@ Gezzi
«considera che ogni recinto ha il suo pastore, ed ha una guardia forestale
che sorveglia i cinghiali, tenendoli lontani; ed anche considera che il mondo di fuori riserva sorprese»
(Commento di Stan su Le parole e le cose 30 novembre 2011 alle 13:38)
«dentro il recinto ogni scelta conduce all’esaltazione del recinto medesimo»
(Commento di Stan su Le parole e le cose 1 dicembre 2011 alle 17:00)
Salto i preamboli e chiedo:
1. perché una rubrica dedicata soltanto ai poeti nati negli anni Ottanta rinunciando in partenza a un bel respiro epocale?
2. perché sempre più spesso si vedono in giro “nuovi critici” che i “nuovi poeti” li cercano (e pare li trovino a credergli) esclusivamente nella loro generazione o in quella appena precedente o successiva?
3. continuare a proporre soltanto le “perle poetiche” che spuntano nel proprio “bacino di coltura” può parere amore per un lavoro artigianale ben fatto, ma non è anche segno di miopia, di pigrizia, di paura?
4. non converrebbe uscire dai recinti, in cui le poesie poste “in vetrina” dal curatore di turno ricevono commenti di solito piattamente apologetici e poco argomentati o contestualizzati?
5. non si può coraggiosamente mettere a confronto le “perle” della cerchia A con quelle della cerchia B o C o D e aguzzare l’acume critico a 360 gradi e non a dieci o a venti o al massimo a trenta?
21 commenti:
Ok! Benissimo usciamo dai recinti! Io ci sto , non mi piacciono le sbarre! Il pastore (curatore) a sera che farà ? Dovrà cercare le pecorelle smarrite o manderà il cane a cercarle? E poi quante pecorelle avranno il coraggio di esporsi in libertà? Sentite facciamo che invece di pecorelle siamo cavalli e poi si vedrà.Un amico oggi mi ha detto: -tutto ciò che non mi uccide mi rende forte-... . Cominciamo col criticare le poesie del post dei MOLTI nel deserto, avanti il primo !
Il commento sopra è di Emy
RETICOLATO
Un niente verticale su un niente orizzontale incastrato in un niente concentrico.Fiori gialli nell'assenza grigia.
E' il niente che scende con la nebbia sulla pianura.
Il niente dell'anima, dei detriti, degli schemi storti, odiati.Ore come secoli in una opaca sordità che, ad onde sinusoidali, all'improvviso - bang -, e ti ritrovi in un reticolato, rinscemito, con addosso la febbre del niente che richiede il niente (anche chimico, del necessario dormire. Paolo Pezzaglia
Perché commenti anonimi? Non dovremmo tentare di parlare di poesia e questioni a questa correlate?
Perché partire sempre e solo con la critica, come qualche commentatore anonimo esorta a fare? Non sarebbe meglio leggere gli altri con umiltà ed attenzione, prima di stroncare a priori?
Mi rendo conto di quanto il recinto sia pieno zeppo!
A che e cosa si riferisce il Caccia? se a me, Paolo Pezzaglia, gli faccio rilevare che io firmo e, se sopra appare "anonimo", è perchè è l'unico sistema che conosco, imparato da pochissimo, di inserire un post, che non è certo critica di nessuno perchè io per principio non faccio critica. Il "reticolato" è semplicemente una mia poesia sull'argomento "recinto" o "reticolato che sia- l'immagine appare nel titolo - io parlo del mio recinto personale e credo che tutti più o meno abbiano il proprio, a meno che non riescano a volare via. E.A.lo sa.
Paolo Pezzaglia
Carissimo Sig. Linguaglosa,
forse lei dimentica che siamo Molti in poesia e non tutti hanno le stesse capacità di critica che lei ed altri possedete Perciò accettate quel che modestamente scriviamo senza pretese e se vi viene da piangere o da ridere fatelo pure ma sappiate che tutto ciò che leggete è il nostro pensiero sincero. Buona domenica Emy
Saggio, umile, democratico, disponibile. Sono d'accordo : criticare, ma che piacere è? Preferisco condividere, riflettere su.. magari anche non apprezzare, se il nostro gusto non coincide con quella poesia, quel tratto di scrittura, ma sempre con rispetto e dispon ibilità. Comunque aprire i recinti, mai chiudersi dentro.
