mercoledì 25 giugno 2025

Refaat Alareer. Poeta accademico, ma a Gaza bombardata.


a cura di E. A.

"Infine, quel 6 dicembre 2023, un messaggio whatsapp che mi informa che Refaat Alareer è morto, ucciso a Gaza, da sfollato, con sua sorella, suo fratello e quattro nipoti.

Giorni dopo, brandelli di ricostruzioni fecero capire che non si trattava di una morte casuale, ma di un omicidio mirato, e che in mezzo alla distruzione e all’omicidio di massa, si regolano anche vecchi conti, e si può essere uccisi anche solo per un post su un social, tanto sei palestinese e la tua vita non vale niente, per i potenti con l’esercito più morale al mondo.“Se ci ferite, non sanguiniamo?” avrebbe detto Refaat, il letterato, il professore, citando Shakespeare e il mercante di Venezia, l’ebreo Shylock perseguitato che voleva prendersi la sua rivincita, come citava Anne Frank, e il film ‘Il pianista’ nell’assedio di Varsavia, e le foto e le immagini delle città europee distrutte dalla seconda guerra mondiale che ora, diceva Refaat nelle sue corrispondenze, vedo se solo mi affaccio alla finestra.
Poi la poesia, diffusa in tutto il mondo, scagliata come una freccia a sputare in faccia ai suoi criminali assassini. “Se io devo morire, tu devi vivere, per raccontare la mia storia”.
I poeti muoiono, perché sono fatti di carne e sangue, di affetti, di amori e di passioni che finiscono in un istante quando una bomba assassina li colpisce. Ma le loro poesie no.
Quella poesia ha viaggiato sul dorso di un aquilone ed è stata raccolta da migliaia di persone nel mondo. Refaat è come Handala, ora, il ragazzino di spalle in stracci, che guarda il suo paese violentato dagli stivali e dalla guerra di un nemico disumano. Refaat Alareer si unisce al lungo elenco di scrittori, poeti, artisti uccisi dall’occupazione sionista: Wael Zuaiter, Naji Al-Ali, Ghassan Kanafani e chissà quanti altri.
‘Gaza Writes Back’, la nuova edizione, testimonia dell’amore che Refaat Alareer ha lasciato nei suoi studenti, dell’impronta che ha dato alla letteratura di resistenza che ha contribuito in larga misura a creare a Gaza.
Gaza Writes Back, il titolo, non è traducibile in italiano. Verrebbe ‘Gaza controbatte’, o qualcosa del genere, ma non ha la forza del titolo in inglese, quell’idea di restituire, di rispondere, di buttare in faccia la propria penna ai soldati che facessero irruzione in casa sua, come aveva detto Refaat, sostenendo che avrebbe resistito fino all’ultimo. Sono solo un accademico, ho solo una penna, se entrano i soldati gli lancerò quella.
La distruzione di Gaza è continuata per tanto tempo dopo la morte di Refaat e non sappiamo che cosa resterà della città, dei suoi abitanti, della sua cultura. Le università in cui Refaat insegnava, creava progetti, collaborazioni internazionali, non esistono più. Ma Refaat Alareer credeva nel potere delle storie.
E la sua storia, la storia di Refaat Alareer, il poeta combattente che lancia aquiloni di parole, è una storia enorme. E noi siamo qui ad ascoltarla, e a raccontarla, per poi ascoltarla di nuovo, riraccontata, sempre avanti, come un fiume che ingrossa, o un’orchestra in cui si aggiunge sempre un nuovo strumento. Contro il silenzio."


(Dalla pagina FB di Luigi Lorusso qui su segnalazione di Lidia Campagnano)

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