martedì 28 agosto 2012

Roberto Bugliani
Da "Versi scortesi" (inediti)


Nel circondario

Il capitalismo della crescita è morto. Il socialismo della crescita, che gli assomiglia come un fratello, ci riflette l’immagine deformata non già del nostro avvenire, bensì del nostro passato. Il marxismo, sebbene continui a essere insostituibile come strumento d’analisi, ha perso il suo valore profetico.
Lo sviluppo delle forze produttive, grazie al quale la classe operaia avrebbe dovuto spezzare le sue catene e instaurare la libertà universale, ha spossessato i lavoratori delle loro ultime parcelle di sovranità, radicalizzato la divisione tra lavoro manuale e intellettuale, distrutto le basi materiali di un potere dei produttori.
La crescita economica, che doveva assicurare l’abbondanza e il benessere a tutti, ha fatto crescere i bisogni più in fretta di quanto potesse soddisfarli, ed è sfociata in un insieme di impasses che non sono soltanto economiche: il capitalismo della crescita è in crisi non solo perché è capitalismo, ma anche perché è della crescita.
Michel Bosquet (André Gorz), Ecologia e libertà (1977).

l’atlante, quando l’impero
ridisegna a proprio profitto le mappe
il conus marmoreus, ma senza la curiosità
dei marines sulle spiagge del pacifico
le gazze, se zampettano intruse
sulla ciottolaia dell’alba incappucciata di rugiada
l’assordante silenzio, che accompagna
il fumigare denso e nero di macerie

  
la melassa dei ricordi, se indossa il tailleur
nuovo di pacca della fata morgana
la nostalgia dell’araucaria, ma senza la rabbia
a fiammeggiare ribellioni di periferie
la volpe zoppa, che intrama nel fitto orditi
di malaffare per terre atterrite d’occidente
il non-si-sa-mai, quando resta al congedo nella bocca
il sapore della combutta e gli incentivi all’impasse


Invece

La piazza è il luogo di nascita della democrazia, che per sua natura è partecipativa. In questo caso la partecipazione è data dal numero attivo. La democrazia rappresentativa è la forma politica mediata che subentra al numero attivo quando il sistema di rappresentanza provvede a trasformare la partecipazione popolare diretta in numero passivo e avoca a sé ogni legittimità.

Invece qui stoppati dalla nebbia non si scorge
nemmeno l’ombra d'una guida
o d’un passante caritatevole che ci soccorra
indicando come da programma il percorso, il fiume
infido per mulinelli fa la sua parte, e va
come lama tra ombre, corre sciolto alla foce
siamo noi che incerti al bivio invano invochiamo
misericordia di cartelli con località e distanze, per cui
la direzione da prendere ci appare
ignota e ostile, e insicuro il cammino
disabituati da sempre ai rischi, alle rotte
senza mappe, agli intralci improvvisi, né altro
è dato al titubante passo
che un viatico di inciampi e di sconcerti
al tramonto increspato sui nostri volti
di gesso, miserevoli ostaggi del sospetto
che la strada possa avere una fine
senza fine, un alt quando meno te l'aspetti.

Paesaggio come abisso

Brutus is an honourable man, dice Marco Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare. Se Bruto è uomo d’onore, nessuno può metterne in dubbio la parola. Solo l’astuzia retorica di Antonio può farlo, perché Antonio ne è l’alter ego politico. La differenza è di temperamento. Pura e semplice macchinazione del pathos. Sotto una diversa costellazione (la merce) e all’interno di nuove coordinate storiche (il capitalismo) la lotta politica per il Potere continua. E Bruto è uomo d’onore.

- Da qui si vede, se ci sali, il mare.
E lei che a passo sciolto esce
dal sintagma dell’ombra e svelta affronta
il corteggio dell’erba, il brusio di fronde
bonsai di silhouette tra alti pini
e querce e faggi che fan verde il bosco
lieta di mirarne il manto, marezzo
di smeraldo, regale nei riflessi
col piercing al labbro e zapping dello sguardo
per declivi, e dorsali, e creste, e strapiombi
fin che s’arresta ferito dal candore, di fronte
le cave di Carrara mordono i monti, taglia
l'onda un gozzo sotto, va per pesca.
E lei allunga il viso, sporge in avanti
un sospiro che arcuato frana e finisce
indistinto rischiumo tra gli scogli.