Alda Cicognani
scusate, ma per errore del Sig Ennio Abate è stato cancellato un mio pezzo che ora non ricordo più ma, insomma, nella sostanza io dicevo che Massimo Gezzi e gli accademici che gli stanno dietro e accanto (in LPLC) si coprono di ridicolo con queste indagini sui nati negli anni Ottanta, purtroppo fare critica della poesia contemporanea non è come allevare i polli nel recinto ed è penoso assistere a questi spettacoli da circo equestre (o meglio da combattimenti di polli). Ma, ovviamente ci sono nche giovani seri e preparati, io non ce l'avevo con i giovani in quanto tali ma con quelli che si prestano al gioco da imbonitori di LPLC.
Io non capisco perché tutta questa acredine. Per il riferimento generazionale? altrimenti, che cosa c'è di male nel semplicemente proporre dei testi di un altro che si ritengono validi, con il fine della diffusione poetica, della condivisione e dell'apertura alla critica? tra l'altro, mi sembra che nessuno qui abbia fatto riferimento ai testi. Perché la critica deve perder tempo a criticare la critica (estrema autoreferenzialità), anziché porre la propria attenzione sui testi, materiale primario e imprescindibile di qualsiasi critica? Me lo chiedo umilmente, ma con convinzione.
Ennio Abate a Davide Castiglione:
Ho posto cinque domande precise a Gezzi. Umilmente ma con convinzione qualcuno si sente di rispondervi?
Credo sia inevitabile. "aguzzare l’acume critico a 360 gradi" dovrebbe comportare che si faccia anche critica sociale dell'arte, psicologia, filosofia, oltre a semiotica e scienze della comunicazione. Sono certo di sbagliarmi, ma credo non lo faccia nessuno nella quotidianità, a meno di scomodare Eco e pochi altri. Non mancano invece le antologie sui vari decenni, più facili, forse perché sono degli espedienti editoriali che funzionano. Come non ricordare "I nosissimi" di Giuliani e "Poesia degli anni '70" di Antonio Porta? Che io sappia li comprarono quasi tutti...
Mayoor
Tento di rispondere, anche se ovviamente non posso fare le veci di Gezzi. Anzitutto, credo che le domande non siano ben poste. Perché? perché nascono, credo, dal pretendere che una semplice rubrica web sia un compiuto progetto critico e/o editoriale. Non lo è, e prova ne è il fatto che le poesie non sono introdotte da commento. Queste domande andrebbero poste a chi scrive monografie sulla poesia contemporanea o edita antologie.
Comunque, risponderò per punti, e ogni numero corrisponde al numero della domanda:
1. il respiro epocale esula dalle ambizioni di una singola rubrica e dal tempo che uno può ragionevolmente dedicarvi. Perciò la scelta di concentrarsi su una generazione è una scelta di pratica operatività.
2. qui vorrei dei nomi. Perché la critica non si attaglia a Gezzi, che si è occupato di autori di generazioni precedenti (da Montale a Cattafi, fino a Buffoni) oltre che successive (come ora). Personalmente, credo sia giovanilistico occuparsi solo di autori coetanei, così come paternalistico occuparsi solo di quelli più giovani, e accademico occuparsi solo di quelli precedenti. Come uscire da questa cosa? ascoltando i testi, e arrivando ai poeti e al contesto solo dopo (e non viceversa come ci si ostina spesso a fare)
3. questo è un interessante problema metodologico, ma non credo abbia direttamente a che fare con coraggio o pigrizia. Perfino le antologie pubblicate pescano da bacini fondati su conoscenze più o meno dirette degli autori (vd. la critica di "romanità" mossa a Ostuni per la sua antologia), condivisioni di orizzonti o anche solo fatti di vita. E' una debolezza grave, questa, e però bisogna prendere atto che finora è stato così. Bisognerebbe agire in maniera più sistematica, raccogliendo i dati (le poesie) come potrebbe farlo un computer (cioè: considerare tutto o quasi l'esistente), e poi farli vagliare da parecchie persone indipendentemente. Un po' come fa il Premio Calvino con tutti i manoscritti che arrivano, insomma. Invece, spesso mancano proprio chiarezza e robustezza metodologiche. Comunque, rovescio la questione: se io conosco di persona un autore che ritengo valido, cosa mi deve bloccare dal proporre i suoi testi e stimulare una discussione? così, credo, Gezzi ha fatto.
4. questo punto è poco chiaro. Chi deve uscire dai recinti? a leggere il punto, sembra i commentatori (infatti ti riferisci ai commentio). Ma allora, bisogna fare in modo che chi commenta entri veramente nel merito della questione, e credo che non sia colpa di chi si limita a proporre testi che gli sono piaciuti.
