domenica 10 novembre 2024

Una nota su "Ars Poetica" (1957) di Czesław Milosz

 


di Ennio Abate

Ars Poetica

Ho sempre aspirato a una forma più capace,
che non fosse né troppo poesia né troppo prosa
e permettesse di comprendersi senza esporre nessuno,
né l’autore né il lettore, a sofferenze insigni.
Nell’essenza stessa della poesia c’è qualcosa di indecente:
sorge da noi qualcosa che non sapevamo ci fosse,
sbattiamo quindi gli occhi come se fosse sbalzata fuori una tigre,
ferma nella luce, sferzando la coda sui fianchi.
Perciò giustamente si dice che la poesia è dettata da un daimon,
benché sia esagerato sostenere che debba trattarsi di un angelo.
È difficile comprendere da dove venga quest’orgoglio dei poeti,
se sovente si vergognano che appaia la loro debolezza.
Quale uomo ragionevole vuole essere dominio dei demoni
che si comportano in lui come in casa propria, parlano molte lingue,
e quasi non contenti di rubargli le labbra e la mano
cercano per proprio comodo di cambiarne il destino?
Perché ciò che è morboso è oggi apprezzato,
qualcuno può pensare che io stia solo scherzando
o abbia trovato un altro modo ancora
per lodare l’Arte servendomi dell’ironia.
C’è stato un tempo in cui si leggevano solo libri saggi
che ci aiutavano a sopportare il dolore e l’infelicità.
Ciò tuttavia non è lo stesso che sfogliare mille
opere provenienti direttamente da una clinica psichiatrica.
Eppure il mondo è diverso da come ci sembra
e noi siamo diversi dal nostro farneticare.
La gente conserva quindi una silenziosa onestà,
conquistando così la stima di parenti e vicini.
L’utilità della poesia sta nel ricordarci
quanto sia difficile rimanere la stessa persona,
perché la nostra casa è aperta, la porta senza chiave
e ospiti invisibili entrano ed escono.
Ciò di cui parlo non è, d’accordo, poesia,
perché è lecito scrivere versi di rado e controvoglia,
spinti da una costrizione insopportabile e solo con la speranza
che spiriti buoni, non maligni, facciano di noi il loro strumento.

(Czesław Miłosz, Poesie Adelphi, Milano, 1983, traduzione di Pietro Marchesani)

Credo che, verso per verso, vi si trovino ben riassunti i problemi a cui ho accennato in questa lezione del 2014 (qui)  e li evidenzio velocemente:

1. Ho sempre aspirato a una forma più capace: il problema della forma;
2.
che non fosse né troppo poesia né troppo prosa: distinzione (relativa e mai totale) della poesia dalla prosa (o, se vogliamo, del campo della finzione da quello della ricerca della verità; e quindi necessità di non spezzare questo loro rapporto);
3.
e permettesse di comprendersi senza esporre nessuno,/ né l’autore né il lettore, a sofferenze insigni: legame insolubile con la comunicazione;
4.
Nell’essenza stessa della poesia c’è qualcosa di indecente:/ sorge da noi qualcosa che non sapevamo ci fosse: questo qualcosa va accertato, perché non sempre viene fuori e anche la sua "indecenza" (allusione ai legami della poesia con l’inconscio e prima ancora con la magia e la religione) va interrogata e non data per scontata;
5.
la poesia è dettata da un daimon,/ benché sia esagerato sostenere che debba trattarsi di un angelo: Milosz è guardingo verso la poesia a differenza di chi l’esalta come via principale di accesso al mistero (orfismo);
6.
È difficile comprendere da dove venga quest’orgoglio dei poeti,/ se sovente si vergognano che appaia la loro debolezza: un orgoglio che copre una debolezza, dunque? Per il fatto che non è certo se la poesia li avvicini alla verità o alla realtà (o a Dio)? Viene da pensare che la vergogna la provino anche di fronte ai politici (intendo i grandi politici, quelli rivoluzionari), perché certi poeti (penso a un Mandel'štam) colgono una verità che i politici in genere respingono  e che  i poeti  pensano ma non riescono a praticare;
7.
Quale uomo ragionevole vuole essere dominio dei demoni /che si comportano in lui come in casa propria, parlano molte lingue,/e quasi non contenti di rubargli le labbra e la mano /
cercano per proprio comodo di cambiarne il destino? : qui viene indicato l'aspetto rischioso della poesia rispetto alla più rassicurante conoscenza razionale;
8.
qualcuno può pensare che io stia solo scherzando: la poesia essendo finzione, ecc.;
9.
Eppure il mondo è diverso da come ci sembra: ecco la ragion d’essere della poesia, che aiuta ad andare oltre le apparenze in modi rischiosi (almeno quanto le scienze);
10.
L’utilità della poesia sta nel ricordarci /quanto sia difficile rimanere la stessa persona: "l’io è un altro", "l’io non è padrone in casa propria", ecc.;
11.
perché è lecito scrivere versi di rado e controvoglia,/spinti da una costrizione insopportabile e solo con la speranza/che spiriti buoni, non maligni, facciano di noi il loro strumento: ritorna la cautela guardinga verso la poesia, ma anche l'accettazione della sfida.



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