Ripeterò da ora in poi l'invito per tutti i post contenenti poesie.[E.A]
FINIS TERRAE
Dunque è questo, l’arrivo.
Questo odore di
chiuso, di polvere nei tappeti,
il silenzio sigillato dal giro di chiave
che si sfalda in echi sulle scale,
il tocco incerto sulle pareti
che frantuma la distanza:
e qualcosa di un giorno
impigliato per le stanze,
quasi dimenticato lungo
il viaggio
- i mille occhi smarriti dentro l’aria -.
L’ora si riavvolge
di là dal vetro,
piano si ripongono i piatti
nella sera umida,
si scosta il lenzuolo
si respira il pensiero
si attende che il moto di un gesto
ritrovi l’alveo,
- così come riaffiora
un fiume carsico,
e si fa lama di luce che ferisce lo spazio -
perché non sembri
di aver invano urtato
contro il segno, bagliore di un attimo,
senza mai farne sostanza.
Scivolano ombre oblique,
rami scossi, dal giardino contro i muri,
mentre si stacca
il grido metallico dell’uccello in fuga
e abbandona l’orecchio.
E’ solo uno il luogo
da cui migrano a stormi
le piccole gioie quiete, lo stesso
a cui ora tornano,
composte sul davanzale:
là chiedono di
entrare,
attendono,
come il tempo paziente che
viene a noi
e nel cerchio della notte
ci sorprende.
(agosto 2009)
I NOSTRI GIORNI
(a
M.)
La stessa penombra
ci vestiva sempre,
ad ogni incontro,
la stessa acuta intensità
di una frattura
lungo il tempo e, dentro,
ci risalivano
gli occhi degli assenti.
Anch’io in questi giorni
sigillo i ricordi
nel niente dell’aria
e le parole taciute,
come te,
perché le mattine entrino
in un angolo di calma
e la notte tre le tempie cada
oltre il bordo di noi.
Ma oggi, amica mia,
l’ora ha una trasparenza distesa, risuona
di un coraggio che
ricompone le storie
ed è così, che ci
mostra,
appoggiate al buio
tra le foglie
o al sole freddo
che ancora non incrina il ghiaccio
nei fossi,
prese tra il sogno e il magone
e con l’adolescenza che avanza e poi l’estate sulle labbra,
fingendo di non sentire quell’unico bacio sepolto,
un bacio di vetro, ognuna il suo,
la scheggia di un sentimento solo a metà vissuto,
perché solo a metà dato,
mentre noi ci aspettavamo il morso al cielo,
il fulgido mattino.
(2011)
(2011)
TRITTICO
DI NOTTE, LE TUE FUGHE
(in ricordo di mia madre)
L’erba si piega umida nella
fessura del buio, intorno il suono in rivoli corre un ritmo unico, la stanza è
a riposo, conciliata, nell’ora compiuta.
Parrebbe una regale notte
d’estate
tesa come un arco sopra i campi
e ci sarebbe stata, una delle
tante
se non fosse che
il battito leggero della tempia
sul lenzuolo
mi è caduto per sempre, smarrito,
il fiato impalpabile sull’orma
piccola del corpo
mi ha rinnegato,
le stelle esplodono in spine,
non è più dato il tempo
e l’orecchio sente la corsa oltre
il balcone (i tuoi passi sono tonfi come di sogno),
il piede scalzo l’insegue oltre
il fosso,
la mente sbanda in fili, si
capovolgono i telai
e l’occhio bambino muore,
spaccato
contro un bianco riverso sulla
bocca del buio,
radice di un corpo che preme
nell’erba, affonda,
m’inghiotte il respiro ed è
tutt’uno in me.
(febbraio 2009)
IL REPARTO
Lungo i corridoi lindi
i sentieri portano orme inceppate,
gli sguardi hanno la sostanza del vetro,
scivolano sulla
fronte del giorno
– attraversano tanta
ampiezza, tanto oblio
e riaffiorano, subito
bruciati –
sono né forma, né battito
solo gesto
benedetto dalla sedazione.