5. certo, si può fare, ma questo di nuovo riconduce a un vero progetto critico, ampio e che richiede tempo (e oltretutto, a gratis); anzi, rilancio: non si potrebbe, a partire dal materiale esistente, discutere in parallelo le scelte di 3-4 rubriche comparandole tra loro? certo, ma questo è uno studio, un progetto rigoroso, e bisogna vedere chi ha abbastanza tempo e mezzi per farlo. Io no, purtroppo, faccio altre cose, anche se mi interesserebbe.
Ecco, per ora è tutto.
Ho scritto una lunga e dettagliata risposta. Non mi appare sullo schermo, spero sia un problema del mio computer o che debba essere vagliata e poi postata. In caso contrario, fatemi sapere e la riscrivo (ahimè)
Ennio Abate a Davide Castiglione:
Purtroppo ha fatto qualche errore e il commento è saltato.
Ecco le indicazioni tecniche che ho dato in passato ai commentatori:
Avvisi tecnici commenti sul blog
Partiamo dall'aspetto tecnico. In uno singolo spazio commento non entrano più di 4000 battute ( se superi il limite, ti esce un avviso giallo che te lo dice).
Io di solito per i commenti più lunghi che mi scrivo in Word (e non nello spazio commento) opero così:
1. ne evidenzio (annerisco) una parte e in Strumenti clicco >conteggio delle parole;
2. incollo circa 1200-1300 battute ( ma adesso ch ho accertato che sono 4000, posso adottare questo limite) e sotto scrivo: ['continua'] o [continua 1], poi 2, poi 3... se necessario;
3. ripeto l'operazione nel commento successivo scrivendo in alto: Ennio Abate [continua] e poi aggiungo un'altro segmento sempre sulle 1200-1300; e così via.
1. perché una rubrica dedicata soltanto ai poeti nati negli anni Ottanta rinunciando in partenza a un bel respiro epocale?
2. perché sempre più spesso si vedono in giro “nuovi critici” che i “nuovi poeti” li cercano (e pare li trovino a credergli) esclusivamente nella loro generazione o in quella appena precedente o successiva?
3. continuare a proporre soltanto le “perle poetiche” che spuntano nel proprio “bacino di coltura” può parere amore per un lavoro artigianale ben fatto, ma non è anche segno di miopia, di pigrizia, di paura?
4. non converrebbe uscire dai recinti, in cui le poesie poste “in vetrina” dal curatore di turno ricevono commenti di solito piattamente apologetici e poco argomentati o contestualizzati?
5. non si può coraggiosamente mettere a confronto le “perle” della cerchia A con quelle della cerchia B o C o D e aguzzare l’acume critico a 360 gradi e non a dieci o a venti o al massimo a trenta?
queste le domande. Continuo:
Ecco dunque a riscrivere il commento che ahimè non sono riuscito a pubblicare (troppo lungo).
Dunque, anzitutto temo che le 5 domande poste da Ennio Abate non siano troppo pertinenti, perché chiedono a una semplice rubrica mensile di comportarsi da progetto critico ampio e compiuto; cosa che non è e che forse non vuole nemmeno essere (infatti, le poesie non sono nemmeno introdotte da note critiche). E ora vengo nel merito delle domande (a ogni numero della risposta corrisponde quello della domanda), benché ovviamente non possa fare le veci di Gezzi.
1. La scelta “generazionale” può essere compresa e motivata come scelta pratica e operativa; per ottenere un “respiro epocale” (ma poi, nei fatti, cosa significa questa espressione?) serve ben altro: una mappatura esaustiva, delle basi teoriche e teoretiche, etc. Insomma, uno studio accademico e monografico, o un progetto che va al di là delle forze che un singolo può dedicare a un progetto su web. Sono in tanti a occuparsi di poesia sul web, e credo che nessuno si sia mai arrogato il diritto di indagare sul “respiro epocale” della poesia contemporanea. Ok, ma perché i nati negli anni ‘80? Perché sono esordienti, e perché comunque si internet si trova molto materiale anche sui nati negli anni 60’ e 70’ o prima, no?
