-1 Gelo nell’anima
Fiocchi pazzi
girano e scendono tutt’intorno
che precipita con
essi alla velocità del saccheggio,
della bugia di
chi ormai ti volge le spalle.
Compresi noi
futuri barboni che, nonostante il tempo
e il vento che
ringhia come un frustrato, reggiamo il passo
piuttosto bene,
sul ghiaccio ai margini della crisi.
Più tosti che
prima ma con ossa e carne a pezzi
dei giorni nostri
e altri a venirci incontro
dentro con una
coperta calda.
Un pugno di terra
feconda,
una parola che
non sia
trappola sotto la
candida neve.
-25 Questo tempo disumano
Con la voce roca
l’ultimo pastore
raccoglie le pecore
sparse sul bordo
del burrone.
Compresi i cani
che fiutano
le stelle più
remote che il cielo
rovescia con i
suoi pallidi colori
sulle mani della
terra.
Non una scia, una
belante
scusa, alla
tenebrosa
legge del
macello.
-28 Dis-senso
La colata di
cemento continua
sulle ultime
forme di senso,
ma bisogna
proteggersi
dalla sabbia
negli occhi,
resistere al
deserto che avanza.
Come le zone
indistinte
dalla
rassegnazione ancora non vinte,
tra il nuovo
parcheggio
e il piazzale in
disuso,
tra l’autostrada
che si allarga
e la ferrovia
veloce che incalza.
Il marciapiede
non transitabile
e la pista
ciclabile per le stelle
intermittente.
Resistere come
una cicoria,
una farfalla e
altre promettenti
piccole forme di
vita, insieme
alla sabbia
portata dal vento,
nel mondo
ristretto, rifatto dentro
la smisurata
circonferenza
dell’ultima
replicante rotatoria.
Non servono
occhiali,
tantomeno
scafandri,
bastano esili
ciglia.
-30 Chiavi
Nell’antro della
notte
un asino sperduto
quel carattere
che segna
sempre carico di
fuoco
per aprire un
varco
uno sterrato
sentiero.
E le porte
chiuse.
Il ferro penetra
nel legno.
Ancora un
tentativo
un altro giro
nella toppa
e il ritmo
schiude
e il tempo di una
volta
se la chiave
è quella giusta.
-35 Martirio d’estate
Le querce non
volano con le foglie,
hanno scelto il
mulo per scendere
dai pendii
dell’infanzia in fiamme.
E il cerbone tra
i rovi sibilando,
con il merlo e la
merla disperati
per i loro
pulcini inermi,
non fugge dalla
sua muta.
Anche la
tartaruga più non corre,
sa che della sua
carne non resterà
che immortale
vento fra la corazza.
E la cenere
salita al cielo
con milioni di
barbagli
già scende in
forma di calco
di stelle sulla
terra.
-42 Esposizione
Come un vecchio
ulivo deportato in laguna
resisto agli
attacchi della nordica salsedine
condensando
l’esilio in nodi di luna.
E la bora più che
lo scirocco o grecale
mi scompiglia la
chioma - scarne branche
del tronco
ritorto sull’ampliata statale -
come mani fra i
capelli non di olio unti,
ma di nuovi
pidocchi - noti sfruttatori
finto trasparenti
- di catrame bisunti.
Senza più radici
né nome al secolo
noto, in piena
luce su giusto pendio,
solo, in vaso,
poca terra e senza scolo.
Neanche un
ramarro, un piccolo sasso,
le stagioni
passano e non mi adatto,
non muto, come
uno strano tasso.
E ogni giorno una
foglia abbandono
così esposto
all’orgia dei clacson - ai fanali -
ma non è il
gelido vento che non perdono.
-50
Eccomi qua.
Da solo.
Di fronte al
tempo
del dolore puro.
Gioia? Sì.
Pure sprazzi di
autentica felicità.
No! Prego, troppa
luce no.
-114 Non mangio non
bevo non dormo
Tengh na fame na sete nu suonn
Si m passassi na manu p ncuoll
M passass a fame a sete o suonn[1]
Mi disse - il
delirio
di un profeta
dimenticato
o il delirio di
un saggio,
finito fra i
ruderi sul litorale
o già all’indice
in oriente
nel mondo prossimo presente?
No, il delirio di
un matto
che non mangia
non beve non dorme
anzi, di un
contadino disturbato,
pazzo tornitore
schizzato
che non fa a
botte col suo io.
Che sfotte il
sonno della convenienza
del calcolo del
dire e non dire
o tutto quanto
insieme al tempo
dei lupi della
finanza
non vita mia,
solo loro -
sempre dell’altro
da sé.
E così io dico
ciò che non so
dire
o non so che dico
vedo e so di
vedere
ma non so che
vedo
cosciente o non
cosciente
lucido o non
lucido
me stesso o non
me.
Semmai so perché
scrivo
oltre a saper di
scrivere
ma non so che
scrivo.
Aveva un senso
prima
di farlo e ora?
