Dopo la pubblicazione su questo blog di Due poesie di Eugenio Grandinetti ho ricevuto questa mail:
Caro Ennio, giusto per riallacciare discorsi interrotti, ma non trovi che questa poesia "Rivoluzione" sia orribile? E' puro e semplice discorso politico, neanche tanto originale né approfondito, costruito su righe con "a capo".
Questa è proprio il tipo di NONpoesia civile che non solo non mi piace né interessa, ma penso sia addirittura dannosa.
Ma scusa, hai letto anche tu i passaggi CIVILI del libro di Majorino [Viaggio nella presenza del tempo], con una forza interna, uno sdegno vero, una poesia che rafforzava il messaggio e l'indignazione. Come fai ora a pubblicare una poesia del genere? Il confronto è spietato.
Scusa la franchezza, ma a volte non capisco proprio le tue scelte.
Immediatamente ho così risposto:
La mia scelta per il blog è semplice: il Dizionarietto accoglie tutto, proprio come in un dizionario di lingua ci sono le parole belle e brutte, lunghe e corte, abusate o ricercate, etc.
Poi si fa il lavoro di critica.
Sotto i testi c'è lo spazio per il commento. Prova a scrivere lì la tua opinione.
Aggiungerei ora alcune osservazioni:
1. Eviterei un confronto, fra questo singolo testo e quelli citati di Majorino, che ritengo inopportuno e complicato.
2. Non trovo né «orribile» né «dannosa» questa poesia di Eugenio: i due aggettivi mi sembrano sproporzionati e ingiustificati; la si può rifiutare o ritenerla poco interessante
3. Il rifiuto (legittimo) di questa poesia di Eugenio andrebbe motivato in profondità. Non vorrei che nascondesse un pregiudizio contro la presenza in poesia di elementi ragionativi e temi politici ritenuti ormai “superati”. Ad es., quando si dice:«E' puro e semplice discorso politico, neanche tanto originale né approfondito, costruito su righe con "a capo"», obietterei che non mi pare, perché il contenuto politico è comunque sottoposto a regole retoriche diverse da quelle tipiche del discorso politico, perché qui esso è calato in una forma quasi classica, abbastanza regolarmente ritmata, con ripetute anafore, ecc.
Le critiche, invece, che io muoverei a questa poesia per me comunque rispettabile, nascono dalla convinzione che un poeta non è uno che metta in bella forma o in belle parole un contenuto che gli è caro o che egli considera valido e basta. Secondo me, è bene che si accerti se quel contenuto sia valido non dico per tutti, ma per quanti potrebbero condividerlo o lavorano su quel contenuto con altri saperi (filosofici, politici, ecc). E allora mi sento di dire che questa poesia sulla ‘rivoluzione’ non tenga sufficientemente conto del dibattito più recente e meno recente sul tema.
Per essere chiaro, farei queste critiche:
L’intento esplicito della poesia («Occorre veramente voler fare/ la rivoluzione») è quasi contraddetto dalla somma di rischi e di pericoli. Essi appaiono così una insormontabile barriera. Mancano alcuni tratti tipici di una poesia civile (ammesso che questa lo voglia essere o lo debba essere): indicare ad altri un obiettivo da condividere, riscaldarne in quanche modo l’animo. Prevale qui invece un certo rimuginare astratto del tema. Prevale piuttosto l’incertezza. Trovo inadeguato alla realtà d’oggi il punto di vista con cui il tema ‘rivoluzione’ viene affrontato. Come se la storia tragica delle rivoluzioni avvenute, dei loro limiti, della potenza schiacciante delle spinte opposte a qualsiasi ‘rivoluzione’ non ponesse al poeta dopo tanti fallimenti una questione ineludibile: se sia possibile fare una ‘rivoluzione’ e chi possa farla.
Il ragionamento, che io -ripeto - non escludo dal campo della poesia, ai miei occhi risulta svolto qui in modo generico e scivola nell’ideologia. A me pare ad es. troppo poco dire che per fare una rivoluzione occorrano i fucili, tanta rabbia e «credere che sia giusto/ fare la rivoluzione». Armi, rabbia e credenza sono al massimo degli accessori. Ci vorrebbe un progetto, una teoria. E oggi non c’è. Trovo pure vago dire che in un’organizzazione (per fare la rivoluzione) ognuno debba mantenere il proprio posto. Quale posto? Non penso neppure che la corruzione derivi dal ruolo, secondo l’antico adagio che l’occasione fa l’uomo ladro, o che le cause dei mali della vita sociale siano riconducibili all’egoismo.
Il ragionamento, che io -ripeto - non escludo dal campo della poesia, ai miei occhi risulta svolto qui in modo generico e scivola nell’ideologia. A me pare ad es. troppo poco dire che per fare una rivoluzione occorrano i fucili, tanta rabbia e «credere che sia giusto/ fare la rivoluzione». Armi, rabbia e credenza sono al massimo degli accessori. Ci vorrebbe un progetto, una teoria. E oggi non c’è. Trovo pure vago dire che in un’organizzazione (per fare la rivoluzione) ognuno debba mantenere il proprio posto. Quale posto? Non penso neppure che la corruzione derivi dal ruolo, secondo l’antico adagio che l’occasione fa l’uomo ladro, o che le cause dei mali della vita sociale siano riconducibili all’egoismo.
Le cause sono più complesse, stanno nelle strutture stesse della vita sociale (e non tiro in ballo Marx, i rapporti di produzione, ecc.). Altrettanto ingenuo mi pare pensare che una buona riuscita di una rivoluzione possa avere, come dire, dei “garanti”. Le grandi rivoluzioni sono state sempre una scommessa. E trovo, infine, idealistico e consolatorio pensare ancora una volta alla ‘rivoluzione’ come se fosse un fatto di coscienza o soprattutto di coscienza. Le rivoluzioni spesso avvengono contro le aspettative coscienti. Infine ogni invocazione umanistica all’«uomo nuovo», che si ripete dai tempi dell’umanesimo, mi pare simile alle invocazioni di pace e di fratellanza che da secoli vengono vanamente ripetute.
