di Ennio Abate
Dubiti.
Non sai come stringerai la mano
a Carlo V, dov’è la via per
Anversa
e
se Lutero, adocchiandoti, non ti sbaverà.
Una
baldracca feroce, annidata in anfratti rugosi
discariche fetide,
oscuri broli, ti pare la storia
fanciulla, occhi guizzanti e
televisivi
e snobbarla, sfuggirle, vorresti.
I tuoi
dolorini di pancia, però
già suoi travagli si direbbero.
Non dilettoso il monte in vista
e
malandato Virgilio sono io.
Ma rassicurati. Un po’ la conosco.
Andiamole, dunque, incontro!
Bisogna
amare l’altera fanciulla
che lieve viene nella mia abitazione
per studiare la storia.
Qui pare le si plachi il
groppo alla gola
e, attratta dai biscottini, assaggi
la
tremenda, scottante pozione.
Bisogna
sugli eventi lasciarla ronzare.
Succhierà
umori acri
e
sgomenta, poi stizzita
chiederà incoraggiamenti.
Sorriderle bisogna
tacere, correggerla poco.
Perché
viene dal silenzio lei.
I semi ne porta
e ha appena cominciato
a viaggiare nella storia
scalza, torpida, mal
equipaggiata
chimere ancora inseguendo.
Perciò
sempre tremo, m’inceppo, m’arresto.
Non vorrei che di botto
la scuotesse
l’immane
urlio e che servitù, morte, nulla
appannassero lo
specchio del suo sorriso.
Prima
deve passarle la
paura.
Prima deve maturare ma nella storia
un nuovo sogno.
Lei
chieda distratta. Lei scelga la danza.
mentre se lo costruisce da sé.
Io solo buone macerie
le porgo
E,
vedete, è quasi pronto.
Fra le mie mani lo trattengo.
Poi,
quando sveglia sarà:
- Eccoti il sogno tuo! – le dirò.
L’ho protetto, mentre lo crescevi
e, per covarlo, dormivi.
Adesso la pancia non ti dorrà
più.
Adesso
puoi portarlo in giro tu.
maggio-dicembre 1994

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