di
Ennio AbateProvate anche voi a leggere di seguito questa recensione (
qui), apparsa sulla pagina FB de
L'irregolare. Voci, poesie, insubordinazioni, il mio commento e la recensione scritta oggi da Pierluigi Sullo a "Verranno di notte" di Paolo Rumiz (
qui) e ditemi se non c'è da preoccuparsi dello stato di crisi della poesia e del sonnambulismo politico in cui viviamo. Pubblico, per comodità del lettore, i tre pezzi citati:
1.
PIETRO RUSSO - UN LANTERNINO PER "QUESTO SPENTOEVO": GIANFRANCO LAURETANO E LA MUSICA DELLE PAROLE
Gianfranco Lauretano è una specie di Diogene della poesia. Pur alla luce del giorno di Questo spentoevo (Graphe.it, 2024) egli continua a cercare tracce dell’umano nella sua forma più basilare («Risiediamo ancora in questo / corpo e non ci asteniamo / dall’imparare a dimenticare») dove «un me lontano soffia / qualche indizio raro / da una vita» (p. 11). Quello che potrebbe sembrare cinismo – tanto dei versi di Lauretano, quanto dell’antico filosofo greco – è in realtà un attraversamento sornione del tempo storico che ci chiama tutti a giudizio. Davanti a questo tribunale, che poi è il tribunale della posterità, il poeta può fare valere solo una ragione: «Non ho scritto altro che d’amore» (p.10).
Non fa sconti a nessuno, la difesa-attacco di Lauretano. Accademici, bestie che si conformano «alla categoria di Fabio Fazio», falsi imbonitori o semplici leccaculo: ce n’è per tutti nella metrica tagliente di questo libretto che scioglie in cantabilità (sulla scorta del caro “maestro” Caproni) i grumi di un livore civile. Il fatto è che qualcuno ha spento la luce del sole e la poesia allora deve rimettere a posto le cose con il suo canto franto dell’esistenza, suggerire un nuovo ordine, ristabilire cioè le verità che più nessuno osa dire: «i bambini ridono e riderebbero / anche nel mezzo dell’inferno. / […] tutto si apre / al cielo» (p. 18).
Ben vengano dunque i poeti come Diogene-Lauretano che hanno il coraggio di dire in faccia agli Alessandro Magno di turno – e nella maggior parte dei casi senza nemmeno un minimo della grandezza del Macedone – che il sole, malgrado le apparenze, non si può spegnere, e che la nostra specie risponde come una cassa armonica alle manifestazioni della «Cara Beltà». Noi, scrive il poeta, «siamo quelli che l’eterno / ha concepito per l’unica / risposta che gli importi / dirgli tu» (p. 32).
In Questo spentoevo si può continuare a dire che «per fortuna / succede qualcosa che ancora non so» (p. 33), ovvero che la poesia è sempre possibile e che non ha bisogno di dire niente, foss’anche una critica giusta ai costumi del tempo. La poesia, ci dice Lauretano, semplicemente c’è, è qui ad evocare la potenza musicale della parola, di un suono che si fa senso, canto dell’universo
2. Mio commento:Scusate, ma dopo aver letto l'articolo, alcune cose devo dirle, spero con sufficiente gentilezza:
1. “Davanti a questo tribunale, che poi è il tribunale della posterità, il poeta può fare valere solo una ragione: «Non ho scritto altro che d’amore» (p.10).”
Ma questo “tribunale della posterità” è un fantasma di comodo. Viene evocato solo per acquietare la propria coscienza. Proprio rivendicare come merito di non aver scritto “altro che d’amore” è ammettere la propria indifferenza al caos di un mondo che è dilaniato da odi sempre più feroci.
2. “Il fatto è che qualcuno ha spento la luce del sole e la poesia allora deve rimettere a posto le cose con il suo canto franto dell’esistenza, suggerire un nuovo ordine, ristabilire cioè le verità che più nessuno osa dire”
Ma dite almeno il nome di questo “qualcuno” che avrebbe “spento la luce del sole”. Vorrei sperare che ci sia qui un richiamo all’ illuminismo o alla ragione degli antichi, ma ne dubito. Anche perché subito dopo alla poesia - (ma quale? ce n’è una sola? e proprio oggi che è sempre più ai margini e ininfluente su destini del mondo?) - viene caricato addosso un compito sovrumano e allo stesso tempo indefinito.
