lunedì 21 marzo 2011

CONTRIBUTI
Ennio Abate, Luisa Colnaghi, Aldo Giannuli, Enzo Giarmoleo
Scrivere al presente 4: guerra

 
 Questo 4° post 
di "Scrivere al presente" 
è un montaggio di testi
in versi e in prosa
 di vari autori.
 
 
 
 
 * Luisa Colnaghi
MALUM
O Signore cosa si deve fare
con un governo del  male-fare?
Con la corruzione
la morale dell'amorale?
I governanti senza umiltà
vantano diritti di potestà
non conoscono  dignità
da ogni parte disonestà
siamo spettatori di un
declino che non ha fine.

O Signore quale castigo
dobbiamo espiare?
Le “escort” di milionari
sono in TV come le dive
i processi  contestati
la  difesa corrotta
la giustizia negata.
Un male che dilaga
putredine che sale
non sappiamo come fare.

* Enzo Giarmoleo
SIMMETRIE
"Ceci n'est pas un poème"

Dopo 
le dichiarazioni 
rassicuranti
intelligenti
acutissime
saggissime
rivoluzionarie
responsabili
sul Nucleare 
Voilà la guerre!
Voilà la guerre!
La Gue-rre! Ah!
A-Ah! La guer-re! Ah!
Rassicurante 
calda
all'uranio impoverito
ma non da 4 soldi
risolutrice 
di tutti i problemi
purificatrice 
Ce la meritiamo
N'est pas? 

