martedì 20 giugno 2023

Un mezzo dialogo tra E 1958 e E 2017 su un appunto poetico del 1958-'63



  Tabea Nineo, Copertina per Salernitudine

E 1958 - Ecco i versi di allora: 

«dentro la tana delle lucertole
nei rigagnoli
nei gusci di noci
sotto le foglie
in mezzo ai nidi
abbandonati 
un silenzio c’era
e luce e calore
che neppure supponevo»

E 2017 - Vengono da ricordi delle tue esplorazioni di ragazzo in campagna?



E 1958 – Sì, durante le vacanze passate in campagna in casa di zia Assuntina, io, mio fratello Egidio, Guglielmo e Vincenzo - i  due cugini della famiglia Alfano più piccoli e quasi nostri coetanei –– andavamo  spesso in giro per la piccola porzione di  terra che  lavorava quasi da sola la loro nonna, Francesca. A volte in pieno pomeriggio. Non ci fermava il caldo d’agosto. In questi versi scritti attorno al ‘58  ho messo assieme alcune sensazioni ricevute  in anni sicuramene precedenti (’45- ’50?). Mi colpiva il silenzio di quelle ore. Ne ero meravigliato.

 E 2017 – Hai mai immaginato di inseguire una lucertola in uno dei suoi nascondigli? O di diventare come l’acqua che scorreva veloce nel  lungo solco già scavato nel terreno quando dalla base della cisterna sotto gli alberi di noce veniva tolto  il tappo? 

E 1958 – Non ti so dire nulla o quasi di quel che immaginavo o pensavo allora, da ragazzo. I cugini mi avevano insegnato a catturare e a tenere in mano le lucertole più piccole. E ricordo che una volta, vedendo arrivare l’acqua impetuosa e velocissima in quel lungo solco perché il terreno era in pendio, mi misi a correre per capire se era più veloce di me.

 E 2017 – Nascondersi in un guscio di noce come  in una cassapanca. Stendersi sotto le foglie come fossero delle lenzuola. Accoccolarsi dentro un nido senza più le uova. Di quelli che tuo cugino Guglielmo sapeva dove cercare.  Queste metamorfosi dall’umano al mondo animale o dalle dimensioni a cui siamo più abituati a quelle gigantesche o minime sono state esplorate. Mi vengono in mente le fiabe. O almeno  i libri su Alice  e su Gulliver.

 E 1958 – Credo di aver avuto di sicuro tra i miei libri di ragazzo I viaggi di Gulliver. O me l’hanno prestato. Ma  non sono mai stato veramente attratto da questi racconti.  E più tardi, pur impressionato dalla fama di quei libri e dei loro autori, non  li ho mai più ripresi in mano. Non erano letture che mi attiravano. O che mi hanno lasciato dei ricordi. Ne ho avuti invece da Pinocchio, Cuore, Dagli Appennini alle Ande, Senza Famiglia, Capitan Fracassa, Ventimila leghe sotto i mari, Le tigri di Mompracen. E dai fumetti che circolavano tra noi ragazzi nel primo dopoguerra: Il Vittorioso, Sciuscià, Pecos Bill, Paperino.  

 E 2017 – E perché più tardi hai sentito il bisogno di  tradure questi versi in dialetto: Ma dint’e lacertele/ miezz’e nire abbandonate/ addo` a luce e o cavere /manch’e  penzavem’e…

E 1958 – Dovresti chiedere a E 90 o a E 92. Furono loro che,  rileggendo questi versi buttati giù per la prima volta in quell’italiano da liceale e conservati,  li hanno riscritti in un dialetto di memoria o vi hanno aggiunto inserti in dialetto.  Tra ’55 e ’58, quando li scrissi e non li feci leggere a nessuno, usai l'italiano. Il dialetto lo parlavo ancora, ma solo con chi  lo usava abitualmente. Prima di  intitolare la raccolta Reliquario di gioventù e di riprendere in parte il filone dialettale in Salernitudine,  E 90 o E 92 gli avevano dato  un titolo diverso Dialettabili.

Tabea Nineo, Uccello e rovi


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