domenica 20 marzo 2011

CONTRIBUTI
Enzo Giarmoleo
Ancora sull'incontro
del 15 marzo 2011.
Ancora su critici e poeti



E' bene tornare su certi argomenti per contrastare "l'usura da blog", cioè la veloce scomparsa di temi importanti trattati in un post. Ecco allora le "Considerazioni relative all’incontro del 15 marzo 2011 con il Prof. Paolo Giovanetti alla Casa della Poesia di Enzo Giarmoleo da aggiungere e confrontare con il resoconto da me fatto  (Clicca qui) . [E. A.]

Credo che la provocazione iniziale di Giovanetti abbia permesso di chiarire quale sia “lo stato delle cose “ cioè in quale stato versa oggi la condizione dei critici e dei poeti.
Personalmente nutro dubbi sulla neutralità della critica in generale. Ancora oggi si tende a camuffare l’ideologia con complesse teorizzazioni. Certo ideologia è parola obsoleta ma c’è sempre una “concezione del mondo” che crea ostacoli.
Se si escludono quelli che non si fecero contaminare dalle avanguardie e i cui eredi sono li a deputare ancor’oggi cosa è e cosa non è poesia, restano quelli che attuarono la prima vera cesura con la tradizione e gli eredi di questi. Mi sembra che sia i primi che la cosiddetta neoavanguardia forse troppo impegnata, nella costruzione di un potere editoriale accademico e culturale, non siano mai stati, per ragioni opposte, molto teneri con i poeti che non rispettavano certi canoni. 
Un esempio storico: se si esclude il lavoro immenso di Fernanda Pivano non vi è mai stata ad esempio nessuna presa di posizione a favore dei poeti della “Beat generation” né da parte dei “conservatori, né da parte degli “avanguardisti”. Eppure tanti intellettuali hanno spesso tratto vantaggio da quel tipo di poetica. Molti hanno tradotto quei poeti americani o hanno partecipato a manifestazioni poetiche che vedevano la grande partecipazione dei poeti beat ma poi hanno preso le distanze come se si sentissero sporcati da quella poetica troppo fuori dai loro canoni. Sicuramente un segno di provincialismo! D’altra parte è impossibile dal punto di vista antropologico, immaginarsi un  Kerouac o un Corso italiani, o una vita estrema come quella di Neil Cassady. E’ solo una constatazione non un invito ad una vita oltre limite!
E poi non è sempre vero che nella crisi degli anni “80 o del cosiddetto postmoderno ci sia anche una crisi di proposte.
Ci sono oggi proposte che segnano rotture con le “culture club”, proposte fuori catalogo che non chiamerei letteratura perchè non si prefiggono lo scopo di essere catalogate da schemi tradizionali ma sono modi di porsi che affiorano e che nascono da problematiche o da condizioni che rispecchiano la condizione umana del 3° millennio. Diciamo che sicuramente  i soggetti di queste proposte sono distanti anni luce dai critici accreditati. Sono galassie aliene una all’altra. La sensazione è che esistono tanti club per tante piccole concezioni del mondo che girano intorno a se stesse e non si incontrano mai. Paradossalmente diventa quasi un bene individuare il proprio angusto club e agire all’interno di esso. 
Ed è proprio nella logica del Rifiuto che rientrano certe interessanti prese di posizioni di scrittori che preferiscono incontrare i propri lettori non più nei luoghi deputati legati alle case editrici ma nelle università piuttosto che nei centri sociali o di un numero sempre crescente di scrittori che fanno oramai a meno di critici che al massimo raccontano brevemente la trama di un romanzo e poi nelle ultime righe danno un giudizio sintetico forse patetico. Le critiche negative sono superficiali, liquidatorie se non si aderisce all’unico registro imposto. La letteratura diventa finta, l’ispirazione ormai fa paura al marketing. Le case editrici oggi vogliono spesso numeri da marketing, un logo riconoscibile da vendere. Sempre nella logica del Rifiuto assistiamo sempre con maggior frequenza a libri pubblicati senza prefazioni o postfazioni, al mas simo vediamo qualche autoprefazione come se molti scrittori non volessero avere a che fare con i critici. Spesso la recensione tradizionale nasce da rapporto tra critico e un suo amico, e a volte  libri vengono pubblicati anche da editrici importanti ma solo in base ad un calcolo legato a nicchie di mercato e non ad una vera analisi del libro.
Forse in termini di rifiuto e quindi di libertà  farebbe un gran bene guardare ad esempi coraggiosi come la auto pubblicazione ad opera di Ferlinghetti nel 1956  di librettini che contenevano titoli come “Urlo” di Ginsberg. William Carlos William , nell’introduzione ad “Urlo” scrive che Ginsberg si presenta con un poema che fa “arrestare”. Credo si riferisse al maccartismo ma anche  all’emozione che derivava dall’ascolto di “Urlo”
Ma è in questo contesto che forse i consigli di Paolo Giovannetti sono preziosi, ci trasmettono una capacità di guardare per un attimo il paesaggio da lontano e ci fanno riflettere sulla necessità del dialogo. Consigli diretti a critici e poeti che devono stare dentro la storia. Giovannetti non vede vie d’uscita ma vede  “pratiche virtuose” es. il dialogo la discussione, la rete, dove c’è comunque il dialogo. Aberrante la posizione di certi studiosi che non riconoscono la letteratura contemporanea e non se ne occupano perché dicono “fa schifo”. Egli ci invita ad essere  eclettici porsi da una pluralità di punti di vista senza aggrapparsi ad una sola pratica e lo stesso propone ai critici che dovrebbero avere un atteggiamento di dialogo nei confronti dei poeti di oggi. E il poeta comunque non può proclamarsi tale con troppa facilità come suggerisce l’aneddoto Porta /Sereni, anche se io non credo non ci siano regole fisse e non sempre la “prolepoesia”(1) è frutto di leggerezza o bisogno fisiologico. Credo allora che la provocazione di Giovannetti “se i critici e i poeti facessero il loro mestiere…” abbia un senso, a patto che accanto ad un atteggiamento di felice apertura non affiori di nuovo l’incubo delle ideologie e che “quel muoversi responsabilmente” tra “le rovine del passato” con un legame alla tradizione non nasconda invece un voler dettare di nuovo regole mortifere. Certo è inutile crearsi illusioni ma forse è da questa constatazione che bisogna partire per capire che bisogna vigilare affinché l’ “ideologia” venga respinta ogni volta che riaffiora. 

 1) Dal neologismo di Ennio Abate “Prolepoetaria-o”





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