Se

Se viene il giorno del conto alla rovescia
Se si apposta il cecchino alla più alta finestra
Se le cicatrici si aprono in cascate di rabbia
e un volo di corvi incatrama il cielo

Se schiuma alle vene sangue limpido e forte
Se pronto al balzo s'incurva tra l'erba il dolore
Se dalle vette dei monti è chiaro il bersaglio 
e un taglio di luce morde freddo la pietra

Se i ratti fuggono fedifraghi nei boschi
Se non è mancamento, ma vertigine
Se la lama squarcia l'arcano e l'inganno
e un fuoco di pianura arde, crepita, vampeggia

Se incalzano le bocche mani pronte al peggio
Se fermentano negli occhi le offese e le infamie
Se rimpalli d'echi annunciano l'evento
e l'ipotesi sostiene il colpo in canna

Consequenzialità

E le menzogne, quelle, una caterva, a sfare. / E cervelli andati in pappa, a mille e mille. / Come in [omissis] è già successo e presto anche / in questa landa immota lo sarà: di già le erinni / affollano la scena, fanno lega / e [omissis] nell'attesa / di ricevere l'imprimatur [omissis] / che dei diritti umani s'imbelletta / e dei nuovi anni in pista sotto l'input /ridisegna il mondo. A essi come a fonte / battesimale vanno gli sciacalli / del petrolio [omissis]  / con altro modo seguitando / la politica di dominio e di controllo./ Per il resto /  la rugiada all'alba brilla sulle foglie / e questo [omissis] è quanto basta.

Perciò esse is percipi è la carta vincente in mano ai killer del reale
Perciò lo spondylus era preferito nei baratti tra Costa e Ande
Perciò di sanguisughe non si parla nei trattati di libero commercio
Perciò il graffito su un muro della Mariscal a Quito era così confidenziale1
Perciò quando gli invasori incontrarono resistenze inaspettate all’avanzare
Perciò il congedo non dev’essere mai disgiunto da una proficua intesa
Perciò se la filigrana del sospetto rende ermetiche le bocche di sale
Perciò alla velocità di oltre mille Km/h le idee rabbrividiscono per
                                                                                              [l’altezza2                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
Perciò il tuo vicino di posto sull’autobus è di sicuro un emigrante
Perciò il colpo non partì e il fucile fece, come al solito, cilecca

Tueggiare sparso

Elevare l’impotenza all’impossibile significa distogliersi dal servizio dei beni, che è l’impotenza del possibile. Bisogna dunque scegliere un punto che sia il vostro punto e dire, contro la legge del mondo, che voi lo manterrete a ogni costo. Quale punto? Non importa quale sia, dato che da quel momento esso formalmente esula dalla particolarità del servizio, e propone universalmente la disciplina d’una verità.
Alain Badiou, De quoi Sarzozy est-il le nom? 

1
Ma fatti da parte, silenziati, metti
il morso al tuo ego
sconfinato ed entra
a passo discreto
nella riserva del dubbio, lo sguardo
allena ai declivi dell'ombra, svuota
animo e tasche degli stizziti orpelli, ascolta
recitata dal vento la saggezza  delle foglie, la deriva
affronta di ombelichi e pregiudizi
la presunzione lascia agli imbecilli.
Allora parole di disprezzo risarciranno
l’imbrunire
dalle menzogne di aruspici e sibille.

2
Il poster di un clown bislacco alla parete, con
la lacrima aggrappata al ciglio sull'abisso
di giorni sempre-uguali, è il tuo doppio
che guardi di sguincio, quasi sobbalzando
la notte quando ti alzi a cercare un alkaseltzer

e il corridoio già s'imbroglia in labirinto
a luce spenta, per non ferire gli occhi.

Dov'erano mobili adesso macerie
si ergono fumanti, e lamiere contorte
e corpi incatramati dappertutto.
 
Guadagni il bagno, e s'aprono crateri
dov'erano piastrelle e sanitari, protesa
la mano al bicchiere, alla pastiglia, incontra
grida ammutolite, orbite vuote, vermi

dov'erano sequenze d'atti consueti e spicci
avvezzi all'ubicazione familiare delle cose
che basta un po’ di buio a scombussolare.

Poi lo sbadiglio s’accompagna al rutto
che proprio ci voleva, e già ti senti meglio
pronto a far ritorno alla tua impronta tiepida ancora.

3
Le parole, non sprecarle le parole
che hanno valore più dell'oro
raccomandavi a me, che dubitavo.
Quando le umiliano con scapolari bugiardi
o le rivestono di stoffe pregiate perché
del nuovo tempo in pista non denuncino gli imbrogli
io, sai, vedessi come m’infiammo di sdegno
come...
            seguitava radente la tua voce accorata
a me ignaro di strategie a levare
che accatastavo suoni come barricate
o m’infilavo in trincee di lessemi armati
e l’errore non scorgevo - arruolandole in gran numero
per la battaglia che immaginavo campale -
di adunarle qui, nelle scaramucce farlocche di questo
inghirlandato inferno da operetta.

