di Ennio Abate
Tu, mio strabico amore assaggiato fra tempi di chiesa e di
liceo; e tu, esile simulacro di sesso costruito da perfidi avventori di
latteria; e tu, amore risicato in cuore battente d’impiegata.
Donne, giovanili prede, alle quali i seni belli, amaramente distratto, toccai:
e alle quali impacciato esposi la mia ferita di incerta lussuria, ora che siete
incorporeo fantasma di tiepida vergogna, datemi la chiave di quel mio
comunissimo bisogno di congiungimenti coi corpi vostri smaniati.
Quanto seria fu, con voi, la mia non scafata giovinezza! Quanto freddi
sarebbero ora gli sguardi sulle vostre polpe rugose.
Ah, maschili ardori di un’epoca d’istinti assuefatti al profitto! Da essi
assediato, vi assediai. Sudando e balbettando, che amplessi dolenti, che
confusione nei cuori, che fretta brigante la mia sulla funivia di sentimenti
barcollanti!
Pensarvi oggi è vano? Gli energici corpi di una volta, più che mai curati,
saranno flosci e, come il mio, indeboliti. I ricordi inquietanti sepolti
nell’assillo di più rapidi giorni. Ma sempre vi luciderò, madamine d’oré, con
devoto, assiduo riguardo all’antico fulgore.
(Da Ennio Abate, Donne seni petrosi, Farepoesia 2010)
Carboncino di Tabea Nineo
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