5 commenti:
Certo le parole di Eugenio sono di grande contenuto e anche la risposta di Ennio rivela unagrande fede nella rivoluzione ma io non riesco a sentire poesia nello scritto di Grandinetti, considerando tutto ciò che pensavo di aver capito dalle vostre risposte alle mie incalzanti domande durante il dibattito "Cos'è la poesia?", ora mi sento purtroppo di rifarvi la stessa domanda ma non vi preoccupate non ve la faccio . Ciao Emy
Caro Ennio e molti,
vedi cosa succede a parlare di fucili e di rabbia: chi reagisce a queste offese – alla vita civile, ma anche alle leggi di armonia e bellezza, obbligatorie per chi vorrebbe fare poesia, non osa firmare. Così ha fatto l'anonimo che ti ha scritto – lo capisco – questa rabbia fa paura, ma attenzione "fucile chiama fucile", purtroppo: che siano kalashnikov o moschetti, fanno sempre male, ai nostri figli ai nostri nipoti e anche a noi, fuori dal giro.
Un caro pacifico saluto a tutti e Buon Natale.
Paolo Pezzaglia
Forse lo scopo di Grandinetti era proprio quello di farci riflettere sulla non poeticità di un ipotetico gesto rivoluzionario oggi. Infatti Emy non coglie alcuna forma di canto proprio perché l’argomento rivoluzione si aggrappa ad un concetto di azione che di poetico non ha proprio nulla. Mi sembra che oggi regni molta confusione e tale disordine non permette di lavorare intorno ad alcun progetto forte e ben delineato, come dice Ennio, che abbia come scopo l’ Agire. E non perché le persone non siano in grado di svilupparne uno, ma perché si tira a campare con atteggiamenti di letargia. I grossi problemi del passato (diritto al voto, all’aborto, al divorzio ecc…) legati a bisogni quasi primari sono stati relativamente superati; non si ha più bisogno di conquistare altro? Precipitiamo tutti nell’immobilismo e poi procedere diventa inevitabilmente faticoso. Ci vorrebbe sì un progetto decente, una teoria come si deve, una giusta preparazione mirata a stanare il potenziale di cui si potrebbe disporre, ma chi la elabora?
Giuseppina
Ennio Abate a Paolo:
Preciso che la mail mi è arrivata firmata. Ho deciso io di pubblicarla senza il nome di chi me l'ha inviata perché m'interessa concentrare l'attenzione esclusivamente sul contenuto espresso, come si vede, con schiettezza.
EUGENIO GRANDINETTI:
caro Ennio, mi ero lamentato del fatto che all'interno di moltimpoesia non riuscisse a instaurarsi una discussione a proposito della società in cui viviano,ed ora sono accontentato.Infatti, alla mia poesia sulla rivoluzione sono giunte critiche da parte di Beppe, da parte tua e da parte di un mio disistimatore, di cui non conosco l'identità e che perciò indicherò come l'anonimo.
Quanto alla crica di Beppe, è come al solito molto civile e garbata,ma rispecchia la posizione direi quasi chiastica che c'è tra le sue posizioni e quelle mie:infatti Beppe in campo sociale è conservatore e in campo linguistico è innovatore,mentre io sono innovatore in campo sociale e conservatore in campo linguistico.E' possibile un dialogo? Certamente,ma tenendo sempre in considerazione le posizioni di partenza.
Più greve è la critica dell'anonimo
che dice che la mia non è poesia civile ma semplice discorso politico,non tanto originale.
Io non credo di fare dei discorsi politici,ma se mai ideologici, perchè a me manca la ricerca del compromesso e della mediazione. Sull'originalità non so cosa dire:è la mia posizione, che non credo trovi molte condivivisioni tra la gente. Infatti, parte dalla considerazione che, se la rivoluzione è un totale cambiamento del modello sociale, allora occorre che non si accetti più il sistema liberistico, anche variamente ritoccato,ma bisogna partire da un totale egualitarismo.
La poesie potrebbe allora considerarsi come poesia didascalica che segue il seguente ragionamento: per cambiare non basta la presa di potere, ma occorre cambiare totalmente il modello.
Io - e scusate se mi ripeto- sono conservatore in campo linguistico, perchè penso che la
poesia sia soprattutto un atto di comunicazione,per cui,a differenza dell'anonimo,non apprezzo molto i linguaggi criptici o comunque oscuri.Libero ognuno di pensarla come vuole. Se c'è possibilità, si dialoga; altrimenti -come suol dirsi -amici come prima. Quanto
alla versificazione,forse l'anonimo non s'è accorto che l'andare a capo non è casuale e che spesso viene fatto uso dell'endecasillabo e di altri metri tradizionali.Inoltre sono presenti anafore,allitterazioni e - credo (non ho la poesia sotto gli occhi)- anche metafore.
La risposta ad Ennio si ricava da quanto ho detto.Non porto avanti una posizione politica, ma ideale (o idealistica,se preferisci). Nel discorso non mi pare ci siano contraddizioni, ma l'affermazione che, per quanti accorgimenti si possano avere, non c'è rivoluzione se non c'è cambiamento totale del modello.
E' certo una visione molto amara e capisco che non sia condivisa da molti, ma la discussione c'è proprio perché le posizioni dei dialoganti non coincidono sempre perfettamente.
Sono comunque contento di avere smosso le acque.
Cordialmente
Eugenio
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