di Ennio Abate
Ma su quale pero state?
Vi accorgete di cosa sta succedendo nel “mondo”?
Perché vi nascondete nel fogliame di questi pseudoragionamenti («La Pena coincide con la Cura») e nella vostra ambivalenza (irrisolta) nei confronti della poesia e del mondo?
Perché vorreste “guarire” da soli/e?
Perché dite: «La Poesia non ci salverà» e dopo un po’ vi contraddite e vi esce un: «La poesia e la scrittura sono salvifiche»?
Come fate a sostenere che «La poesia è vita» con tanta morte e tanti morti che serialmente si moltiplicano in tante guerre che pur esse si moltiplicano?
Perché volete preservare il vostro «purgatorio della poesia»?
Sicuri che siete «sospesi su un ponte» e non nella vostra ambivalenza?
Sicuro che la formuletta rimbaudiana «il poeta è veggente» non sia diventata, a forza di ripeterla, uno scongiuro stantio?
Possibile che v’interroghiate sulla “malattia” e vi preoccupiate soltanto che «non si può narrare dunque non diventa arte»?
E che vi incitiate («bisogna vivere molto, stare tra la gente») e non vi accorgiate che la vita la stanno massacrando per tutti/e? E che la “gente” è ormai un surrogato di miti sociali esauriti (polis, popolo, umanità, classe)?
In replica al post su Facebook di:
Ma su quale pero state?
Vi accorgete di cosa sta succedendo nel “mondo”?
Perché vi nascondete nel fogliame di questi pseudoragionamenti («La Pena coincide con la Cura») e nella vostra ambivalenza (irrisolta) nei confronti della poesia e del mondo?
Perché vorreste “guarire” da soli/e?
Perché dite: «La Poesia non ci salverà» e dopo un po’ vi contraddite e vi esce un: «La poesia e la scrittura sono salvifiche»?
Come fate a sostenere che «La poesia è vita» con tanta morte e tanti morti che serialmente si moltiplicano in tante guerre che pur esse si moltiplicano?
Perché volete preservare il vostro «purgatorio della poesia»?
Sicuri che siete «sospesi su un ponte» e non nella vostra ambivalenza?
Sicuro che la formuletta rimbaudiana «il poeta è veggente» non sia diventata, a forza di ripeterla, uno scongiuro stantio?
Possibile che v’interroghiate sulla “malattia” e vi preoccupiate soltanto che «non si può narrare dunque non diventa arte»?
E che vi incitiate («bisogna vivere molto, stare tra la gente») e non vi accorgiate che la vita la stanno massacrando per tutti/e? E che la “gente” è ormai un surrogato di miti sociali esauriti (polis, popolo, umanità, classe)?
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