sabato 23 luglio 2011

CRITICA
I MOLTINPOESIA UNO PER UNO
Su " Voci e passi"
di Maria Maddalena Monti



È difficile pronunciarsi sulla poesia degli amici? I più preferiscono farne a meno o tenersi sul vago. Eppure, di fronte al fenomeno di una  produzione effettivamente eccessiva di testi, da tutti lamentata, e alla scarsità di veri critici disponibili a sondarla, c’è  oggi  la necessità  che altri suppliscano a questo vuoto e si prendano la briga  di diventare seriamente lettori- critici: per giudicare, far pulizia, sì, dicendo al meglio e semplicemente quel che veramente pensano di quel testo. Saranno esercizi critici fai da te, condotti in ordine sparso, ciascuno con lo stile, gli strumenti tecnici o teorici che al momento possiede. Con risultati magari discutibili e da discutere. E con questo? Meglio del silenzio, del lasciar correre, del sentenziare sulla poesia italiana contemporanea, che o sarebbe  incomprensibile  o sarebbe noiosa. Davvero? E chi l'ha detto?  Analizzare i moltinpoesia  uno per uno ci sembra la via giusta per non parlare a vanvera. Ecco un piccolo esempio di  laboratorio criticante sorto in occasione della pubblicazione di una raccolta di Maria Maddalena Monti. [E.A.]  

Riflessioni critiche  per la presentazione a Saronno dell’11.6.2011

Luisa Colnaghi

Ho conosciuto Maria Maddalena Monti alla Casa della Poesia di Milano che frequentiamo da alcuni anni con un gruppo di scrittori. Ho avuto occasione di leggere le sue poesie inviate via mail o pubblicate sul blog; quindi  ho visto  profilarsi e crescere questa poesia piano piano ed ora sono contenta di partecipare alla presentazione del libro.
Bella ed espressiva la figura sulla copertina  “la ragazza con il bastoncino” che sembra voler  cercare  passi o smarrimenti sulla sua strada.

Con questa lirica  pare che il poeta abbia voluto fissare la sua memoria, i suoi ricordi: gioie e affetti familiari, il dolore per la perdita di persone care, l'inesorabile trascorrere del tempo visto nelle tracce lasciate sul viso di persone care e percepito nei gesti di mani che la sensibilità ha saputo cogliere nella loro espressione.  I sentimenti e gli affetti familiari hanno uno spazio  importante in questi versi dai toni dolci e lievi dove  la poesia prende un  accento intimistico.

Una poesia capace di accendere piccole luci, illuminare e gettare flash su  tante  cose della vita di tutti i giorni che sfuggono allo sguardo distratto dell'abitudine:
- sentimenti e affetti,
- i colori delle stagioni, 
- la bellezza della natura (il giardino, il bosco, il mare, il lago, i monti, il cielo),
- i giochi di bimbi: figli o nipoti

Il titolo Voci e Passi è una metafora del percorso di memorie e di ricordi di Maria Maddalena:
- voci  percepite come un'eco che arriva da lontano o voci vicine e familiari,
- passi percorsi nel tempo  e  passi che  portano verso il futuro.

In questa  poesia il poeta  ci rivela alcune riflessioni sul mistero della vita: 
. versi evocativi di momenti e pensieri profondi in cui prevale  l'ispirazione       
  religiosa e la preghiera,
. riflessioni sull'amore  in “Vorrei parlarti” dedicati al compagno della vita o il lieto    
  ricordo che   ritorna con  “L'azzurro della  gonna” sollevata dal vento,
. l'attesa  come speranza di nuova vita e per la vita futura.

Infine Maria Maddalena ci rivela la sua passione per la poesia, una passione espressa con parole leggere di liberazione  “La poesia”, con gioia soffusa, amore come luce di vita, una passione che tende e conduce alla meta.

Mario Mastrangelo

Questa silloge poetica è sicuramente interessante. Offre al lettore testi di diversa ispirazione e di differente tonalità emotiva, raggruppati dall’autrice in cinque sezioni, a sottolineare le diverse facce del fare poesia di una donna che apre la sua anima e racconta di sé con svariati timbri di sincerità e di umanità, riuscendo a poetizzare i suoi vissuti con immediata freschezza.

