di Ennio Abate
Ars
Poetica
Ho
sempre aspirato a una forma più capace,
che non fosse né
troppo poesia né troppo prosa
e permettesse di comprendersi
senza esporre nessuno,
né l’autore né il lettore, a
sofferenze insigni.
Nell’essenza stessa della poesia c’è
qualcosa di indecente:
sorge da noi qualcosa che non sapevamo ci
fosse,
sbattiamo quindi gli occhi come se fosse sbalzata fuori
una tigre,
ferma nella luce, sferzando la coda sui
fianchi.
Perciò giustamente si dice che la poesia è dettata da
un daimon,
benché sia esagerato sostenere che debba trattarsi
di un angelo.
È difficile comprendere da dove venga
quest’orgoglio dei poeti,
se sovente si vergognano che appaia
la loro debolezza.
Quale uomo ragionevole vuole essere dominio
dei demoni
che si comportano in lui come in casa propria,
parlano molte lingue,
e quasi non contenti di rubargli le labbra
e la mano
cercano per proprio comodo di cambiarne il
destino?
Perché ciò che è morboso è oggi
apprezzato,
qualcuno può pensare che io stia solo scherzando
o
abbia trovato un altro modo ancora
per lodare l’Arte
servendomi dell’ironia.
C’è stato un tempo in cui si
leggevano solo libri saggi
che ci aiutavano a sopportare il
dolore e l’infelicità.
Ciò tuttavia non è lo stesso che
sfogliare mille
opere provenienti direttamente da una clinica
psichiatrica.
Eppure il mondo è diverso da come ci sembra
e
noi siamo diversi dal nostro farneticare.
La gente conserva
quindi una silenziosa onestà,
conquistando così la stima di
parenti e vicini.
L’utilità della poesia sta nel
ricordarci
quanto sia difficile rimanere la stessa
persona,
perché la nostra casa è aperta, la porta senza
chiave
e ospiti invisibili entrano ed escono.
Ciò di cui
parlo non è, d’accordo, poesia,
perché è lecito scrivere
versi di rado e controvoglia,
spinti da una costrizione
insopportabile e solo con la speranza
che spiriti buoni, non
maligni, facciano di noi il loro strumento.
(Czesław Miłosz,
Poesie Adelphi, Milano, 1983, traduzione di Pietro Marchesani)
Credo che, verso per verso, vi si trovino ben riassunti i problemi a cui ho accennato in questa lezione del 2014 (qui) e li evidenzio velocemente:
1.
Ho sempre aspirato a una
forma più capace: il
problema della forma;
2. che
non fosse né troppo poesia né troppo prosa:
distinzione (relativa e mai totale) della poesia dalla prosa (o, se
vogliamo, del campo della finzione da quello della ricerca della
verità; e quindi necessità di non spezzare questo loro
rapporto);
3. e
permettesse di comprendersi senza esporre nessuno,/
né l’autore né il
lettore, a sofferenze insigni:
legame insolubile con la comunicazione;
4. Nell’essenza
stessa della poesia c’è qualcosa di indecente:/ sorge da noi
qualcosa che non sapevamo ci fosse:
questo qualcosa
va accertato, perché non sempre viene fuori e anche la sua
"indecenza" (allusione ai legami della poesia con
l’inconscio e prima ancora con la magia e la religione) va
interrogata e non data per
scontata;
5. la
poesia è dettata da un daimon,/ benché sia esagerato sostenere che
debba trattarsi di un angelo:
Milosz è guardingo verso la poesia a differenza di chi l’esalta
come via principale di accesso al mistero (orfismo);
6. È
difficile comprendere da dove venga quest’orgoglio dei poeti,/ se
sovente si vergognano che appaia la loro debolezza:
un orgoglio che copre una debolezza, dunque? Per il fatto che non è
certo se la poesia li avvicini alla verità o alla realtà
(o a Dio)? Viene
da pensare che la vergogna la provino anche di fronte ai politici
(intendo i grandi politici, quelli rivoluzionari), perché certi
poeti (penso a un Mandel'štam)
colgono una verità che i politici in genere respingono e che
i poeti pensano ma non riescono a praticare;
7. Quale
uomo ragionevole vuole essere dominio dei demoni /che si comportano
in lui come in casa propria, parlano molte lingue,/e quasi non
contenti di rubargli le labbra e la mano /
cercano
per proprio comodo di cambiarne il destino? :
qui viene indicato l'aspetto rischioso della poesia rispetto alla più
rassicurante conoscenza razionale;
8. qualcuno
può pensare che io stia solo scherzando:
la poesia essendo finzione, ecc.;
9.
Eppure il mondo è
diverso da come ci sembra:
ecco la ragion d’essere della poesia, che aiuta ad andare oltre le
apparenze in modi rischiosi (almeno quanto le scienze);
10.
L’utilità della poesia
sta nel ricordarci /quanto sia difficile rimanere la stessa persona:
"l’io è un altro", "l’io non è padrone in casa
propria", ecc.;
11. perché
è lecito scrivere versi di rado e controvoglia,/spinti da una
costrizione insopportabile e solo con la speranza/che spiriti buoni,
non maligni, facciano di noi il loro strumento:
ritorna la cautela guardinga verso la poesia, ma anche l'accettazione
della sfida.
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