Su Poliscritture la pubblicazione di un articolo di Marcella Corsi anche le tartarughe forse nella pioggia ha avviato una discussione sui vecchi temi della differenza (vera o fittizia) tra poesia e poesia d'impegno politico e sul diverso atteggiamento (anch'esso non so quanto reale e quanto immaginario) di uomini e donne nei confronti delle guerre. Ecco la mia posizione.
Ennio Abate 30 Giugno 2024 alle 0:33
@ Dalessandro
“Difficile scrivere poesie d’impegno politico, se non si è dentro a quell’impegno; ma comunque difficile concentrarsi sulla “forma” quando il contenuto pare, o è, più urgente”
” Perché mi sento più vicino alla posizione di Fortini? Per varie ragioni: Fortini non si limita a un discorso puramente o esclusivamente estetico su quel complesso “oggetto” che è una poesia o un’opera d’arte; è più attento a indagare l’”impasto” ambiguo di storia, ideologia, immaginario, che forma una poesia; non sottrae al lettore comune (che non sempre è “fesso”, “ingenuo”, “profano”, ma a certe condizioni spontaneamente critico e indagatore curioso) l’interpretazione di un testo per consegnarla ai reali o supposti “specialisti della forma”, dai quali il lettore dovrebbe dipendere; non concede al poeta o all’artista un “lasciapassare”, una sorta non dico di impunità, ma di irresponsabilità etico-politica-conoscitiva. Mentre a me pare che Terzo, quando dice: «Il compito specifico del discorso letterario è operare al livello inventivo e immaginativo dell’originalità: se non è formalmente innovativo non è politicamente efficace, e neanche politicamente corretto», propone come unico o prevalente obiettivo della comunicazione poetica o letteraria o artistica l’«originalità» della forma. Esenta così il poeta, il letterato, l’artista dalla preoccupazione o dal compito – attenzione! – non dell’impegno (o dell’impegno politico, di cui dirò più avanti), ma da ogni verifica della politicità che è intrinseca all’uso sociale e politico dei linguaggi (di tutti i linguaggi) compresi quelli poetici, artistici e letterari. Raggiunta una forma innovativa, ne discenderebbe per Terzo che il discorso letterario (o una poesia o l’arte) avrebbe in teoria le “carte in regola” per diventare «politicamente efficace». Poi, se non lo diventa, questo dipende più dai lettori che dall’autore. Per me no: il nuovo, l’originale in poesia o in arte non è di per sé automaticamente positivo o politicamente efficace. È semplicemente nuovo. È semplicemente originale. Non è detto cioè che novità o originalità o bellezza o autenticità raggiunte in poesia o nell’arte costituiscano un valore quasi assoluto che sfugga di per sé all’ambiguità strutturale della poesia. La poesia o ’arte non riesce a fare tale “miracolo”. Resta solo «promessa di felicità» e, come si sa, le promesse possono aleggiare nel vuoto per secoli e indurre effetti narcotici.”
APPUNTO 1
“le mie sono battaglie… come dire? Amorose… Io scrivo quel che sento, e cerco di scriverlo bene. E’ questo il mio impegno. “ (Dalessandro)
Dunque, da una parte impegno sì ma solo in “ battaglie… come dire? Amorose” e dall’altra estraneità (è sempre la solita “vostra” lotta politica) attribuita – quanto arbitrariamente, come ho cercato finora di sostenere – alla poesia, che “non si cala nelle vostre battaglie”.
APPUNTO 2
APPUNTO 3
“Queste “Tre ghinee” è stato scritto fra il 1937 è il 1938, Virginia [Woolf] immagina che un rispettabile avvocato le chieda di sottoscrivere per un comitato contro la guerra: “ Care signore colte, fate qualcosa”. E gli risponde di no, in collera. Come osano gli uomini chiedere alle donne di intervenire come cittadine quando le hanno escluse dalla cultura (dirottandole dalla proprietà dei beni, dall’esercizio delle professioni? Prima di intervenire nella vostra politica – conclude la Woolf – dovremmo essere restaurate come cittadini: devo mandare tre ghinee a tre altri comitati che si occupano delle emancipazione della donna…E ammesso che ci riescano, la politica che faremo allora non sarà simile, nelle forme e nei modi, alla vostra: aboliremo la guerra demolendo con l’ironia la volontà aggressiva del maschio; toglieremo le piume alla politica irridendo alle sue pompe e gerarchie; impediremo l’accumulazione dei profitti perché per le donne proprietà è sussistenza, non accumulazione; infine ci troveremo in qualche guaio col lavoro, perché se è umiliante stare a casa, è alienante il “vostro” lavorare. Per ora è fino ad allora siamo “estranee”. (pag. 131)
“C’è un paradosso nel discorso che le mie amiche femministe fanno sul potere: sono convintissime che esso è il nemico, ma non un così grande nemico, giacché sarebbe padrone di un terreno dal quale *ci si può tirar fuori*. Non dunque così terribile: come quella guerra, appunto, che la derisione delle “estranee” potrebbe in futuro impedire. Pensano, le mie amiche, che come nelle novelle di Andersen basti gridare: “Ma l’imperatore è nudo” perché quello sprofondi. Invece non sprofonda affatto. La cognizione del potere non ci rende liberi da esso, come quella del dolore non ci risana. O il potere viene spezzato oppure gridargli “Sei ridicolo, non ci sei, non ti vedo” non è più che indispettito colpo di spillo di una infelice signora inglese”. (pag. 134)
(Da “Donne e politica” in “Aperte lettere” di Rossana Rossanda, nottetempo 2023, Milano)
APPUNTO 4
( Da https://moltinpoesia.blogspot.com/2024/06/i-poeti-in-tempo-di-guerra-non-pensano_28.html)
APPUNTO 5 "I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza " di Ennio Abate + Uno scampolo del dibattito sul n. 12 (2017) di Poliscritture:
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