La prima sezione, Le voci della natura, appare come un  colloquio della poetessa con la natura circostante, la cui suggestione è focalizzata sul ritmo delle stagioni (Arabeschi di ghiaccio / e di brina / s’intrecciano a silenzi…; Torrida estate, / sfiniscono i tuoi gridi, / sibili acuti / strisciano / sul greto / inaridito…), sulle osservazioni e scoperte del mondo animale e vegetale, delle loro tracce (Non conforta), delle loro voci (Estate), delle loro delicate esistenze (Nel Bosco), senza cadere nell’ovvietà dell’idillio. Ma tra i versi di questa sezione compaiono pure, a completamento, elementi che sono squisitamente umani, luoghi rimpianti, sorriso, baci lunghi (Aperture).

In Passi consueti, invece, la presenza umana è più evidente. I versi di alcune poesie privilegiano i contorni di figure infantili, l’autrice bambina (Gesti di culla) e i bambini dell’autrice (Nidi, Laurin, Omino della luna…).
Tale presenza è per la Monti occasione ulteriore per evocare con nostalgica tenerezza, per descrivere le cose con la stessa leggerezza usata per fiori ed uccelli della sezione precedente. Si veda ad esempio  il finale di Le bolle di sapone: Ma soffi ancora e ancora, / e una bolla / insegue l’altra / ed è tuo  / un poco di cielo. / A me / il ricordo  / dell’ombra nei tuoi occhi. Si legga Un nastro rosa, uno dei testi più riusciti, dove tutte le entità raffigurate, il nastro, la treccia, gli occhi, la complicità, le dita, il vento, il ricordo, sono all’insegna della delicatezza, che sembra accomunare ogni elemento elencato:
Un nastro rosa / fluttua nell’aria, / rapido l’afferri / a legare la mia treccia… / Gli occhi negli occhi / a ricercar segreti, / solo a sfiorarci  / il tocco delle dita. / Gioco d’amore , / come nastro, / lieve. / Ma il vento / all’improvviso i tratti tuoi disperde / e smozzica parole. / Doloroso sfugge / all’anima il ricordo / e quel nastro / è fra le mani / un laccio attorto.

In altre poesie di questo segmento compare pure la rievocazione di antiche amicizie (Sempre in volo) e l’omaggio alla città di Milano, amata, anche se frequentata dalla Monti con i ritmi affannosi della pendolare.
Echi del passato è sezione dominata dal sentimento dell’autrice per la madre, con la sua enfasi affettiva, con i suoi vari nuclei di conflittualità. Dai versi dedicati alla genitrice emerge un ritratto di donna forte e protettiva, abile sarta, le cui mani delicate ma salde, vengono tratteggiate in La porta aperta e Mani (Si levano / talora, / leggere farfalle in volo, / a ritrovare / la grazia / della perduta gioventù.)

Il gruppo di poesie Tracce d’infinito è volto a descrivere il sentimento religioso, vissuto come partecipazione ai vari momenti del rito cristiano ( Mese di maggio) e dell’insegnamento evangelico (Annunciazione, Natività), talvolta identificando la tensione all’oltre con l’anelito alla fraternità ( Il filo) o con  l’ inserimento in un quadro paesaggistico di un simbolico senso d’attesa:
L’indaco del cielo / più intenso / nell’acqua ferma / della  laguna. / Sulla riva / niente distrae / gli affaccendati uccelli / acquatici.. / Quel silenzio sospeso / attende / al suono di campane / la voce di un risveglio.

L’ultimo nucleo di testi poetici, Le parole della poesia, oltre ad una riflessione sulla poesia e sulle parole (Parole), tocca il tema del viaggio (Meta), e si dipana verso altri contenuti. Interessante la poesia Papaveri, che parla di una pianta di papavero, accostata, in una scena di ambientazione ferroviaria, ad una donna incinta: entrambe mostrano un senso di precarietà e di fragilità.