In linea di massima sono contrarissimo ad ogni intervento militare esterno e sono dell’idea che ogni popolo debba costruirsi da solo il proprio destino. Quando ci fu l’attacco all’Afghanistan e poi all’Irak in nome dell’esportazione della democrazia mi schierai con il movimento contro la guerra, sarei contrario ancora oggi ed a più forte ragione dopo l’esperienza fatta. Ed allora, mi si dice, perchè questa volta non dovremmo essere contrari? Le posizioni di principio debbono sempre fare i conti con la realtà politica. Qui mi pare che ci siano tre differenze determinanti rispetto alle guerre di Afghanistan ed Irak:
1- in questo caso siamo in presenza di una sollevazione popolare che mancava del tutto in Afghanistan e, tutto sommato, neanche in Irak (salvo l‘endemica  guerriglia curda)
2- questo accade all’interno di un profondo rivolgimento delle società arabe, pur se con differente intensità, dalMarocco all’Egitto, dalla Siria al Barhhein, dall’Arabia Saudita allo Yemen. Un processo di grandissime proporzioni storiche che mette in discussione non solo le attuali leadership dei paesi arabi ma anche la loro  struttura politica e sociale.
3- non stiamo parlando di un intervento a terra, con conseguente occupazione militare straniera ma di  limitate operazioni aeree accompagnate da pressioni politiche ed economiche. E’ cosa ben diversa.
Soprattutto, qui siamo di fronte ad una insurrezione che sembra (sembra: lo dico anche io) avere un vasto consenso popolare, per lo meno in Cirenaica, ma non ha la forza militare di opporsi ad un regime che non ha alcun appoggio popolare neanche in Tripolitania (questo almeno pare abbastanza evidente). E c’è il consistente pericolo di un massacro. Che si fa? In nome dei principi si resta a guardare? Personalmente non trovo che un limitato intervento militare, come dei raid aerei, o fornire armi pesanti a ribelli costituisca uno stravoglimento insopportabile di quel principio. Resto invece contrarissimo ad un intervento militare a terra con occupazione militare straniera della Libia. Ma non credo che ci sia bisogno di tanto. Già la risoluzione dell’Onu sembra aver un po’ calmato il Rais e, se non si fosse perso tempo inutilmente e ci si fosse mossi con decisione prima, probabilmente oggi non sarebbe neppure necessario ricorrere ai raid.
Resta un problema serissimo: visto che non è stato riconosciuto nessun governo libico diverso da quello di Gheddafi, questa si configura come una aggressione ad uno stato sovrano e la risoluzione dell’Onu non sana questa violazione delle norme internazionali. Piaccia o no, Gheddafi  avrebbe tutto il diritto di invocare la domestic jurisdiction. Certo, fra il rispetto per la legalità formale e le esigenze di carattere politico di sostenere una possibile evoluzione democratica della Libia preferisco la seconda cosa. Ma è una procedura discutibile e pericolosa, anche perchè non vorremmo che questo aprisse la strada ad un intervento di terra che, in assenza di un governo riconosciuto, porti ad una occupazione militare con un governo fantoccio, elezioni addomesticate ecc. (il film già visto troppe volte).
[...]
Ma allora, tutto ciò considerato, dobbiamo schierarci contro l’intervento? No. Resto dell’idea (per quanto mi pesi ammetterlo) che l’intervento è oggi la soluzione preferibile alle altre. In primo luogo perchè, piaccia o no, le scelte sono due: o accettare l’intervento o schierarsi con Gheddafi. Senza l’intervento, gli insorti non avrebbero la forza militare per resistere all’attacco delle forze governative. Dunque, scegliere di stare dalla parte degli insorti (è questa la mia scelta) significa accettare, pur di mala voglia, l’intervento. E’ una scelta pesante, sgradevolissima anche perchè conosciamo bene il peloso umanitarismo dei governi Nato, ma altre scelte non ci sono. O accettare l’intervento o stare con Gheddafi. E, infatti, alcuni degli intervenuti sul mio profilo Fb sono abbastanza trasparentemente dalla parte del Rais, tanto che definiscono gli insorti “un pugno di ribelli in ritirata”, dunque un manipolo di disperati immeritevoli di ogni appoggio, giustamente perseguiti dal loro governo.
Può darsi che questa sia la lettura corretta dei fatti, ma personalmente sono convinto del contrario: che si tratti di una rivolta popolare anche se gli esiti non è detto che saranno positivi. Nel gennaio 1979, ricordo che tutta la sinistra era dalla parte della “rivoluzione del mercato a Teheran”, poi quello che venne fuori fu il regime degli ayatollah che non è certamente un esito positivo di quella rivoluzione, ma come potevamo stare dalla parte dello Scià? Ed, allora, oggi perchè dovremmo usare un metro diverso per Gheddafi?
In secondo luogo, è possibile scongiurare l’intervento a terra, come la vittoria dei governativi, per arrivare, quantomeno, ad una soluzione di compromesso, comunque preferibile al regime precedente.
Ma il motivo che mi spinge su questa posizione è soprattutto la lettura che mi sembra si debba dare di quello che sta accadendo in Medio oriente. Credo che siamo di fronte ad una rivoluzione del mondo arabo che ne scuote dalle fondamenta il sistema di potere tanto nella variante tradizionale monarchica (Arabia Saudita, Marocco, Barhein) quanto in quella nazional militare dei Rais (Tunisia, Siria, Egitto, Libia, forse Algeria). Questo è l’ avvenimento epocale più importante rispetto al quale tutte le altre considerazioni passano in secondo piano. Anche la giustissima ostilità contro gli eserciti Nato.
Qualche decennio fa un signore con la barba mi insegnò che “i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti”.
Sono ancora di quella idea e non sono affatto allineato all’interventismo delle classi dominanti occidentali (rassicuro chi si dice deluso da un “Giannuli allineato”). Naturalmente è possibile che le mie valutazioni siano sbagliate e se i fatti mi daranno torto non avrò difficoltà ad ammetterlo, come ho sempre fatto. Ma il banco di prova sul quale misurare la giustezza o meno di queste posizioni non è l’esito del singolo caso libico, ma quello dell’ondata di rivolta araba di questi mesi.

