Il lavoro che avevano trovato
era quello di fare il poliziotto
o il militare:Li armarono
di mitra o manganello e li mandarono
a fonteggiare quelli che chiamarono
“il nemico”E andarono
in Iraq,in Afganistan,in Yugoslavia
a portare la pace,ma ammazzando,
come in qualsiasi guerra,i loro simili;
oppure li mandarono nelle strade
a fronteggiare altri uomini che come loro
cercavano un lavoro o che chiedevano
di vivere col frutto del lavoro,
o quelli ancora
che chiedevano per i loro figli
un futuro migliore. E dissero loro
che quelli erano gente spregevole
che non amava l’ordine,che rifiutava
di ubbidire ai governi ed ai padroni,
legittimi entrambi,ed era giusto
colpirli coi manganelli ed arrestarli.
E non si può dire che non fossero
anche loro figli di quel popolo
che protestava,ma pure
dovevano mantenerlo il posto fisso
e,in caso che morissero,l’onore
di un funerale solenne,alla presenza
delle alte cariche della chiesa e dello stato,
e di esser considerati eroi e non sospetti,
come invece avveniva agli operai,
di essere loro i soli responsabili
dell’incidente in cui erano morti.
3 commenti:
Altro che "fratelli d'Italia!"....
piuttosto che avere fratelli così...meglio stare senza famiglia...
Scusa lo sfogo...ma è stata la prima riflessione a cui sono stato portato...
Buono l'argomento...ma la poesia..seppur bella...mi pare scritta in fretta e poco curata.
Potrebbe rendere molto di piu'.
Comunque complimenti lo stesso.
Augusto Villa.
Pur condividendo, non riesco ad evitare il confronto tra la poesia e le chiacchiere del bar. Perché lo stile con cui ti sei espresso mi sembra proprio così. Ora, potrebbe essere una cosa voluta questo evitare tanti salamelecchi stilistici, però il risultato mi sembra debole, e i contenuti niente affatto originali. Molto pop, forse un po' troppo.
mayoor
Eugenio Grandinetti:
Avevo chiesto a Ennio di pubblicare sul blog la mia poesia "Il nemico" perché mi sarebbe piaciuto che su di essa si fosse aperta una discussione articolata.
Vedo che ci sono due commenti,ai quali vorrei rispondere su blog,ma non ci riesco per mia incapacità tecnica,quindi lo faccio tramite messaggio e mail [a me, E.A. che pubblico].
I rilievi che vengon fatti alla poesia sono due:
1) che non ha subito il necessario labor limae e quindi è piuttosto grezza;
2)che essa ha lo spessore intellettuale di un discorso da bar.
Al primo punto rispondo che effettivamente è così:io scrivo poesie di questo tipo solo come mi vengono, dettate dall'indignazione e poi non sto a lavorarci sopra,forse perché sono legate alla situazione di un momento (anche se poi a volte quello che dovrebbe essere momentaneo è utilizzabile per un gran numero di situazioni simili),o perché mi pare che in questi casi la spontaneità sia preferibile all'elaborazione.
Quanto al secondo punto,devo dire che io non sono un frequentatore di bar:ci vado al massimo un paio di volte all'anno,quando mi capita di incontrare un amico ed invitarlo o esser invitato a prendere un caffè da consumare al banco.Comunque se con discorso da bar si vuol dire che è un discorso banale,non sono certo io a poterlo confermare o negare:io voglio solo comunicare nella maniera più comprensibile quello che penso su un qualche argomento.In questo caso io volevo dire: a suo tempo Pasolini diceva che tra poliziotti e studenti lui stava dalla parte dei poliziotti,perché figli del popolo; io ritengo che effettivamente i poliziotti (e in genere soldati volontari) siano figli del popolo,però vengono assoldati da chi detiene il potere, che li ammaestra (spesso le scuole militari sono scuole di addestramento al fascismo!) a considerare gli altri (siano essi appartenenti ad altri stati o siano appartenenti ai ceti sociali subalterni)come nemici.
Può darsi che questo discorso sia effettivamente banale (io effettivamente sono un poeta minor,intendendo l'aggettivo come un comparativo assoluto),ma preferirei che me lo si dicesse in maniera più articolata.
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