2. Qui vorrei dei nomi; perché l’accusa mi sembra non si attagli a Gezzi, che si è occupato di poeti molto precedenti la sua generazione (Montale e Cattafi) e di poeti di un paio di generazioni precedenti (Buffoni), nonché - come qui - dando attenzione a poeti di una generazione successiva. Non so, personalmente quanto sia diffuso questo fenomeno del cercare poeti tra i quasi coetanei; questa cosa la riterrei giovanilistica, come riterrei potenzialmente paternalistico occuparsi solo di autori molto più giovani o accademico occuparsi di autori molto precedenti; bisognerebbe invece ascoltare i testi, e solo dopo giungere a chi li ha scritti e al suo contesto storico-sociale-filosofico (invece spesso si fa il contrario, mi sembra)
3. Questo è un interessante problema metodologico; non lo vedrei tanto come segno di pigrizia o paura (paura di cosa?). Rovescio la questione: se conosco, per i motivi più vari (vicinanza generazionale o geografica, casi della vita) un autore e lo ritengo valido, cosa deve bloccarmi dal proporre le sue opere e condividerle con un pubblico più ampio? Quanto ai bacini di utenza, dicevo, è un problema metodologico grave che intacca perfino le antologie (vd. le accuse di “romanità” mosse all’antologia di Ostuni), quindi mi sembra eccessivo pretenderle da una rubrica. Idealmente, bisognerebbe raccogliere tutte le poesie di tutti gli autori (anche non pubblicati), vagliarle (la cosa dovrebbe essere fatta da un gruppo di esperti indipendentemente l’uno dall’altro), e poi proporre un bacino di testi e autori, dove tutte le esclusioni sono volute e non accidentali. Ma questo è un procedere collettivo che appartiene, ahimè, più alle scienze (anche sociali) che alla letteratura, e non so se sarà realizzabile.
4. Qui non è chiaro. In che senso uscire dai recinti? Se il riferimento è a chi commenta, allora la colpa non è di chi semplicemente ha postato dei testi credendoli validi (e avendo l’autorevolezza e il gusto per difenderne, se ce ne fosse bisogno, la qualità), ma dei commentatori. O no?
5. Certo che si potrebbe, ma ancora, servirebbe un progetto rigoroso e ampio, una cosa che occupi tempo ed energie che non tutti possono permettersi di spendere. Si potrebbe, infatti, discutere in parallelo le scelte di selezione di 3-4 rubriche e trarne delle conclusioni o riflessioni, ma perché chi critica non colma il vuoto facendo lui quello che propone (se non l’ha già fatto). Personalmente, è una cosa che mi interesserebbe fare, ma non ho tempo perché faccio già altro per la poesia. In futuro, magari, chissà.
Ennio Abate a Davide Castiglione:
Vado per punti:
1. È proprio il pragmatismo spicciolo e “operativo” della scelta “generazionale” che metto in discussione. Non si può andare avanti parlando solo di quello che ci passa sotto il naso. I «poeti nati negli anni Ottanta» sono preceduti e seguiti da quelli di altre generazioni; e una visione d’insieme, storica, capace di muoversi in un arco temporale più vasto da definire con buone ragioni ( questo intendo per “respiro epocale”) permetterebbe non solo di capire meglio continuità e rotture, novità reali e novità fasulle, ma di definire meglio cosa sia da intendere oggi per poesia (cosa null’affatto scontata).
Certo, ciò comporta «una mappatura esaustiva» (invece delle “antologie”, delle ”enciclopedie” o “dizionari” che si sfornano per accalappiare i *moltinpoesia* più desiderosi di visibilità a buon mercato). O una ripresa della riflessione critica e teorica (non necessariamente accademica, ma ben fatta, ragionata, non “amicale” o “parrocchiale”).
Non è impresa alla portata di un singolo. Sono in parte d’accordo. Ma quello che fa il singolo, lo studioso isolato e senza appoggi da chi ha più potere (accademico, editoriale, ecc.), può cedere alla moda del momento (il pragmatismo appunto) o contenere il seme di un «progetto critico ampio e compiuto».
E proprio perché anche sul Web prevale l’immediatezza, il “fai da te”, il coltivare il proprio orticello recingendolo gelosamente, sarebbe ora che ci fossero spinte controcorrente. Ma se la risposta che si dà a questa esigenza è « mi interesserebbe fare, ma non ho tempo perché faccio già altro per la poesia. In futuro, magari, chissà», è chiaro che ci si muove in direzioni diverse e il conflitto tra “pragmatici” e “progettualisti” diventa serio.
2. Io ho posto delle domande e non ho fatto accuse specifiche. Ho evitato di fare nomi, proprio per ragionare e non metterci a litigare. Pongo un problema che mi pare storicamente fondato.
