giovedì 9 agosto 2012

Anonimo per prova
Quattro poesie



Quando le case

Quando le case non furono che un nome
composto da due sillabe
e nessun altro significato…

Quando il desiderio di essere e due
e tre, mica centomila, strenuo si arrampicava
sui muri di stanze vuote….

Quando le giustificazioni soddisfacenti
erano quelle del ragno che tesse solo
perché così per lui è giusto…..

Quando atterriti riconoscemmo
che ogni passo del respiro non era che respiro
già più lento, come di fior del vento, colti….


Allora, come in un poema epico,
ma in disarmonica sequenza, corremmo
giù nelle strade.
Avvolti in musicalità anestetizzanti
dietro striscioni, “socializzazione”
si gridava convinti di aver davvero
toccato l’altra parte del volto oscuro,
e continuammo ebbri
sul tumulto di altre voci.
Come un guanto si rovescia
credevamo così di aver risolto tutto.

Ma se il dubbio ha presenze biforcute
l’uomo accasciato sulla sedia
non ha che soluzioni transeunti.

(Luglio 1990)
  
De Profundis

E di che c’era da avere paura?
Dopotutto non eravamo che noi
allo specchio di noi stessi.

E se il seme moriva
sfumando all’aria le radici
che avevamo promesso di piantare
era solo affare nostro.
O se ci ferivano occhi di civetta
spalancati e gialli al fior della notte
una lieve spina di colpa
sarebbe stata certo comprensibile.
Ma perché angosciarsi?

Ah! In un attimo avevamo intravisto noi
con le dita sugli orologi
perché oltrepassassero il tempo
senza avvertire nessuno.
Si era svelato il nostro tradimento,
per paura di restare ciechi
paura di restare sordi
paura di restare muti.
Avevamo avuto paura di restare soli
senza traccia di chi trascinare con noi
nelle nostre dannate solitudini.

E oggi abbiamo paura dello specchio
perché vediamo ancora noi, veri figli di puttana,
ad aspettare che tutto si compia
che tutto sia troppo tardi.
Che ci siano solo fiori da portare
o preti da chiamare
o litanie da recitare
o altre esteriorità da fare
per quel morto di ogni ora
che si presenta alla porta
e col cappello in mano ci grida
“buonasera!”.
E la nostra coscienza è un vortice
di foglie secche mosse dal vento.
  
(Gennaio 2001)
  
Mercenari

Mi pulsa in fondo al cuore una carne
mercenaria, di dubbi aliena e d’ombre.
Per questo voglio sia guerra.

Che le sirene della morte si sciolgano
sull’onda flessibile dei cedri  a intervalli
sempre più brevi fino ad avvolgere tutto.

Che la civetta muti l’ordine di luce
e spiumando accartocci umani resti
con metalliche rifrangenze.

Che ogni albero assottigli le radici
e a guance cave la terra le risucchi
fin dalle sue punte più alte

lasciando il posto ad acque morte,
putrefatte alghe e gonfi
ventri dondolanti.

Se ancora mi assale la paura del deserto
senza figure, fantasmi da cui fuggo
e che sempre al presente mi ritrovo,

spendibile, vendibile come denaro
mostro dollari e lustrini che al posto
del cuore battono sul petto.

Sorelle le iene mi fanno compagnia,
rido al loro culo basso, al loro muoversi sgraziato.
Io invece sono eretto e pieno di medaglie.
  
(Giugno 1982)

Mala luna

Mala luna che antica osservi
le pene dell’oggi perché non precipiti
a vortice sulle nostre infamie?
Perché permetti che il tuo cielo sia solcato
da ottusi ministri della morte: gli basta solo
premere un bottone, né causa o effetto
a impallidire le loro menti?
Perché non accechi la perfidia dei droni
non duole cuore se occhio non vede?

Ti accontenti, ancora, luna, dei distesi campi
su cui giaci sfinita e  per cui lasci
che si gonfi il petto l’homo faber?
Oppure tronfia esclami “ecco le floride città”
sui cui tetti ami giocare a rimpiattino.
Sai bene di che ossa e sangue sono impastate.

Mala luna, perché non scaraventi sui quieti letti
il tuo lato oscuro e non fai come il buio
che strattona la notte sui gradini del giorno
e la costringe a contarli l’uno sull’altro
a rendersi conto della durezza?
Anche tu ti lasci sedurre dal candore di magnolie e gelsomini,
mandolini che irridono alle angosce come fossero frulli
di allodola che in alternanza sale e poi scende pigolando

Mi si stringe il cuore quando ti canto
perché vedo in te chi ti guarda e maledice.