4
Vedi com’è impetuoso
questo refolo di vento che neppure
i capelli arruffa e a terra lascia
le morte foglie, senti come
ti trapana i timpani questa voce
che farfuglia in sussurro di
più non sa cosa, guarda
come corrusco splende e superbo
questo sole all'occaso che nubi
capricciose oscurano a schiera
ascolta come per scrosci flagella
tegole e coppi e furiosa crepita ai vetri questa
pioggerella priva di pretese che
l’estate conclude, contempla
la potenza di queste onde che si frangono
a creste sugli scogli con sciabordio di schiuma
nel ristagno febbroso, liscio il mare come l’olio
e considera com’è intessuto di menzogne
il prodigio fai-da-te della poesia.

5
Cosa dire, sono stanco di parole-eco.
Cosa fare allora per sottrarti alla pedana
allo show alla barra, al séparé?
o appiccicartici col mastice della notte
e gettare alle ortiche la chiave
che apre abracadabra a fiordipelle.
Invece cerco una posa, e mi arrovello
sotto l’oscena luce dei faretti
a trovare la caratura menopeggio
per i tuoi occhi che setacciano la sala
alla ricerca del merlo da ingabbiare.
Tu
la ballerina di lap, la prima
fattasi avanti in succinta mise, la stripper
dalle mille malizie del Passion Fruit
dai fianchi generosi e dalle ambrate promesse
che languida mi ammicchi, poi rientri in pista
con una terza da urlo e due gambe da sballo.





1   “mientras más hago el amor más gana tengo de hacer la revolución”
2     10.825 mt.



*Roberto Bugliani (La Spezia, 1947) ha tradotto racconti e romanzi di scrittori latinoamericani, tra cui gli ecuadoriani Alicia Yánez Cossío, Joaquín Gallegos Lara, Pedro Jorge Vera, il messicano Carlos Montemayor, i due tomi del Subcomandante Mar-cos “Dal Chiapas al mondo” (1996) e il saggio dell’ecuadoriano René Báez “Messico zapatista” (1997). Ha scritto il reportage "Dove comincia il giorno. Viaggi in Chiapas e Guerrero" (1999) e due libri di poesie: “Cronache con paesaggio” (2001) e “Di quand’ero poeta (e non lo sapevo)” (2009).

7 commenti:

Anonimo ha detto...

nessun commento è il miglior commento.

Lucy

Francesca Diano ha detto...

A una prima lettura questi testi mi paiono molto interessanti, anche se la sensazione è quella di una certa confusione e dell'eccesso. Ma ci devo riflettere meglio, perché mi pare ne valga la pena. Perché comunque c'è una ricerca non scontata. E non è poco.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Roberto Bugliani:


Caro Roberto,
ho letto la selezione dei tuoi “Versi scortesi” e mi sono piaciuti. Ci ho ritrovato una grande maestria formale e il sentimento oggettivato della crisi che stiamo vivendo. Il tono prevalente (mi azzardo a dire di tutta la raccolta, anche se non la conosco) è pacato, persino dimesso, di una tensione trattenuta (e forse placata).
Mi è anche piaciuto questo contemperare la liricità con il dato reale, sia pur mediato attraverso la prosa meditata,saggistica.
Esso fa da contraltare o forse anche da conferma alla prima. Mi pare anche innovativo che, appunto, tu non parta dal paesaggio (dal letterario, dovrei dire), ma che esso ritorni in un fastello di immagini sicuramente ricercate.
Mi piace molto “Se schiuma alle vene sangue limpido e forte”. Per l’equilibrio della costruzione e l’iterazione di quel ‘se’, che mi pare riconduca all’incertezza immagini che, senza di esso, sarebbero un’esplosione, un crescendo beethoveniano.
Toni fortiniani mi pare di cogliere in 3 e 4 di “Tueggiare”. Mentre ho trovato uno scadimento troppo desublimante del dramma visionario in 2 ("Poi lo sbadiglio s’accompagna al rutto/ che proprio ci voleva, e già ti senti meglio/ pronto a far ritorno alla tua impronta tiepida ancora") e molto disincanto, quasi una voglia di dismissione della tensione etica nell’immagine sensuale in 5.
Queste le mie prime impressioni, che correggerai se fuori strada.
Le inserisco tutte sul blog.
Un abbraccio
Ennio

Anonimo ha detto...

Invece che produrmi in inutili critiche alla sua poesia (che presenta molti difetti e qualche pregio) mi limito a riscrivere qui la prima poesia come per correggerne ed eliminare i "difetti". Credo che la poesia ne guadagni enormemente. Questo è fare "costruzione":

l’atlante ridisegna a proprio profitto le mappe
il conus marmoreus, quando l’impero è l'impero
ma senza curiosità di essere impero...
sulle spiagge del pacifico le gazze
zampettano intruse sulla ciottolaia dell’alba incappucciata di rugiada
e l’assordante silenzio accompagna
il fumigare denso e nero di macerie


la melassa dei ricordi indossa il tailleur
nuovo (...) la nostalgia dell’araucaria
ma senza la rabbia a fiammeggiare ribellioni di periferie
la volpe zoppa, che intrama nel fitto orditi
di malaffare per terre atterrite dell’occidente
il non-si-sa-mai... resta al congedo nella bocca
il sapore della combutta e gli incentivi...

giorgio linguaglossa

Anonimo ha detto...

delirio puro
ora si riscrivono anche le poesie e si rimanda l'autore a settembre

che pena

ab

Anonimo ha detto...

