venerdì 8 luglio 2011

SEGNALAZIONE
Poesia condivisa

da http://www.poesia2punto0.com/2011/07/01/poesia-condivisa-il-mondo-e-vedovo-di-paola-turroni/

 

Poesia Condivisa: Il mondo è vedovo Paola TurroniCARTA BIANCA, 2010

 di


Gli spazzolatori, con una scopa davanti al carrarmato
a pulire dalle mine il prato.  Oggi nel deserto in cerchio il vento sbatte,
maestro sminatore
sbatte le stoffe il vento e asciuga
la voce, asciuga le mani che restano intere
a tenere una stampella.
Ecco tutti i tipi di mine, che imparino a stanarle
là dove vanno – a campare.
La testa china sulla terra acquitrinosa, a cercare
una mina nel riso – brillano al tramonto
le risaie, la superficie è docile da qui
come un lago calmo, come niente fosse.

Ho imparato a stare sul fuoco in agguato
sotto lo specchio – un cane mi segue
una processione di fantasmi contadini
sulle mine dei campi, sembra quasi pace.
Sembrano leggeri e sottili, questi uomini che vanno
a raccogliere mine – dove dovrebbero
raccogliere riso.
Così chino sulla mia pesca violenta – torno a casa,
la terra mi mangia le gambe dei figli.
La guerra è per sempre.

Ci spingono, ci contano
i soldati non si accontentano
ma noi veniamo, da sole
per farci vedere, comprare patate
nutrire ostinate gli uomini
serrati in cantina, nel sottopassaggio
della stazione.  Le macerie confondono – ma noi
lavate e stirate, portiamo quello che resta
quello che salva.
Ho messo un vaso sul davanzale – sto qui
in ginocchio a guardare,
ho dimenticato com’era
la guerra ha occupato
tutto lo spazio – tutta la testa.
Quando l’allarme suonava
chi prendeva la figlia e chi prendeva il fratello
strette le mani, basse le spalle
con la valigia chiusa
dall’inizio della guerra.
Appoggiati a me
appoggiamo la vecchiaia alla terra
spostata ogni giorno di un metro.

Nevica su questa strada di cenere
e fango, nevica sulle baracche
e sull’albero bruciato.  Dentro stiamo intorno al fuoco, a guardare la brace
a fare presenza, alcuni sobri, alcuni ubriachi.
Oggi non ho mangiato, siamo rimasti dentro ad aspettare
i soldati ci danno pane, qualche sigaretta,
quando ci vedono passare con le braccia graffiate
e i figli nel carro.
È rosso sulla neve – il sangue rimane rosso sulla neve
cola dentro la radice della terra.
Non abbiamo voce nella guerra, solo un corpo messo alla prova
perché qualcuno lo sappia.
Perdonate la retorica del bene
semplice e assoluta come una pianta
ma ci sono parole che bisogna dire e ripetere
come bisogna sempre
dare acqua.

In questi tempi  bui mi ha ridato luce e speranza un libro bellissimo, che ha per titolo uno splendido verso di Amelia Rosselli, “Il mondo è vedovo”, di Paola Turroni. E’ un libro di forza epica e di grande impegno civile. L’impatto che ha sui giovani (ad esempio, i ragazzi di un Liceo bolognese, mi diceva la poetessa Maria Luisa Vezzali) è impressionante, grazie anche alla lettura intensa e performativa che ne fa l’autrice.
Non spaventi questa presunta epicità del testo, confermata dalla strutturazione in “cori” e “valichi”, quasi a ribadire una necessità corale di testimonianza di ciò che accade nella storia e una necessità di valicare i confini dell’incontro con l’altro in una geografia di reciprocità non più e non solo eurocentrica.
Si tratta qui di un’epica delle donne, quelle che “difendono la terra” in tutti i paesi del mondo, mettendo in gioco la loro forza relazionale contro le guerre, le violenze, le calamità, le sopraffazioni sessuali, l’uso distruttivo e letale dei dispositivi dell’essere.
Né vi si legga un mero femminismo, anche se c’è il respiro delle donne in questa resistenza al lutto e alla violenza, in questo pietoso “dare acqua”, in questo condurci per mano dentro le baracche, fra i bambini di strada e nel sud-est asiatico, da cui si leva il canto di Lynette, ragazza dell’isola di Han, a Papua, Nuova Guinea.
Il mondo è vedovo, dunque, come sono vedove le donne dei soldati contadini, dei clandestini che riempiono i barconi, mentre la folla dei morti è evocata dentro il nostro stesso quotidiano dalla presenza delle voci dei poeti (Brecht, Ungaretti, Pasolini, Anedda, Szymborska) testimoni del filo rosso di una resistenza che non si interrompe.
L’anafora, il congiuntivo esortativo sono le forme e i tempi più usati in questo libro pacifista e guerriero: si abbia la forza di dire il bene, dunque, di rompere l’indifferenza. Questo è il vero compito della poesia.

Dichiaro la mia  volontà di leggere le successive raccolte pubblicate dall’autore per seguirne nel tempo la scrittura.
12 giugno 2011,  Loredana Magazzeni, Bologna

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ancora dico: il mondo cambia e le guerre sempre uguali rubano alla vita degli uomini anche il dolore , la sofferenza viene sopportata, serrata dentro, il nostro corpo si fa statua, memoria e
per non morire si fa pianta e chiede acqua, acqua,acqua... . Mio padre che conobbe l'aspetto più atroce della guerra , dimenticò amore e tenerezza, continuò ad essere una macchina da guerra, ma io lo vidi spesso sorridere con gli occhi lucidi. Complimenti a Paolo Turroni per la sua grande sensibilità, trasmessa con grande capacità. Emilia Banfi