Da alte torri non ho
parole
da infiammare gli animi.
Forse uno sguardo più lungo
che da colline e mutevoli orizzonti
vede anzitempo avanzare
la tempesta.
“Ecco l’onda che arriva”, posso dire,
mentre tumultuoso
pulsa il mio sangue nelle vene.
Ma l’eco poi si inceppa su campagne
che l’inesorabile salsedine
di sale umano maledetto
ha bruciato;
o si sfinisce con lentezza
sulla punta dei minareti.
Solo arditi fiorranci sfideranno le pale
dei metallici Hawks, scafandrose libellule
portatrici di morte (come in Somalia).
Perché comunque la vita continua.
Così che ognuno stringendosi alle sacre
case, e piante e riti
per cui è vissuto e per cui
ha ritenuto giusto vivere,
ognuno nella sua incerta ombra,
circondato da suoi,
ma solitario a se stesso,
potrà richiamare memorie di padri amati,
traditi, vituperati od anche
inesistenti.
Ma finirà lì.
Tristemente lì finirà
sperando un’altra volta ancora
su un salvifico eroe che non c’è.
Così anche se nulla poi sarà come prima
nessuno potrà sentirsi di qualche cosa
responsabile e partecipe:
perché il non voler sapere
è tomba su cui non si possono
piangere lacrime.
(03.03.2011)
2) Maghreb - febbraio 2011
Orrendo
il silenzio delle piazze in rivolta
ormai mute dei suoni consueti
nati in una stessa terra
da un ventre condiviso
sia pure in lotta.
Colori al nero,
ché non ravvivano lo sguardo
gli ibischi d’oro o gli sfinenti gelsomini
ma lo rendono cupo di messaggi ambigui,
che vengono un’altra volta da fuori
violando con parole bugiarde
il ricco giardino delle Esperidi.
Lì è arrivata la serpe
come sempre pronta a strisciare
e a proteggersi dall’ira
per i danni provocati
dai suoi subdoli veleni.
Ma secche sul terreno ha lasciato le sue tracce
(quanti anni sono passati dalle bombe su Bengasi?).
Anche se ora la sua pelle
splende lucida, iridata e nuova
è pronta ad altre tentazioni.
Nostra fragile memoria, addio.
Perché lì fra corruttibili altipiani
dove l’oro nero pulsa come un cuore asmatico
anche la volpe ha trovato la sua tana continua
e nei denti aguzzi ride
la multiforme scaltrezza
di animale braccato e mai vinto.
Sicché, penosamente, tra polvere e sudore,
preso nel mezzo di progetti altrui,
si muove un brulichio di creature
non ancora persone perché a se stesse
abbandonate e ad arte
illuse del bisogno di rivolta
per il loro destino.
Attori mossi da fili di cui
non sanno nulla
sono chiamati come sempre sulla scena
a recitare un copione non loro;
maschere di fango, tristi Golem che fanno tenerezza
paura e rabbia.
Sui lunghi striscioni, non già più
singola bandiera
per cui ci si fa senso e memoria,
si svolgono proclami già sentiti
parole che danno il senso dell’usura
non certo per la sabbia del tempo
dagli eterni e insensibili granelli.
Questo oggi mi lacera il cuore.
Su inutili morti
impazzite moviole corrono all’indietro
mostrando fotogrammi di passioni rinnegate
ma applicate ad un presente che non c’è
come se la storia sempre ora cominciasse.
(15.03.2011)
3) Nomina sunt consequentia rerum (?)
Potrò dare un nome agli uomini o alle cose
che accadono, Tunisi (la rivolta del pane),
Mubarak (defenestrato),
il cuore nero di Fukushima,
o a tutto ciò che sta intossicando
il nostro lugubre presente.
Ma sarà così che le farò morire
un’altra volta ancora
strette e chiuse fra le assi
che delimitano il nostro
bisogno di certezze.
E ognuno assentirà con cenni gravi
del capo sicuro di sapere
di che si sta parlando
come succede ai funerali
rigido il morto nella cassa.
Sguardo vola via, per un istante
sciogliti dagli amplessi sicuri
che seducono la carne dei tuoi sensi.
Entra e trema nella foresta di domande
che ancora non hanno una risposta.
(17.03.2011)
4) Homines qui fictis causis innocentes opprimunt
Come tradito amante di utopia, a braccia alzate,
rotola e batte la sua impotenza lungo i muri
e smania e aggredisce pareti che non danno
risposte perché impossibili sono le domande,
così io.
Questo è un sabato di morte e la luna piena al perigeo
guarda da vicino i musi dei Tornado e dei Typhoon
che raspano in aria impazienti di far cadere a terra
stracci di carne e un cielo a pezzi ormai
impoverito.
War, war, war così vassalli valvassini e valvassori
gridano forte facendosi coraggio e si spalleggiano
all’idea che il nemico del padrone sarà sconfitto.
Non c’è chi invece gridi assassini, assassini, assassini,
mentre i vigliacchi, ombre nell’ombra dei salotti buoni,
pensano, non toccherà certo a noi, e intanto procede
la mattanza.
Ma è utopia non arrendersi all’idea
che si possano strappare i veli di menzogna
che abbelliscono le infamie o che, come lupus et agnus,
invertono il senso delle cose? Poter svelare
non Muammar Gheddafi e non Obama
ma tutto ciò che li sostiene e che fa sì
che nella confusione che si crea
si possa ancora dominare a lungo con violenza
indisturbata?
(19.03.2011)
*Nota.
Il "Quartetto per il Medio Oriente" era formato da ONU, Unione Europea, Stati Uniti e Russia per promuovere il dialogo e le azioni di pace in Medio Oriente. Al momento della costituzione il presidente era Blair.
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