Il linguaggio poetico della Monti è piano e lineare, vicino al parlato. I versi sono liberi, di lunghezza variabile, ma con prevalenza della misura breve, anche brevissima.
Solo occasionalmente il tessuto linguistico si  avvale di metafore ed altre figure retoriche (il grumo nero della solitudine, sciabolate di luce, arabeschi di ghiaccio…). La cifra della delicatezza è, come si è detto, caratteristica dei moduli espressivi adottati dall’autrice, dominati – come si è cercato di dire – dalla forza del sentimento in tutte le sue varie e contrapposte istanze.
Oltre alla citata Un nastro rosa, le poesie più riuscite sono Non conforta, Inverno, La porta aperta, L’attesa, L’indizio, Papaveri.

Attendiamo l’autrice a nuove prove poetiche, sicuri di ritrovare, consolidati e approfonditi, gli aspetti positivi della presente scrittura.
Scrittura che, come emerge da una bella poesia dell’ultima parte della silloge, dà modo a Maria Maddalena Monti di evadere in una dimensione trasfigurata e di offrire a chi legge gli spazi segreti della sua interiorità:
E scrivo per fuggire / e fuggo per offrirti / me stessa ritrovata.

Salerno, maggio 2011

Maria  Gavassino Panzalis

In questo libro, mi ha colpito la limpidezza del linguaggio, ben scandito dalla punteggiatura. Ci sono i punti, le virgole, persino i puntini di sospensione..L’autrice non ha bisogno di colpire in pancia, con colpi bassi, il linguaggio obbedisce a scelte apparentemente spontanee.
Chi dice che la poesia deve passare dalla distruzione del senso comune? Ogni verso è chiaro nel suo senso letterale, privo di astrusi riferimenti……

Tuttavia la lettura delle poesie non  è affatto semplice, perché l’autrice lascia che siano le cose a parlare, il loro incontrarsi e scontrarsi, le parole sono l’abito delle cose.
E le cose diventano percezione, perché sono le cose che sperimentano, che contano, che si rapportano, al di là della volontà della scrittrice.
Nella poesia”Papaveri ”(Pag. 56). Ci sono  dei papaveri che sperimentano in prima persona il rischio del vivere perché si sono allontanati dalle distese ondeggianti di spighe dorate per andare a sfidare il treno tra le traversine della rotaia.
E c’è una donna che in situazione di sicurezza (sotto la pensilina) espone il suo ventre orgoglioso…, ma l’incerto futuro dei papaveri si trasferisce al suo ventre. C’è uno scambio da cui nasce la poesia.

Anche in ”Percezione” (pag 52) c’è un passaggio fra la casa e il labirinto.
Pensavi di aver trovato un percorso, di esserti salvato, invece sei in pericolo.
Il labirinto è la tentazione della coscienza ed è anche l’angoscia di non trovare più la strada per essere te stesso.
In “Cime” (pag. 14) Il variegare delle cime diventa pizzo, delle gonne forse. E da quel pizzo nascono i ricordi. Le immagini si sovrappongono, mantenendo distinte, però, cose assolutamente sovrapponibili.
In “Annunciazione”(pag.41): Apparentemente è il solito quadro. Maria vorrebbe dire di no  anche se, secondo l’interpretazione tradizionale, ciò non è possibile.
Allora il poeta prova ad interpretare i gesti nell’alveo della tradizione anche perché l’angelo non lascia scampo, scruta il viso della Vergine sedotta da un ingranaggio che si è già mosso.