Adesso? Poi?
Cerco che cosa?
Cerco? Ricerco
il senso nello
scrivere
la storia - la
mia?
O di chi sento
vicino
pur lontano dalle
mie mani incerte
dai miei occhi
stanchi sempre più.
O del sangue vivo
ancora versato
per verità a
tempo
di chi nasconde
la nuda verità,
- nascosta -
appunto,
non per pudore.
Non so dove.
[1]
Scioglilingua della mia infanzia: Ho una fame una sete un sonno / Se mi facessi
una carezza / Mi passerebbe la fame la sete il sonno.
*GIANNI IASIMONE, classe 1958, e nato a Pietravairano, un piccolo
centro dell’Altocasertano.
Laurea in DAMS all’Università di Bologna e master in Poesia
Contemporanea presso l’Università di Urbino.
Poeta, performer, attore, regista, studioso di tradizioni
popolari, fotografo, autore di video e testi teatrali.
Sue poesie e interventi sono apparsi su varie riviste
come: “Hyria”, “Opposizioni”, “Mongolfiera”, Poiesis”, “Tratti”, “Alchimie” e
in alcune antologie tra le quali: Bologna
e i suoi poeti, curata da G. Centi e C. Castelli, Bologna, 1991.
Ha pubblicato una raccolta di
versi: La memoria facile, Piacenza, 1991, e nel 2005 il “poema metà-fisico” Il mondo che credevo, Mobydick editore, (finalista Premio Pascoli
2006 e 2° posto Premio internazionale di Poesia Città di Marineo-Palermo). Recente
l’uscita del libro di poesie Chiavi
storte, Mobydick, 2012.
Nel 2002, per i tipi di Caramanica Editore, ha pubblicato il
saggio critico: Conta nu cuntu! Il racconto orale come strumento creativo e
comunicativo.
A partire dagli anni Ottanta ha realizzato varie
performances poetiche itineranti ed ha letto i suoi versi in diverse piazze e
teatri.
Come attore, ha partecipato a numerosi spettacoli teatrali,
realizzandone molti come regista e autore.
Attivo come operatore culturale, è uno dei fondatori
dell’associazione Microcosmus (www.microcosmus.org)
di Rimini, dove attualmente vive e lavora.
5 commenti:
Molto bella questa resistenza, come le viole d'inverno sul mio balcone.
Poesia che insegna , che fa amare una solitudine pensante, davvero sincera . Bravo! Emy
Alcune belle, tutte sincere, come dice Emy.
Preferisco Chiavi ed Esposizione, per la loro velocità espressiva ed incisività, sembra che nulla sia di troppo, nulla appesantisca. Peso che invece grava su certi versi di Dis-senso, Martirio d'estate e Non mangio non bevo non dormo, è un mio modestissimo parere, ma credo che si pubblichi su un blog per ricevere impressioni. La mia è che il tutto sarebbe più espressivo se fosse più essenziale, se si lavorasse maggiormente sulla sottrazione, più che sull'accumulo.
Due esempi: nella seconda strofa di Dis-senso è davvero utile nominare parcheggi, piste ciclabili, piazzali, autostrade, ferrovie, marciapiedi tutti insieme? Non esprimono tutte lo stesso concetto? L'immagine sarebbe data già da due soli tra questi elementi, sei appaiono troppi.
In Non mangio non bevo non dormo la quarta strofa è eccezionale - forse i migliori versi di questa breve selezione - tanto che funzionerebbero anche isolati, perché aggravare una tale agilità, un tale scintillio, della quinta e sesta strofa che sono appendici ad essa?
Spero le mie critiche servano a riflettere.
Complimenti e coraggio,
Erasmo
Penso che queste chiamiamole "ripetizioni" danno alla poesia un senso maggiore di sconforto, un voler dare allo sguardo quell'incalzare di visioni che turbano il poeta e che lo spingono a voler resistere, da solo, con la sua sola umanità. E' una poesia che recitata, darebbe il meglio di se stessa( se così si può dire) e del suo autore.
Emy
E' come la fame, la sete, il sonno, camminare per ore, pregare, pensare... e trovare le parole per descrivere l'impulso che sia vitale, ribelle, mortale purché riescano a sbloccare, schiudere un movimento, che solo le "chiavi storte" possono aprire...
Carissimi, grazie. E grazie a Ennio per l'ospitalità e per chi "crede" ancora nella poesia, per i vostri commenti e le preziose critiche. E' che - lo so, è banale - un libro di poesie come ogni libro ad un certo punto non è più solo tuo e ogni parola - non solo scritta ovviamente - condivisa anche con un "solo" lettore restituisce senso non soltanto alla tua scelta, ti aiuta ad andare oltre non solo questo difficile momento, ma quell'orizzonte, a volte agognato, spesso disperato, solo di sé. Tante altre cose potrei dire ma ogni mia ulteriore parola - qui ora - sarebbe di troppo. Non so... Buon pro-seguimento.
gianni iasimone
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