(24.05.11)

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Anonimo,
non essere timido, non è un buon inizio. E le tue poesie strabordano di retorica: A che serve dire e ridire la stessa cosa in altre forme? S'è capito. Una basta, via. due. La poesia De profundis è molto pertinente con l'atra discussione , quella sul NOI. Meglio se la lasciamo qui.
Secondo me dovresti decidere se scrivere poesia o prosa, perché la tua poesia di certi versi non va oltre se stessa, non si getta a capofitto. Ripete se stessa, è retorica (Spezziamo una lancia a favore della retorica? Sì, ma quelle che ci restano intatte gliele ridiamo).
I versi per me più belli:
Quando le case non furono che un nome / composto da due sillabe / e nessun altro significato…".
Ciao, grazie
mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

sono degli esercizi, nient'altro che esercizi. E sugli esercizi non si può dire nulla. Ci sono molte parole inutili. 9 su 10 debbono essere eliminate e sostituite, possibilmente, con immagini. e poi bisogna mettere a fuoco un "oggetto", senza divagare. E senza voler apparire più bravi di quello che si è.

Anonimo ha detto...

Da Rita Simonitto
Ho l’impressione che più che alla forma poetica l’autore abbia dato risalto al contenuto, o a trasmettere contenuti che riguardano processi di illusione e delusione sia nel registro privato che in quello pubblico. In tema, se vogliamo, come ha colto Mayoor, con quanto discusso ultimamente in questo Blog a proposito del NOI. Da qui, forse, l’andamento prosastico che cerca più di ‘spiegare’ che di far ‘intuire’: più che trattarsi di ‘retorica’, percepisco questi ‘versi’ come se si trattasse di una lezione.
Ci sono però alcune immagini che sono suggestive: “E se il seme moriva/sfumando all’aria le radici/che avevamo promesso di piantare” oppure “Ti accontenti, ancora, luna, dei distesi campi/su cui giaci sfinita e per cui lasci/che si gonfi il petto l’homo faber?”, però, ancora una volta, il caffè è lungo e non stimola abbastanza.
Mi ha colpito l’affermazione di Linguaglossa * bisogna mettere a fuoco un "oggetto", senza divagare*: perchè a me sembra che qui il problema sia altro, l’oggetto contemplato da Anonimo appare definito, anche troppo. O forse Linguaglossa intendeva altro rispetto al termine “oggetto”?

Unknown ha detto...

I piccoli oggetti
I piccoli particolari della casa:
il filo sullo scendiletto trasandato,
il cerino per terra,
la cenere
che posa sulla mattonella la sua fragile trama,
l'unghietta tagliata del bambino
accanto alla scarpa,
fanno piacere agli occhi che senza badarci
collezionano immagini di oggetti che non servono.
Per quel filo si ama di più la madre,
ci si ricorda del padre
per il cerino e la cenere,
e del bambino per l'unghia e le scarpe.
Piccoli oggetti che si spazzano, che nessuno raccoglie,
estremamente importanti, ci ricordano
le piccole contrarietà della vita
e poveri piaceri piccolissimi.
Ángel Crespo-I piccoli oggetti
##############################

caro anonimo, la tua prova mi è piaciuta molto..la tua prova è per nulla anonima, per primo le quattro "stagioni" da cui Ennio, immagino, abbia estratto i tuoi pezzi.

Non so se hai fatto solo questi quattro, ma fanno riferimento a quattro tempi/movimenti ben precisi sia musicalmente che storicamente, resi bene con quel ritorno indietro segnato dalla terza.

Nella quarta sei stato come nel film l'arrivo di wang, ottimo il tuo canto allo specchio senza sordina nel periodo tuttora in corso dalla sibia alla liria. E' profondo questo tuo sentirti in prova fino al punto di un sentire comune che trasmetti sulla tua visione del mondo:l'antropofagia tanto di chi domina, quanto di chi è dominato ad ogni livello di consapevolezza dei due fronti, sia nel personale che nel meno personale. La tua visione è in un tutt'uno senza troppe fratture,e non ha importanza se io convida o meno la tua sentimentalità o intellettualità o poeticità etc etc...

ti mostri forte e sicuro nella prima stagione , perdendo poi via via "medaglie" e altri grandi oggetti per un avorio lunare, a cui dedichi tanta rabbia per l'uomo.. la sua millennaria stoltezza e mostri tanta pietas per i grandi oggetti avendo ormai dovuto abbandonare quelli piccoli piccoli, come le pellicine e le unghiette dentro la prima stagione di quelle ca-se.

ps condivido la tua scelta coraggiosa di rimanere anonimo e in prova, varie le motivazioni , non ultima quella per cui la realtà a cui appartieni tanto come me e tutti i milioni di anonimi, realtà vieppiù fantasma e di fantasmi.