Beppe Provenzale

E’ bello questo libello* (da Marco Valerio Marziale). Vi palpita il sentimento giovane, quello della poesia appresa sui banchi di scuola, quando il cuore e i sentimenti sorprendevano nel profondo.
Quando il tempo ha girato un qualche (spaventato?)  evento è cominciato il bilancio del tempo amaro. Suggerendo scene di sentimenti e un”completa tu lettore” con invito alla partecipazione.
“Quelli del dritto uguali a quelli del rovescio” (p. 30). Un suggerimento fatto di punti uguali, al dritto quelli raccontati, al rovescio quelli sottintesi o celati.
Una reticenza come antidoto all’autocelebrazione 
Sono poesie intimiste che filtrano paesaggi e luoghi di spazi e di colori personali. Scoraggiati in “Stagioni”, diventano ”quasi escrementi  /poltiglia di foglie” o “ cupa lama rossa/ di estivi ardori”. Non c’è pace meridiana nel pieno dell’estate calda fra i canneti, anche i “calabroni sbandano”.
Sbandano, uno dei vocaboli che nelle poesie di Maria meriterebbero più attenzione: Baluginano, impavido, pozza, sciabolate, smozzica…
Dolore eppure distanza dal dolore, un’ indifferenza da autodifesa che cambia il ritmo della poesia e sposta persino le rime all’interno dei versi. Pag. 12: /Passano/in ordinati stormi/ stranieri uccelli/ a remote distanze /destinati/…./. Lor volo calcolato……variopinto volo./
Poi  la svolta o almeno un pensiero sospeso, di un nuovo essere (pag. 18)  che porge al cuore “ Gesti di culla” o un raccolto “Omino della luna”.
Solo una pausa e Marta (pag.32) ha un tale bisogno di raccontarsi e raccontare, che il presente e l’ordinario non le bastano e vede se stessa sposa passata.
E’un dolore tratto da ricordi non storicizzati che però producono ancora.
Farli diventare bagaglio azzurro? Un restare giovani con le rughe aggiunte ai piani dell’essere e alle memorie dei tempi? Senza amarezze?

Lucio Mayor Tosi

Tutto ciò che esiste è perché è stato generato. Penso che lo  si possa definire così l’ego femminile.
Una sorta di possesso materno che si estende su tutto ciò che si  incontra mettendo a confronto le deità femminili, madri e figlie nel loro habitat parallelo a quello dell’uomo, grande quanto un altro universo.

Per me, uomo, non è facile commentare queste poesie. Sono più portato ai contrasti, alla nevrastenia maschile, alle battaglie. Ricordo che, quasi per riposarmi, andavo spesso da mia madre che – sapevo - aveva un’altra visione del mondo più saggia e più accogliente. Mi calmava la sua compagnia e mi..rigenerava.
Qualcosa di simile mi ha avvolto leggendo le poesie di Maria Maddalena Monti. Una ragazza riflessiva, mi son detto, di quelle che non hanno età.
Il non detto è misurato e, cercando nel biografico ciò che è universalmente condivisibile, è garbata, per niente esibitiva.
Ha la visione ampia del femminile, è paziente, sa che l’umanità è destinata ad essere felice.

La voce narrante è quella del paesaggio (Voci della natura), ma è un paesaggio che s’incontra come camminando, è fatto di singole cose, non è un insieme geografico. In genere la poesia femminile non nomina i luoghi per catalogarli in istantanee, non ne sente il bisogno, accoglie ciò che arriva sempre con quel senso di maternità che non sa fermarsi al figlio.
La donna nomina se stessa accogliendo i propri sentimenti che sa essere passeggeri..
Sa che c’è alternanza, che dietro ogni infelicità si nasconde altra gioia..
Per  questo  Maria Maddalena, nell’amore che non  può farsi ricordo, non si ferma, il ricordo se mai l’aiuta a muoversi in una danza interiore ancora più armoniosa, impercettibile, lieve, partecipativa anche verso l’altro.

Scrive con arte sicura e priva di  incertezze. Non sembra amare gli azzardi, le parole imprevedibili dell’astrattezza. Preferisce andare al cuore e del cuore arriva spontanea la solidarietà quando, come in ”Le parole della poesia” rivolge la sua attenzione ai temi sociali.