* Ennio Abate

Gentile Aldo Giannuli,
seguo  di tanto in tanto il suo sito che ho tra  i “preferiti”, ma sono abbastanza sconcertato da questa sua presa di posizione per me di  fatto a favore (anche se non entusiasta) dell’interventismo neocolonialista  in Libia.
In breve le mie obiezioni. Lei  a fondamento morale e politico della sua attuale posizione si richiama a Marx e ai comunisti e scrive: “Qualche decennio fa un signore con la barba mi insegnò che “i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti”.
Le chiedo: ma cosa sono i comunisti oggi? Cioè quali lotte reali fanno nei loro paesi, per cui avrebbero una tale autorità politica (e magari mezzi materiali) per pesare con il loro appoggio sulle lotte che altri stanno conducendo nel mondo?
Mi chiedo pure chi siamo ‘noi’ che dovremmo appoggiare queste lotte. E qui  mi rispondo: siamo degli intellettuali più o meno isolati, più o meno influenti su alcune  fasce minoritarie ancora pensanti, più o meno indipendenti dai partiti che fanno le scelte che contano (come quella appena fatta dal PD di Bersani o di D’Alema…) e che orientano (o condizionano) il grosso dell’opinione pubblica o dell’elettorato “di sinistra”.
 Se siamo d’accordo su questo ‘noi’, mi chiedo: cosa possiamo dare agli insorti? E poi: di che insorti si tratta? E ancora:  che giovamento tali insorti avranno dal nostro appoggio (più morale che politico e materiale, credo di poter dire realisticamente parlando)?
Allo stesso modo mi chiederei: che influenza può avere sui  veri interventisti (quelli che hanno deciso e sono in grado di fare l’intervento in Libia) il  nostro appoggio totale o limitato o condizionato alla loro azione, visto che – ripeto – si tratta anche qui di un appoggio (più morale che politico e materiale)?
Lei dice: le scelte sono due (“o accettare l’intervento o schierarsi con Gheddafi”). Dovrebbe aggiungere che le scelte al momento possibili si sono ridotte o sono state ridotte (da Gheddafi e da quelli che ora lo vogliono liquidare: insorti + sostenitori sinceri o strumentali degli insorti) a queste. E già questo aprirebbe altri discorsi… E mi chiederei pure - perche no - che scegliere è questo e se davvero è uno scegliere il nostro. Perché la realtà, il destino, la storia (ognuno metta quello che vuole) ha tolto di mezzo la scelta davvero ‘nostra’, quella che davvero desideravamo fare o desideremmo ancora fare o che forse in anni passati abbiamo creduto di fare: una lotta per la nostra e altrui libertà sentita come assoluta e non condizionata. 
Ora perché ‘noi’ (il ‘noi’ anzidetto) dobbiamo  subire o  rassegnarci obtorto collo a una scelta impostaci da altri più forti e potenti di noi? Possiamo anche rifiutarci. Proprio perché ci viene imposta. Anche questa  sarebbe una scelta. Proprio perché siamo in uno stato di impotenza politica, sarebbero preferibili le scelte che ci permettano di  uscire o ridurre la nostra impotenza politica non quelle che la confermano e che ci rendono gregari dei più forti. Ne usciamo forse o la riduciamo allineandoci o a Gheddafi o   agli insorti (ma inevitabilmente anche al “peloso umanitarismo dei governi  Nato”)? Non mi pare.
 Lei dice: “scegliere di stare dalla parte degli insorti (è questa la mia scelta)”. Ma che significa “stare dalla parte degli insorti”?  Mettiamo da parte un attimo la questione, comunque non trascurabile di chi siano gli insorti in Libia. Facciamo che siano  realmente  degni di essere appoggiati. Cosa gli diamo più della nostra simpatia e appoggio morale? Cosa ottengono realmente da noi, visto che il nostro appoggio si confonde e svanisce in quello ben più influente e ambiguo degli  umanitaristi “pelosi” (da Obama a Sarkozy a Frattini e La Russa)? (Non finiamo per appoggiare più  costoro invece degli insorti? Siamo forse in grado di “scongiurare l’intervento a terra” se non siamo stati in grado di scongiurare questo ennesimo intervento “umanitario”?)
 La sua scelta a favore degli insorti non è solo “sgradevolissima”.  Sembra nascere più da un (malinteso) problema di coscienza morale. E temo che anche l’altra posizione - di chi sta “abbastanza trasparentemente dalla parte del Rais”- abbia lo stesso difetto, anche se è d’altro segno (meno movimentista e più elitario).
In fondo, se poi  questa risulterà davvero “una rivolta popolare”, avrebbe tutto da guadagnare da appoggi  reali, razionali e meditati che da quelli emotivi, morali e  spesso effimeri. Se lei è convinto “che siamo di fronte ad una rivoluzione del mondo arabo che ne scuote dalle fondamenta il sistema di potere tanto nella variante tradizionale monarchica (Arabia Saudita, Marocco, Barhein) quanto in quella nazional militare dei Rais (Tunisia, Siria, Egitto, Libia, forse Algeria)” si sforzi di accertarlo scientificamente, accumulando altri dati, riflettendoci razionalmente. È questo il vero appoggio che può o possiamo dare da intellettuali alle lotte.


