di Ennio Abate
1.
Se/
obbligato ai tic e vivaci moine
per salotti e soirées/ fra ceti
medi e alti
hai corso
qualcosa di grandioso e
abietto/ sullo sfondo
e in filigrana
feroci e oscure
circostanze
sveli
la tua cartamoneta scritta
Piena
di leggerezza/ allor
sarà nel crash delle utilitarie
la
tua danza davanti alla ghigliottina
2.
Or
che alle domande capitali
della religione e della
storia
ha risposto il Capital (rivista!)
e le
Avanguardie
han fatto flop (o Blob)
rifugiati
in camera da letto
e goditi la gamba della donna
Ovvio
premunirti/ lo puoi
e teco reca in scorta/ fra sensualità
e amarezza
fazzolettini della più ricamata educazione
letteraria
il tuo io stia / insieme egocentrico e
decentrato
comodo/ su un paesaggio di vacuità festiva
o
di serenità appena minacciata dalla vecchiaia
3.
Trova
critici simili a te
non gemelli/ ma della tua medesima
cultura
Dissipa e moltiplica i punti di vista
le
fratture/ gli antagonismi storico-sociali
smessi/
abbandonali a quelli del Leoncavallo
Rendi
comico/ il Tutto
Di D’Alema il sorrisetto sprezzante
del
Buttiglion l’allucinato e scimmiesco viso
il capital di
Berlusconi / cafone e illuminato poco
Sii fine insomma/
anche con Fini
Scrivi solo bene/ per nuova plebe
un
bel collage alla Eco
o alla Calvino un
esatto montaggio/ del Nulla
4.
Giammai
nelle tue poesie
la miseria delle latterie
Ma dovessi
entrarci a scaldarti
da disoccupato
(cor gentil non scansa/
il suddetto malanno!)
o nelle periferie languissi
per
innominabili/ questioni economiche
spargi in crudi
romanzi
pedofili da spelacchiati giardinetti
adolescenti
cannibali in pubblici cessi porno-graffiti
lolite manipolate su
banchi di scuola
nell’ora obbligatoria di sesso a iosa
Più
squallide che puoi/ descrivile
americanizzale/ bronxeggiale per
benino
e avrai/ in centro/ una mansarda
5.
Non
scrivere le verità che porti
nel povero tascapane della tua
esperienza
Ai lettor paganti guastan l’ozio
e sol
dispersi/ e vaganti/ e in estinzione
critici ancora gustan
Tu
dei saper/ che sol procaccia fama
l’Internet de il
piacere della lettura
E se l’amena rete/
è già
intasata/ insisti
Recati pellegrin/ nei siti del tardo
romanzo storico
o della rinomata
apologia del comico e
dell’ironia
Frequentali/ seduci/ fai
ridere
Dai l’impressione di un livello di cultura
molto
alto
Ridi,
godi o fingi
e ti comprerà/ il partito di coloro che
ridono
poiché il mondo vuole essere ingannato
Nota
«Breve
secondo Novecento» è
un «libricino» postumo di Fortini uscito nel 1996 da Piero Manni
con prefazione di Romano Luperini. Non mi risultano commenti o echi
di rilievo, dopo l’annuncio della pubblicazione da parte di Attilio
Lolini (il manifesto 10 ottobre 1996). E forse è meglio così,
visto che la prima circolazione era stata pensata solo per amici e
conoscenti.
A me sta caro: è una tessera in più del mosaico
personale che mi vado costruendo dell’opera di Fortini, che
rappresenta una singolare scuola di avviamento ad una scrittura
critica per intellettuali di massa. Specie per quelli d’oggi,
rabbuiati e confusi.
Una lettura attenta ci mette poi di
fronte all’ineludibile conglomerato
storico-letterario-politico del Novecento a cui lo stesso
Fortini è appartenuto. Eppure anche in queste brevi ritratti
di trentasei moderni – da Arbasino a Calvino, Eco, Luzi,
Pasolini, Zanzotto – sfora la Letteratura come un palloncino con i
suoi spilli critici. E la libera dai miasmi d’accademia, di
cenacoli, di gang, di Radio 3. Senza svenderla né restituirla ai
Sacerdoti della Parola o del Mito.
Altri hanno compiuto
operazioni in apparenza più radicali. Ma, abbassandola fino
alla Trivial-literature o dissacrando il già
abbondantemente dissacrato e contribuendo a resuscitare, per
reazione, orfismi e mode new age, l’hanno
resa indovinello, spettacolino, giochino miniaturizzato, merce
insomma al contempo più elitaria e più vendibile, ma umanamente
inservibile.
Pagine «letterarie» si trovano su tutti i mass
media. E il revisionismo letterario è florido quanto
quello storico. I “cattivi maestri” vengono
sbeffeggiati e ripesati con la bilancia del buonismo o
del cattivismo autorizzato. O liquidati dai loro ex allievi
appena approdati alle cattedre, ai salotti, alla TV.
Nulla,
perciò, a gran parte del pubblico ancora leggente dice più
il nome di Fortini. Tanto meno interessano i problemi teorici,
politici e di poetica su cui assieme ad altri spese una vita. E di
recente persino una giovane saggista, capace di una polemica non
puramente televisiva, come Carla Benedetti, ha preferito parlare
di «Pasolini contro Calvino», saltando a più pari la critica
di Fortini a entrambi. E, come il barone di Munchausen si volle tirar
fuori dalla palude prendendosi per i capelli, così la Benedetti
cerca una «via d’uscita dal gioco bloccato della
letteratura» scegliendo una delle sue varianti
postmoderne: postuma, sciolta (come una Alka Seltzer)
o ammaliata dal caos esterno. (Leggi: mercato).
E
ornare a pronunciare nomi di scrittori quasi
innominabili? Risciacquare problemi in apparenza «superati»
per una generazione, che cova tranquilla nella bambagia della fine
della storia e non sa che farsene degli antenati? O tirar
l’orecchio al giovin scrittore senza staccarglielo,
invogliandolo a farsi critico, senza sentirsi chiedere quanto
costa e a quale scuola di scrittura bisogna
rivolgersi?
Mascherandomi da cinico andante. Miscelando
Parini e Fortini. Sgambettandolo ‘sto giovin scrittore mentre
corre verso il successo preordinato. Ci ho provato. Prosit.
* Anche con un lungo sottotitolo: Omaggio camuffato a «Breve secondo Novecento» di Franco Fortini questo testo uscì su «La mosca di Milano» nel1998
Nessun commento:
Posta un commento