APPENDICE

Ennio Abate

Fin dal titolo (Voci e Passi), dall’immagine scelta in copertina (la pastorella assorta che Pissaro dipinse in un Ottocento che all’elegia ancora concedeva uno spazio), dalla dedica (al marito), questa raccolta di Maria Maddalena Monti segnala  la sua fisionomia di fondo: una sensibilità  di donna che si apparta nel familiare tra  cose e persone amate (a volte trapassate) e invita  a una attesa sublimante, pacatamente religiosa.
Di chi saranno le voci o i passi?  Sfogliando l’indice e le  sessanta paginette, si capirà presto: le voci sono per lo più quelle della natura; i passi (consueti) quelli ansiosi della bimba Laura (p. 17), che ha scoperto coi suoi  occhi più nuovi  il nido dei merlottini, o di altre figure comunque care.
Il libretto è costruito su  cinque sezioni: Le voci della natura,Passi consueti,Echi dal passato,Tracce d’infinito,Le parole della poesia. In ciascuna sono collocati componimenti (da un minimo di cinque a un massimo di nove) che stanno quasi tutti (ad eccezione di  Piccoli puntini, p.29) in una paginetta. I versi pure sono brevi (per lo più quinari e senari) e raramente raggiungono l’endecasillabo. Il ritmo è di breve respiro e non c’è ricorso alla rima. Le frasi hanno una sintassi semplice. L’attenzione  va  tutta ai significati delle parole che ruotano  attorno al titolo. Questo non manca mai; e dà sempre e quasi da subito la chiave del suo svolgimento: l’intenzione di recuperare in immagini (a volte più simboliche, a volte meno) un sentimento speranzoso e amoroso, che si fa meno fuggevole e indefinito quando riguarda - appunto - la cerchia familiare e quotidiana (specie in Passi consueti).
La prima sezione, Le voci della natura, sembra ancora  fiduciosa in un possibile dialogo (mi venite incontro/ luoghi in cui fui felice, p.8; Gelido inverno/m’intrigano/ i tuoi giochi, p. 10) tra chi scrive e le stagioni, il cielo,  le piogge, le foglie, la brina, le cicale, i calabroni, gli uccelli; e persino una marmotta.
Un rapido repertorio delle immagini evocate in Passi consueti, la seconda sezione, evidenzia con immediatezza la scelta di un lessico familiare e femminile. Troviamo nominati: la casa, il nido, i merlottini, la culla, la cesta dei giochi, le bolle di sapone, il nastro rosa, la neve, il cimitero, il deposito di biciclette, lo specchio. Di immagini (e parole) “moderne” c’è solo la scaletta di un aereo (un dettaglio in quel componimento, Sempre in volo a p. 24). Persino il paesaggio urbano di Milano è richiamato da obsolete, e anche in questo caso ottocentesche, ciminiere.
La terza sezione, Echi del passato, è quella più costruita su ricordi di precise persone. Domina qui in un’atmosfera austera da «quasi quadro fiammingo» (p. 31) una figura materna: è una ricamatrice o tessitrice, maestra della figlia quando  essa è  bimba, ma anche dopo, quando è divenuta adulta e madre a sua volta.  Le due figure di madre e figlia tendono a sovrapporsi: ora nella ripetizione dei gesti, che la figlia si impone – esercizio di maturazione propria nella continuità con la madre generatrice - con l’intento di assomigliarle almeno un poco; ora soltanto nei sorprendenti processi della memoria, quando in un tentativo quasi magico la somiglianza  dei loro due visi (p. 36) balena  tra i cerchi concentrici prodotti  dal lancio  di un sasso (il ricordo?) in un lago (il dantesco lago del cor?).  È sempre la madre a riassumere e trasmettere nel tempo il senso del lavoro/come religione e ad essere rievocata – evidente lo spunto alla Proust – attraverso le mani che odorano di sapone di casa. Queste mani (femminili sempre) ritornano pure in un altro componimento a  indicare virtù: fermezza,  tenerezza, leggerezza giovanile.  Le figure maschili mancano o appaiono indirettamente e fugacemente come in Vorrei parlarti a p.26  o in Marta a pag. 32. Si coglie una circolarità di rapporti tutta al femminile, anche se le figure amiche che s’affacciano nei versi - una nominata,Marta (p. 32), l’altra no (p. 38) – non raggiungono lo spessore e l’imponenza  dalla figura materna. 
La quarta sezione, Tracce d’infinito,  è segnata più esplicitamente dalla religiosità positiva riconducibile all’educazione cattolica della poetessa. In coerenza illuminante con la femminilizzazione, che a me pare la cifra prevalente della raccolta, a me pare che in questi componimenti i puntuali riferimenti religiosi,  più che concentrarsi sulla figura del Cristo adulto o sulla simbologia della passione e della croce, restino prevalentemente nell’alone della Madre, non più quella carnale e familiare rievocata nella terza sezione ma quella sublimata di Maria, la piccola fanciulla ebrea. Di lei l’autrice rivive per identificazione la vicenda giovanile: l’annunciazione e poi , dopo la natività, la dedizione nel vegliare  il neonato divino in un paesaggio che resta saldamente presepe d’infanzia e perciò astorico, anche se qui fa capolino un altro dei pochi simboli “moderni” presenti nella raccolta e non casualmente di guerra: il fucile (allusione,sempre indiretta, al conflitto novecentesco che insanguina quella Palestina, luogo simbolico di elevazione religiosa e di pace per un certo immaginario cattolico). Anche la rievocazione della festività religiosa del Mese di maggio (p. 45) è occasione per tentare una nuova sovrapposizione con la figura  materna, divina in questo caso.