Sto lavorando per il n. 9 di «Poliscritture» sugli Atti del convegno «Dieci anni senza Fortini 1994- 2004» tenutosi a Siena e trovo in un intervento di Romano Luperini un brano che s'adatta al tema qui sollevato e ben lo sintetizza:
«[Oggi è stato] messo in discussione quel processo di trapianto, trasmissione, traduzione in senso orizzontale tra i popoli ed in senso verticale dal passato al presente al futuro che è al centro proprio del suo [di Fortini] modo di concepire la vita ed il mondo. La piaga su cui si mette il dito è quella che altre volte ho chiamato il salto di una generazione o di più generazioni, cioè il fatto che un’intera lingua entra in un cono d’ombra e si parla un’altra lingua».
Ecco, il problema difficilissimo (e che non so neppure se sia più affrontabile, vista la dispersione di energie e il caos delle esperienze in corso) è riconnettere per quel che si può tempi lunghi, che appaiono irrimediabilmente seppelliti, e tempi brevissimi, che appaiono in massima ed effimera evidenza in un “presente” falso.
Va benissimo «ascoltare i testi» ma, se chi li ascolta ha perso o non si cura neppure più di un « contesto storico-sociale-filosofico» di una certa ampiezza ( torna il “respiro epocale”), l’ascolto può essere effimero e senza bussola.
[Continua]
Ennio Abate a Davide Castiglione [Continua]:
3. Proprio perché il problema è enorme, proprio perché comporterebbe un abbandono di abitudini fortemente radicate in una sorta di “artigianalità individualistica” introiettata da parte dei poeti e critici letterari, proprio perché lo stile “collettivo” della ricerca scientifica è snobbato e disprezzato da molti letterati, bisognerebbe insistervi e porlo con forza e non *pour parler*.
Le resistenze sono persino inconsce e soprattutto corroborate da pratiche istituzionali a cui i singoli sono spesso legati mani e piedi e spesso anche per vincoli economici e affettivi.
Anni fa (2005 circa), quando ero in una rivista («Il monte analogo»), scandalizzai i suoi redattori con un editoriale, intitolato «Foto di gruppo con riviste» che mi fu contestato perché, alla conclusione di un'indagine sulle tante riviste di poesia, dicevo:
Alla fine di queste considerazioni viene da porre una questione: le riviste sono state per così dire esposte “in vetrina” su un sito del Web, ma ciascuna resta nella sua celletta ad oscillare tra competizione e cooperazione. A quando un dialogo critico non diplomatico, non cannibalico, non settario su alcune questioni dirimenti per uscire da un vago e ormai asfissiante *pluralismo* per passare da una sorta di privatizzazione della ricerca poetica ad una messa in comune dell’esperienza *plurale* che oggi caratterizza quest’epoca e non solo in poesia?
Può parere scandaloso a certi poeti e critici letterari, ma è ora d’imparare da microbiologi, genetisti e altri scienziati convinti assertori che il sapere e l’informazione non vengono prodotti da singoli individui, bensì collettivamente, attraverso la cooperazione; e che quindi la natura sociale e comune della produzione odierna mette in discussione la privatizzazione delle conoscenze, dei saperi, dell’informazione e delle reti comunicative. Questo, anche se si fa finta di non accorgersene e troppe sono ancora le resistenze, vale un po’ anche per la poesia (o almeno per il lavoro che fanno le riviste di poesia).
4. 5. Quanto appena riportato al punto 3 dovrebbe chiarire cosa intendo per “uscire dai recinti”.
[Fine]
Tutto è organizzabile (classificabile) in sistemi più o meno complessi. Così, perché no, anche i poeti. Non rifiuto a priori la possibilità che poeti nati nello stesso periodo siano fra loro accomunabili, ma non lo darei per scontato. Potrebbero più facilmente costituire una vaga nebulosa in cui ognuno fa a sé. Certo, accomunarli può essere una “scelta pratica e operativa”, ovvero di pura visibilità (e in questo senso non totalmente rifiutabile, purché sia chiaro lo scopo), ma anche una possibile causa di fraintendimenti e, nella peggiore delle ipotesi, di ostacolo alla conoscenza.
Ogni sistema di classificazione dovrebbe riflettere lo stato della conoscenza, identificare le categorie “naturali” e ordinarle.
Il raggruppamento ha quindi senso, secondo me, quando le conoscenze lo permettono, dopo cioè che si sia stabilito che quella determinata categoria o gruppo (per esempio i poeti nati negli anni ottanta) si diversifica da tutti gli altri per caratteristiche proprie. In assenza di solide basi di conoscenza ha uguale valore raggruppare quegli stessi poeti per colore dei capelli, altezza, censo, università di origine, mestiere…e la lista potrebbe essere infinita.
Ciao
Flavio
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