Anonimo ha detto...

Cro Anonimo,
mi sei piaciuto un sacco! Mi piacciono i tuoi oggetti, i tuoi mescolamenti, le tue metafore, quei versi che iniziano con "Mala luna..." sono magici. Non sono un critico , posso dirti solamente che mi piaci perchè si sente forte anche il Bum Bum del tuo cuore. Non sparire ,abbiamo bisogno di te. Emy

Anonimo ha detto...

beh certo, possiamo sempre dargli una bella stirata al novecento (all'800, al '700...) e tutto sembrerà come nuovo. Le cose che contano sono altre, sembra dire la ro'. Il cuore di Anonimo farà anche Bum Bum, ma leggendo lo fa anche il tuo cara Emy?
mayoor

Anonimo ha detto...

Il mio Bum Bum lo sento soprattutto quando ascolto quello di un altro. Tu no caro Mayoor?

Anonimo ha detto...

... no, in questi giorni mi emoziono per le cotture al vapore. Sapevi che le alte temperature distruggono i cibi? :)
mayoor

Anonimo ha detto...

Ma certo che lo so, le alte temperature distruggono tutto... o no ? Emy

Unknown ha detto...

stirare chi? cosa?
...
e poi nuovo?
chi ha parlato di "nuovo"? l'anonimo vuole fare, distinguersi, atteggiarsi, come nuovo?
...
il cuore deve diventare una scusa?.. per prendersi per i fondelli gli altri?

ciao Mayoor

Anonimo ha detto...

Gentili amici,
ringrazio Ennio per la gentile accoglienza in questo Blog e i commentatori che mi hanno dato incoraggiamento (Emy e In soffitta) e anche sollevato delle perplessità. In modo particolare:
@ Mayoor: magari fosse sufficiente dire le cose una sola volta e poi basta. A volte capita anche di usare in poesie diverse le stesse parole come forme idiosincratiche dell’autore per ribadire certe prese di posizione. Magari ideologiche, ma la poesia non è esente dalla ideologia.
Sono d’accordo con ‘In soffitta’ sull’anonimato come forma fantasma e, in quanto tale, passibile non solo di negatività (non si conta per nessuno) ma anche di positività (muoversi più liberamente).
@ Linguaglossa: trattandosi di componimenti che intendevano rendere pubblici degli accadimenti pensavo di aver già usato poche parole e di aver tentato di dar loro una forza espressiva per portare non bellezza ma stupore, dato che oggi non si stupisce più nessuno.
Senza dubbio non è stato recepito così. O non ha avuto questo effetto.
@ Simonitto: non sono molto d’accordo sull’idea di *far intuire* come se si dovesse stare sempre nel registro della doppia verità.
La poesia gioca già nell’ambiguità senza doverla amplificare.

Anonimo per prova

Anonimo ha detto...

All'Anonimoper prova

Mi dispiace salutarti senza sapere il tuo nome, ma forse ti conosco...non so...un presentimento...anzi quasi una certezza, mah! . Ciao e non sparire ti prego. Emy

Unknown ha detto...

Si..è proprio quell'insieme di poli magnetici che volevo esprimerti. Condivido molto inoltre la tua "insistenza" politica, al contrario di quanto potrebbe sembrare, fa parte della tua anima...la tua amarezza secolare.

Inoltre anch'io, come Emy, credo tu non sia per nulla anonimo...è stata una scelta molto significativa, hai fatto bene, eri riconoscibilissimo per il soma proprio ai temi che hai scelto..ad esempio su certi viaggi forzati, dalla culla ad altri letti, attorno a quelle " case " , fino agli altri , quei viaggi che ritornano da inizio secolo scorso a questo, che però allora chiamavano come erano e sono , di guerra ,orgia di bottini e non certo di salvezza, diritti umani e pace.