L’ultima sezione Le parole della poesia,  è  una dichiarazione di poetica: l’autrice intende il fare poesia come un processo faticoso di  fuga e di ritrovamento  attraverso i gorghi di memoria di  una percezione di sé; ma anche di resistenza – natura contro industria –  simboleggiata dall’immagine dei papaveri/ di uno sbiadito rosso che, spuntano tra le traversine dei binari (p. 56) sfidando le trasformazioni della modernità.
Devo dire in tutta sincerità che non sarà mai un lettore neutro o coinvolto ottimisticamente nella modernità o immerso nella sua storia sempre più contraddittoria,  nevrotica e oggi tendente all’in-civile, che potrà apprezzare la poesia di Maria Maddalena Monti. Per prestarle un’attenzione non diplomatica,bisogna appartarsi da cronaca e mondanità e puntellare la lettura di questi versi sui residui ricordi d’infanzia che  tutti ci trasciniamo nel tempo. Non è irrilevante che in essi,  quasi con candore sabiano, si dica persino che il «piccolo cimitero […] sa d’infanzia» (24). Solo strappandosi all’eccitazione del presente, può essere accolto il valore di questo modo  raccolto, pacato e forte di vivere la femminilità, a prima vista datato  e quasi circoscritto in un immaginario molto familiare. 
Quanto al substrato religioso di questa raccolta, personalmente non riesco a considerarlo prescindendo dal bilancio generale più che severo fatto dall’ultimo Ranchetti in Non c’è più religione. Egli in quel suo libretto indicò il depauperamento o la completa perdita delle fondamentali basi dottrinarie del cristianesimo. Per cui la religiosità presente o persistente  nel mondo d’oggi e anche in un paese come l’Italia, dove il cattolicesimo sembra avere tanta presenza (ma si tratta di presenza soprattutto spettacolare) è mortificata o, come  a me pare di cogliere in questa poesia, è costretta ad alimentarsi soprattutto di natura e affettività familiare, di nostalgia, di memoria, di riservatezza.
Anche nei confronti della natura, di cui l’autrice ascolta le voci,  direi che  i suoi versi rivelano soprattutto nostalgia o - cosa non diversa - un  attaccamento all’immaginario della tradizione letteraria pre-industriale che alla natura guardò con spirito romantico. No, qui non c’è la “natura” che  potremmo  conoscere intellettivamente; e neppure quella di cui abbiamo notizie  attraverso la divulgazione scientifica o ecologista. C’è la natura dei poeti (forti mi paiono gli echi di Pascoli e D’Annunzio), fissatasi nella nostra sensibilità grazie alla letteratura, che fino appunto all’Ottocento di essa (tranne eccezioni: Leopardi innanzitutto) ci ha dato prevalentemenete il paesaggio: elegiaco-pastorale, impressionistico, da revival paganeggiante (D’Annunzio su tutti). Sicuramente nell’esperienza vissuta dall’autrice (e in quella che noi ancora possiamo fare girando l’Italia o altri paesi…) vedremo ancora «l’onda che batte/ sul muro con fragore/ e lascia i suoi relitti/ sulla riva» (p. 7) o «l’erba/incendiata/ dal rosso dei papaveri» (p. 7), ma nel passaggio dalla esperienza che oggi noi possiamo fare della “natura” (reale) al linguaggio quell’immaginario letterario - un filtro che abbellisce e distrae – è troppo forte. E certe scelte linguistiche[1] - il lessico, l’aggettivazione -  di questa raccolta, che riecheggiano pascolismi o dannunzianesimi, forse in Italia tuttora insuperati, segnalano secondo me tale influenza. E  allora  più facilmente  il fascino dell’infanzia, del passato, del piccolo mondo antico che ci portiamo nel cuore ci suggerisce quei toni ancora elegiaci, da cui sarebbe bene diffidare. Può parere presuntuoso o antipatico suggerire di dare di tanto in tanto un’occhiata alle devastazioni novecentesche di tutti i nostri paesaggi, compresi quelli mentali, così trascurati a favore del sentimento  o del visibile spettacolarizzato, ma a me pare un buon consiglio. La poesia non può, come una farfalla, lasciarsi abbacinare dalla luce proveniente dall’immaginario letterario del passato o da quello televisivo del presente. Altrimenti le voci e i passi più autentici, che anche Maria Maddalena Monti vuole strappare ai gorghi della memoria, rischiano di rimarrebbero negli abissi.