Come mai
- se le menti qui sono conchiglie
disabitate dal tempo,
risucchiate, trafitte
da una luce che non si fa raggio,
ma trapassa la carne
con aghi di ghiaccio
e intanto sgretola
memorie -
come mai
il desiderio qui non gocciola via,
la paura rimane incrostata nella madreperla
- basta raschiare con l’unghia -
e intanto il pensiero
si affila, si fa sottile come velina
arde nell’istante
e poi si rivela?
E’ tra il letto e il crocefisso
la bellezza,
il cuore del silenzio.
Ma noi scappiamo, come da un rosario che brucia le dita.
(febbraio 2009)
LA MATTA
Come in una coppa
tra le mani tengo un pensiero
una piccola fantasia
guizzante
e a passi minuti la seguo
mi arrampico su una scala
d’oro
ma vedo precipitare un
pianeta
e dentro chiudersi un buio
feroce.
Ora ho bisbigli nella mente
come frantumi di fuoco
che sigillano parole
e sono popolata da uccelli
inquieti,
rapaci a grappoli
che trasmigrano nei sonni,
mi circondo di campanelli
per seppellirne il verso.
Se apro gli occhi
il mio nome si spezza
e dall’iride
dilagano moltitudini di
forme,
processioni di nascite che
tappezzano
la carne:
somiglio a tutti e il mondo
sussulta.
E’dal varco di un
sussulto
che balzo nell’inganno
e intanto
mani guaritrici mischiano
l’angoscia
in un solo mazzo di plumbea
amnesia.
Mi chiamano la Matta.
Adesso dicono
che ho la materia di un
amuleto:
vedi come catturo i desideri estranei
e in
uno sfolgorio di luci mi crescono
addosso?
Ma è per scampare
all’assassino sul balcone,
allo scatto veloce della
serratura,
a ciò che resta dei volti e
dei luoghi
dentro la polvere sospesa nell’aria…
Io mi muovo solo
all’interno di me stessa
lungo rotte liquide di
abbandono,
arrivo dove l’uno e l’altro
si dissolvono all’incontro,
dove si distilla il dolore.
Arrivo e prendo tutto,
sorrido e intanto anniento.
(marzo 2009)
Note di Nicoletta Saccon
Finis Terrae Il ritorno circolare al proprio luogo di appartenenza più profonda; è il tentativo di recupero/riconciliazione/ricongiungimento, che l’ esperienza consente, con alcune parti di sé (luoghi, memorie, affetti) che sono state motivo di trafittura, ma anche contributo non rinnegabile d’ identità. Trittico Il tema della follia in 3 diverse progressive aperture: da quella più personale (e tuttavia non soggettiva) a quella più collettia, sino all’ultima, che utilizza lo sguardo più visionario ed allucinato della follia utilizzando la metafora della “Matta” (il jolly nel mazzo di carte) I nostri giorni Il sentimento di intimo riconoscimento tra due sensibilità affini, similmente condizionate dall’esperienza di una rottura, di una perdita (non necessariamente fisica) e dall’impossibilità, che questa ha generato, di vivere fino in fondo il collegato portato affettivo.
*
La poesia Il reparto in Trittico è già stata pubblicata nel precedente post dedicato a Nicoletta Saccon. Qui va letta come sezione del Trittico. [E.A.]
3 commenti:
Sono porte spalancate, vetri rotti dall'uragano , memorie senza scrupoli di sentimenti rinchiusi nel fondo di un'esistenza interrotta dalla leva abbassata della felicità. Chiederci di più non puoi cara Nicoletta, le tue parole cosi vicine e spinte dalla tua bravura ricca e partecipante di grande umanità, fanno di te una grande poetessa. Grazie grazie. Emilia Banfi
Poesia ad un commento di una poesia
(Ready made)
Sono porte spalancate,
vetri rotti dall'uragano,
memorie senza scrupoli
di sentimenti rinchiusi
nel fondo di un'esistenza
interrotta
dalla leva abbassata
della felicità.
Chiederci di più non puoi…
L.T.
Ineccepibile!(?) il commento di L.T.
Sta anche in questa capacità di 'tradurre', senza 'tradire', la funzione dell'esercizio della critica? Che non sarebbe soltanto un 'dire sopra qualche cosa' ma anche un dire 'dentro qualche cosa'.
Opzione, quest'ultima, fattibile soltanto all'interno di piccoli gruppi.
Rita S.
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