* Nota
Gli stralci sono tratti dal sito di Aldo Giannuli: http://www.aldogiannuli.it/
 
Aldo Giannuli (Bari, 1952) è ricercatore di Storia contemporanea presso 
l’Università degli studi di Milano. E’ stato consulente delle Procure di
 Bari, Milano (strage di piazza Fontana), Pavia, Brescia (strage di 
piazza della Loggia), Roma e Palermo. Dal 1994 al 2001 ha collaborato 
con la Commissione Stragi ed è salito alla ribalta delle cronache 
giornalistiche quando, nel novembre 1996, ha scoperto una gran quantità 
di documenti non catalogati dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero 
dell’Interno, nascosti nell’ormai rinomato “archivio della via Appia”. 
Il suo ultimo libro è L’abuso pubblico della storia.

La lettera di Ennio Abate è pubblicata come commento sul sito di Aldo Giannuli

4 commenti:

Anonimo ha detto...

e se la Libia fossimo noi? Cosa chiederemmo? Provare a morire per capire...

Anonimo ha detto...

Inserito da E.A. e tratto dal sito "Conflitti e strategie":

c'è qualcuno che riesce a mettere un link da cui si possa scaricare, per chi ha i programmi adatti, il film Oh che bella guerra (1969) di Attenborough. Un film sulla I guerra mondiale, in chiave di balletto, ma anche con momenti di commozione (la scena finale è drammatica ma coinvolgente). Attori eccezionali fra cui Laurence Olivier, John Mills, Ralph Richardson, ecc. Come si è entrati in guerra recitando la parte di quelli che volevano starne fuori e lasciar scannare gli altri, gli intrighi ai balli alla Corte d'Inghilterra per farsi eleggere capi di Stato Maggiore, ecc., il contrasto tra la vita di questi schifosi e la vita nelle trincee, il momento alto del Natale (l'anno non lo ricordo) in cui le truppe "nemiche" si incontrano nella terra di nessuno e festeggiano insieme, accusate poi di diserzione. I comandi inglesi che non rispondono alle richieste di appoggio di quelli francesi dicendo: tanto loro farebbero lo stesso. La smania del generale comandante delle truppe inglesi che ordina continui assalti in massa, con massacri incredibili senza sfondare mai il fronte tedesco, perché vuol finire la guerra prima che intervengano gli americani, che invece ce la fanno a prendersi la loro parte di "gloria" (e di morti) con rabbia enorme degli inglesi. E infine la scena finale con la macchina da presa che si allontana dall'alto su una sempre più larga distesa di croci e un commento musicale adeguato. Godetevelo perché sembra un balletto, ma dice cose molto acute e soprattutto vi fa odiare tutto questi schifosi che parlano del "non se ne poteva fare a meno".
glg

Anonimo ha detto...

Inserito da E.A.:

B. BRECHT, BREVIARIO TEDESCO

Quando la guerra comincia / forse i vostri fratelli si trasformeranno / e i loro volti saranno irriconoscibili. / Ma voi dovete rimanere eguali. / Andranno in guerra, non / come ad un massacro, ma / ad un serio lavoro. Tutto / avranno dimenticato. / Ma voi nulla dovete dimenticare. / Vi verseranno grappa nella gola / come a tutti gli altri. / Ma voi dovete rimanere lucidi.

Dalle biblioteche / escono i massacratori. / Stringendo a sé i figli / stanno le madri e scrutano atterrite / nel cielo le scoperte dei sapienti.

I progettisti sgobbano / curvi sui tavoli da disegno: / una cifra sbagliata e le città del nemico / restano incolumi.

Anonimo ha detto...

Inserito da E.A.:

Da
TRILUSSA (Carlo Alberto Salustri), NINNA NANNA DELLA GUERRA (1914)

[..]Ninna nanna, tu non senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che comanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio della razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro
chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
è un gran giro de quattrini
che prepara le risorse
pe’ li ladri de le Borse.
Fa’ la ninna, cocco bello,
finché dura ‘sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambiano la stima
boni amichi come prima.
So’ cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra di loro
senza l’ombra di un rimorso
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe’ quer Popolo cojone
risparmiato dar cannone!