18/24 maggio 2011

Maria Maddalena Monti

Caro Ennio,

grazie per la recensione dettagliata .
Ti ringrazio soprattutto perché mi sono resa conto, anche in riferimento a quanto scrivi nel paragrafo:”..non sarà mai un lettore neutro o coinvolto ottimisticamente nella modernità o immerso nella sua storia sempre più contraddittoria…”che, per la tua concezione di poesia, ti sia costato un po’ lavorare sui miei testi.
Devo dire che la “ valenza “ femminile che tu hai così attentamente focalizzato e inquadrato nella dimensione che mi appartiene e’ stata messa in luce anche dai lettori che, finora, in modo più o meno approfondito si sono accostati a questo piccolo libro.
E questa interpretazione non mi dispiace.
Ognuno ha la sua storia e la sua “fede”. Basta mantenersi aperti e duttili o almeno sforzarsi di esserlo.
 Caro Ennio, nella lettura che hai fatto ho avvertito amicizia  pur nell’esercizio della chiarezza intellettuale che ti caratterizza e di questo ti sono grata.
Vorrei tuttavia chiarire alcuni punti. Capisco che tu abbia dato un parere sulla mia religiosità attraverso le poesie presenti nel libro, ma anche così non mi sento di accettare del tutto il giudizio che mi appartenga una religione intimistica, fatta di tradizione e di sentimentalismo.
Vivo il mio essere credente in modo difficoltoso, confrontandomi con un’infinita’di contrasti.
In “Annunciazione”(che ha avuto alcuni riconoscimenti come testo mistico religioso)  c’è la presenza della croce, solamente adombrata, perché il tema non è la Passione.
Così in “Natività”, la guerra non è marginale, è una Natività di guerra.
Altro punto che non mi trova del tutto consenziente è quando evidenzi nella poesia un certo immobilismo, una “cristallizzazione”.
Forse a ben guardare, qualche segno di apertura agli altri, al mondo esiste.
Una nota riguarda la scelta del lessico, estremamente letterario.
Nell’elenco che fai, mi sembra che ci siano anche termini non letterari: corolle, poltiglia, canneto..Forse disturbano nel contesto?
Da ultimo il ricordo del passato. Spesso è anche nostalgia di persone e affetti, ma anche strumento per ricuperare insegnamenti che hanno ancora un significato. Per questo il ricordo va al di là della pura consolazione e attiva comportamenti positivi.
Vorrei aggiungere ancora qualcosa.
Per comporre questo libretto ho dovuto fare una scelta numerica e di impostazione.
Poiché è la mia prima raccolta pubblicata ho seguito un ordine quasi cronologico, riportando poesie anche composte tempo fa e altre(mi pare in misura minore) più recenti.





















[1] Ecco un veloce elenco di termini  per me fortemente e persino fastidiosamente letterari: fragore, fremito, cobalto, iridescente(7); poltiglia, balugina,imperiosa, aggrovigliati (9);  arabeschi, sonnolenti, presagi (10), torrida, sibili, canneto, corolle (11)…

1 commento:

Anonimo ha detto...

A Maddalena Monti i miei complimenti per le sue dolci e coraggiose poesie. Un Bravi! anche ai veri critici ai quali auguro buon lavoro. Emilia Banfi