria? 
Qualche filosofo ha precisato che abbiamo assistito allo smantellamento  sia dell’ermeneutica   che della critica militante. Esse sono finite per sempre. Queste, a suo dire, possono essere sostituite dall’atteggiamento performativo dell’insegnante, che creerebbe emulazione nello studente. Abate ha precisato che questo atteggiamento, che forse potrebbe funzionare nella scuola, non supplisce però la mancanza di teoria letteraria..
Mentre gli oratori cercavano di dipanare il mistero della scomparsa della teoria, mi è venuto in mente che, mentre il rapporto politico teoria-prassi si stava storicamente disgregando (anni ‘70-‘80), in varie parti del mondo , gruppi di persone, contadini, studenti, intellettuali hanno elaborato nello spazio di 20 anni nuove teorie per il cambiamento del mondo. Alcune di queste nuove teorie come quelle che vogliono cambiare il mondo dal basso sono tuttora vive.  
Tornando alla teoria letteraria, forse si potrebbe dire che non si è mai rinnovata. 
Dai vari interventi della serata non si capiva, però, se la preoccupazione della mancanza della teoria fosse dettata dalla nostalgia per il Novecento, quando la presenza di un impianto teorico dava maggior stabilità e certezza ai risultati della attività interpretativa delle opere letterarie oppure da una vera esigenza di rinnovare gli strumenti e le interpretazioni per la comprensione della poesia  della narrativa e dell’arte in  un mondo sempre più complesso. 
 
Ennio Abate:

Caro Enzo,
beato te che sei riuscito a rilassarti, come tu  distaccatamente dici,«mentre gli oratori cercavano di dipanare il mistero della scomparsa della teoria». Mentre io pigliavo appunti, non ti sei chiesto quale potesse essere il mio stato d’animo mentre seguivo l’amabile conversazione.  Te lo dico adesso: quello di  un papà che vede stuprare la figlioletta Teoria  da qualche giovanotto postmoderno, agguerrito, col sorriso sulle labbra e la voce atona.
Non è stato uno stupro di gruppo, per carità!
Non solo "nonna" Milli Graffi (o Mille Graffi?) ha proclamato tutta la sua nostalgia per i bei tempi  in cui si potevano seguire con rapimento i Maestri (per lei i Barthes, i Blachot, i Genette che oggi  i ggiovani o la ggente non sa neppure chi furono), ma alcuni dei presenti (Giovannetti, Zublena) hanno accennato persino qualche timida  ( o convinta…non so) difesa d’ufficio.
Io, per non essere sempre il guastafeste, mi sono limitato a fare qualche sgambetto a Daniele Giglioli, il più deciso a sostenere che Ermeneutica e Critica militante, no, «non torneranno più» (almeno nella spartizione delle cattedre universitarie?), ad insinuare l'esistenza  ai vecchi tempi di «rapporti incestuosi» tra Critica e Teoria (come nelle ottime famiglie della borghesia o dell’aristocrazia letteraria…) e a squalificare i Grandi Maestri che lasciano dopo di sé allievi di modesta o infima levatura. 
E che gli potevo controbattere? Non è forse vero che tutti (gli addetti ai lavori) dicono all’unisono: Basta con i discorsi sulla «letteratura come menzogna»! Basta coi maestri del sospetto! Basta con la pretesa di spiegare com’è fatto un testo! Basta con la sociologia o la storia della camorra! Noi vogliamo credere che solo Saviano (il Romanzo o la fiction-inchiesta) ci racconta la “vera” camorra! 
Verissimo. Oggi  quasi tutti la pensano così. Queste sono le idee di punta.
Perciò a Giglioli potevo dire soltanto quel poco che gli ho detto: che metteva troppo in fretta una pietra tombale sulla Teoria; che si accontentava di fare la caricatura dei  Grandi Maestri, i cui meriti (e le eventuali cialtronerie) non possono essere liquidati  attribuendo alle loro teorie i drammi del doppio legame in cui si sono impelagati i loro allievi, imitatori maldestri o succubi; che  la sua proposta di lasciar perdere la Teoria e andare avanti con «l’esemplificazione» tanto originale non mi pareva; che il  critico che oggi presentasse al pubblico un bell’esempio di “critica in atto”, senza stare lì a perder tempo con la teoria, mi somiglia  all’anarchico cresciuto alla scuola di Kropotkin, che predicava la «propaganda  col fatto», una  bella «azione diretta» che mette a tacere tutti i “caca dubbi” o i “fini intellettuali” che se la menano ancora con la Teoria. Col rischio - aggiungerei - che, invece di scatenare l’emulazione  (“Se l’ha fatto lui, lo posso fare pure io!”), scateni  ondate di ammirazione più cieca di quella d'antan.
Bisognerebbe approfondire il discorso. Per ora mi limito a dire che, secondo me, meno ci si  è occupati di teoria (e in tutti i campi, non solo in quello della letteratura o della poesia) e più  siamo stati inondati di chiacchiere. Non è che le teorie non avessero i loro lati ambigui e davvero facessero chiarezza sui vari campi della realtà che esaminavano. Ma almeno fissavano dei paletti. Oggi si procede  in modi capricciosi, incontrollati. E i risultati non sono eccelsi.
Ne riparleremo, spero.  


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