3. “Ben vengano dunque i poeti come Diogene-Lauretano che hanno il coraggio di dire in faccia agli Alessandro Magno di turno – e nella maggior parte dei casi senza nemmeno un minimo della grandezza del Macedone – che il sole, malgrado le apparenze, non si può spegnere, e che la nostra specie risponde come una cassa armonica alle manifestazioni della «Cara Beltà». ”
Li vedete oggi i volti degli “Alessandro Magno di turno”? Le vedete le guerre che stanno facendo? Le vedete le atomiche (altro che il sole) che nascondono? E vi accorgete che “la nostra specie” è a rischio e non risponde affatto “come una cassa armonica alle manifestazioni della «Cara Beltà», ma è in preda a convulsioni fanatiche e distruttive?
4. “ In Questo spentoevo si può continuare a dire che «per fortuna / succede qualcosa che ancora non so» (p. 33), ovvero che la poesia è sempre possibile e che non ha bisogno di dire niente, foss’anche una critica giusta ai costumi del tempo. La poesia, ci dice Lauretano, semplicemente c’è, è qui ad evocare la potenza musicale della parola, di un suono che si fa senso, canto dell’universo”
Illusi. La poesia sarà ancora possibile solo se il mondo (in generale o il "nostro" mondo, quello in cui siamo cresciuti) non verrà distrutto ma mutato in meglio. Se no, altro che “potenza musicale della parola”. Se no, chissà quanti saranno quelli che potranno ancora dire: "Desertum fecerunt et pacem appellaverunt".
3. Pierluigi Sullo
Ho letto un libro sorprendente, a suo modo affascinante, e soprattutto anteguerra. Questa espressione è stata sempre adoperata per i periodi precedenti la prima e la seconda guerra mondiale, ma in questo caso si tratta della guerra che sta arrivando, di questo parla il libro, che si chiama infatti "Verranno di notte" ed è scritto da Paolo Rumiz. E', dice lui stesso, un "pamphlet", una sorta di dichiarazione e denuncia. Ma secondo me è molto di più, perché è personale (viene scritto prima dell'alba, tra i rumori del bosco in cui è immersa la casa di campagna o collina, al confine con la Slovenia), ed è fitto di citazioni, di aneddoti, di personaggi pubblici e privati, importanti e non, ed è quindi molto interessante da leggere.
Per decenni, facendo il giornalista, inciampavo nella firma di Paolo Rumiz, in generale su la Repubblica, e ne dffidavo assai, lo percepivo, l'autore e viaggiatore triestino, come la frontiera orientale dello scalfarismo, quel coacervo di precetti che è nato, nel '76, con il principale scopo di "modernizzare" il paese, in paricolare spingendo il Partito comunista verso occidente, verso il "riformismo" alla Clinton, anni dopo, che ha definitivamente distrutto la diversità comunista, come diceva l'ultimo Berlinguer.
Rumiz scriveva qui, però aveva e ha le sue peculiaerità. E' di Trieste, la città-terminale adriatica dell'ex impero asburgico, spazzato via come tutti gli imperi dalla prima guerra mondiale, ciò cha ha trasformato Trieste in una periferia dell'Italia, mentre i Balcani e l'Europa centrale e l'Ungheria entravano in un caos, spesso a mano armata, che non è mai cessato. Ed è qui, in questa ferita che non si rimargina, che Rumiz, grande conoscitore delle regioni danubiane per averle percorse a piedi, si può dire, per decenni, incardina la sua passione, forse ossessione, per l'Europa.
Ma l'Europa, nella sua versione attuale, non corrisponde al sogno, anzi si va disfacendo, sotto l'urto dei nuovi nazionalismi e, scrive lui, di "uno spietato neoliberismo", che ammazza l'eguaglianza in nome del profitto, e della religione del Pil, il Prodotto interno lordo. Solo alla fine del "pamphlet" Rumiz annota qualche ottimismo, soprattutto sui giorvani che si battono per salvare il pianeta dalla crisi ambientale, ma penso sia più un auspicio che una constatazione, almeno fin qui.
Non si può dire che Rumiz sia comunista (al confine jugoslavo era piuttosto difficile esserlo), ma che importa, se denuncia gli orrori commessi contro i migranti che, attraverso la "rotta balcanica" si affacciano al confine laceri e stremati, o chiede che l'Europa divenga consapevole di sé, il continente dove, almeno un po', l'eguaglianza è stata una religione civile?
Il titolo completo è "Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa". Eh già.
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