@ Ennio, mi pare che non sei fuori strada, tutt'altro, riprova ne è il rilievo che fai al testo 2 di "Tueggiare". Ebbene, quel testo l'ho scritto originariamente come referto ordinario di una situazione d'insonnia che si concludeva con il "rutto" (che fin qui aveva una valenza semmai ironica, non certo desublimante), al quale però ho poi voluto aggiungere visioni di devastazioni belliche, ma il risultato è che i due scenari non si sono ben amalgamati e ritengo anch'io che l'insieme risenta di questo pasticciamento.
@ Giorgio Linguaglossa,
devo dire che il suo esempio correttorio, benché a mio avviso legittimo (credo che abbiamo tutti da imparare, se mettiamo da parte la nostra visione ombelicale del mondo), lo trovo sbagliato nel merito, in quanto la peculiarità della struttura sintattica che ho voluto conferire alle frasi ritmiche (i distici) si basa sull'iterazione di lessemi precisi (il temporale "quando"; l'avversativa "ma"; l'ipotetica "se" e il relativo "che") posti a inizio del secondo emistichio della prima unità versale di ciascun distico, ripetizione che tuttavia non segue un ordine simmetrico tra le due quartine. Per cui in questo caso ciò che lei ha scritto non è semplicemente un esempio correttorio, bensì una poesia del tutto altra. Ma mi rendo benissimo conto che questo aspetto "strutturale" del testo possa passare inosservato a chi vi vede solo la datità sperimentale. Secondariamente, anche il piano semantico ne esce stravolto. Ad esempio, il "conus marmoreus" non è solo un sintagma esotico, ma si riferisce a un episodio ben preciso della seconda guerra mondiale nell'area del Pacifico, ossia al fatto che quando i marines, colpiti dalla bellezza della conchiglia, la raccoglievano, il conus pungeva con i suoi aculei velenosi la mano del marine, il quale di solito moriva. Sembra che il Dipartimento di Stato dell'epoca abbia fatto espressamente divieto ai marines di raccogliere quelle conchiglie mortali.
roberto bugliani

Anonimo ha detto...

@ Roberto Bugliani,

fermo restando le sue spiegazioni inerenti la struttura metrica e ritmica (che non contesto) quello che mi sembra errato della sua costruzione è che non si ha chiaro il concetto di "oggetto" che si vuole costruire, per cui ad un lettore, all'atto della lettura sfuggono tutti i riferimenti che l'autore ha in mente, e sfuggono perché sono irraggiungibili. L'autore di un testo deve, insomma, far riferimento più sulla ricezione del lettore che non sulla "fonte" dei dettagli che costituiscono la poesia che ha in mente. Ecco, sono proprio questi dettagli che sfuggono al lettore (semmai occorrerebbero una serie di didascalie in calce al testo); la composizione, è questo che voglio dire, deve avere in sé tutti gli elementi per la decodifica del lettore e non rinviarli ad un paratesto e a didascalie che sono sempre esterne al testo. Vorrei dire che il testo è un circolo conchiuso e lì dentro ci deve essere tutto. È vero quanto lei dice che la mia versione è una riconversione, cioè un altro testo, ma non poteva essere altrimenti. Quello che lei dice essere un "sintagma esotico" cioè il «conus marmoreus» io invece lo trovo una eccellente metafora, insomma, un oggetto altro che introduce una diversione, tanto è vero che io poi, nella mia ricostruzione, sono stato costretto a ripetere la parola «impero» sia per motivi metrici che semantici, per rafforzare e incentrare sulla icona dell'impero tutto il discorso. Allora il testo diventa una riflessione sulla stabilità ed eternità degli imperi, diventa un oggetto riconoscibile da qualunque lettore, diventa un oggetto per eccellenza.
In definitiva, io credo che occorre prestare maggiore attenzione sulla oggettità degli oggetti che non sulla psichicità degli oggetti che l'autore ha in mente, altrimenti si cade nell'arbitrario che io rimprovero ad un autore come Milo De Angelis il quale si lascia fuorviare dalla propria abilità di costruire sulle proprie sensazioni e impressioni. Così la poesia diventa un oggetto di psichismo e non un oggetto «reale», che aumenta cioè la quantità e la qualità del «reale».
Questo volevo intendere con la ricostruzione del testo, con tutto il rispetto per il suo lavoro.

giorgio linguaglossa