di Ennio Abate
Ahi, noi! I finti vivi
respiranti sazi e distratti
intenti alle proprie
- intere (crediamo) -
assorbenti storie!
Come ceneri del lusso
salgono in vecchi e illustri camini.
s’affaticano in crani già più smussati.
Riprendono in lingue ibride
parole comuni
bisogni di sempre.
Guerreggiano in altre forme
sui nostri morti passati.
Prosciugano i riflessi di sole
nelle pozzanghere d’Occidente
dove la nostra finì.
Insopportabili.
Inconcepiti.
I partigiani ieri.
I moribondi ieri a Baghdad.
Les banlieues ieri e oggi.
P.s.
Leggendo su FB i commenti di Maria Grazia Meriggi e
Lanfranco Caminiti sui fatti di Francia.
APPENDICE
Recupero un mio commento ad un vecchio articolo del 2015 per indicare alcuni legami di quesa mia poesia con l’attuale e le passate riflessioni sulle rivolte urbane scoppiate in varie città della Francia. Si tratta soltanto di piccoli spunti.
Ennio Abate 25
Novembre 2015 alle 21:31
« Le biografie
dei terroristi – almeno quelli degli attentati in Europa (d’accordo, sono la
minima parte del terrorismo islamico globale) confermano, da Atocha al Metro di
Londra, a Charlie Ebdo, al Bataclan, che qui si tratta di noi, che qui siamo
noi […]. È lo stesso esercizio che si consuma sui fatti di terrorismo e con lo strumento
del terrorismo. Dagli Stati Uniti, alla Turchia, ad Israele, all’Arabia Saudita
e quanto d’altri, ognuno fa nascere, finanzia, controlla, scatena, mette in
campo, movimenti terroristi – partendo da bisogni reali tuttavia. Traslati ad
arte, questi reali bisogni, spostati in metafisica, in religio, in combattenti
contro […]. Ci odiano, va detto. Le brigate internazionali mujaheddin
(algerini, palestinesi perlopiù) che intervengono in Bosnia – con il permesso
degli Usa – nella guerra civile, hanno la bava alla bocca alla sola vista di un
occidentale. La loro bava mi sta ancora addosso, il ricordo del loro odio è una
ferita aperta.» (Del Giudice)
Ho stralciato questi
tre passi dell’intervento di Del Giudice perché in essi vengono indicati tre
aspetti della realtà ( quella socio-culturale, quella militare e quella
psicologica) che si sono evoluti in modi talmente negativo da rendere arduo
qualsiasi giudizio politico coerente sulla complicata situazione su cui ci
stiamo interrogando in questi giorni.
Spiego schematicamente
il perché.
Le biografie dei
terroristi autori della carneficina a Parigi del 13 novembre ci dicono davvero
«che qui si tratta di noi, che qui siamo noi»?
A me pare che lo
dicano solo a Del Giudice (e anche a me e forse ad alcuni altri che hanno alle
spalle una qualche militanza “sovversiva”, sia pur in anni ormai troppo
lontani. Oppure hanno avuto esperienze vere di vicinanza con «esistenze senza
motivo, proletariato e sottoproletariato metropolitano, cresciuti negli slums,
autobiografie della leggera [per chi non lo sapesse , “Autobiografie della
leggera” è il titolo di una bellissima raccolta di voci finite ai margini
dovuta a Danilo Montaldi, figura oggi del tutto dimenticata], storie di
ladruncoli, lenoni della prostituzione, ruffiani, piccoli spacciatori, pusher».
Solo pochi, credo, leggendo notizie sui giovani terroristi hanno ritrovato echi
di una memoria diciamo per brevità “pasoliniana”. Che ancora permetterebbero di
simpatizzare con questi « giovani europei – figli di padri e madri che la
globalizzazione ha espulso ed espelle dalle proprietà rurali comuni d’Africa e
dai villaggi del maghreb»; e se non proprio con quelli passati al terrorismo
almeno con quanti avevano provato «a livello di massa» a farsi sentire con le
loro jacquerie di periferia.
Come io avevo fatto
nel 2005. Permettetemi di riproporre questi versi ( che avevo scritto allora e
sono ancora sul vecchio sito di Poliscritture):
Nunn’è n’atu millesettecientottantanove.
Hann’a scritte sulamentee’ cahiersdedoléances!
di Ennio Abate
Le pallottole di carta non fanno male»
(cardinale Camillo Ruini)
Ah ‘sti-ntellettuali ex sessantottine
cumm’a mme pensionate, ma accussì stunate
addurmute, ca capa cionna
ncoppa a vrasera re rivvoluzione astutate!
Che d’improvviso ti sobbalzano
al crepitio scintillante delle faville
sgomenti de la violence:
Uuh, mamma mie, les banlieus, le casseurs !
de l’homme del la serpe
(Fanon docebat!) e allore
attacchamme subbite che litanie:
Ah, come son belle le democrazie
che pur ci donano un FUTURO
«per quanto esso possa essere
di merda» (e di guerra)!
Ah, quel Santa Maria Goretti
come noi pensionato
che s’è fatto uccidere
per la “sua” vergine automobile!
Ah quel ma-Scalzone
che confonde il nostro Blair-Cofferati
con gli sbirri più efferati!
Ah, Walter Benjamin, che cazzata
contro gli orologi sparare
e nel Jetzeit sperare!
[Ah, questi intellettuali ex sessantottini | come me pensionati, ma così stonati | addormentati, con la testa coindoloni | sul braciere delle rivoluzioni spente! || Che d’improvviso ti sobbalzano | al crepitio scintillante delle faville| sgomenti della violenza: | Uuh mamma mia, le periferie, i vandali! || Questi sono i nipotini dell’uomo della roncola | (Fanon lo diceva!) e allora | attacchiamo subito le litanie: | Ah come sono belle etc….]
(novembre 2005)
Ma proprio perché
tant’acqua è passata sotto i ponti e « nessuno ha mai fatto qualcosa per
levarli da lì: non sindacati, non partiti, non ideali di lotta e cambiamento»
(anzi sindacati e partiti si sono liquefatti e gli ideali di lotta e
cambiamento hanno ceduto allo scetticismo e al disincanto postmoderno) il muro,
già spesso tra “noi” e “loro”, non ha fatto che rafforzarsi. E non solo ha reso
poco udibili le isolate voci di quanti tra noi invitavano a «restare umani», ma
ha permesso che altri “illuminassero” quei cuori e li spingessero fino ad «
uccidere gli odiati altri abitanti della città» e a suicidarsi (ma ricordiamoci
che quello che per noi è suicidio per loro è *martirio*).
E ora che si è giunti
alla militarizzazione del conflitto, che poteva essere solo socio-culturale o
riguardare le differenti condizioni materiali di vita ma anche al continuo
rinfocolarsi di una diffidenza reciproca ( soprattutto di un odio reciproco
almeno nelle frange più fondamentaliste – nostre e loro) come si fa a tornare
ad una gestione dei «bisogni reali» – nostri e loro – appunto «traslati ad
arte… spostati in religio, in combattenti contro»?
Del Giudice suggerisce
una via d’uscita « dal cul de sac della jacquerie e del terrorismo, verso una
lotta di classe aperta».
Io temo che tale
prospettiva abbia subito anch’essa un tracollo tale che, per riuscire di nuovo
a « “pensare il mondo e guardare alla realtà” nell’ interesse anche dei
marginali», si dovrà compiere una vera e propria “discesa all’Ade”. E spero
solo che si trovi il coraggio per tentarla.
(da http://www.poliscritture.it/2015/11/24/isis-nazisti/)
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