Rivista di poesia e filosofia
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Ed. Vicolo del Pavone
C O M U N I C A T O S T A M P A
Codogno, 10 giugno 2011
È stato pubblicato in questi giorni il volume di Christine Koschel, Nel sogno in bilico, a cura di Amedeo Anelli, per i tipi di Mursia, nella collana Argani diretta da Guido Oldani. La nostra redattrice Christine Koschel è fra i maggiori poeti tedeschi del Secondo Novecento;
nel risvolto di copertina Guido Oldani scrive: «Si vive con un dizionario di alcune decine di parole. Tutto al contrario per Christine Koschel; lei sa che il poeta è una piccola isola in un oceano di termini, da cui pescarne pochi, e ad uno ad uno, con la fatica della lenza, usando per esca il proprio animo, perché il cesto si colmi lentamente, apertis verbis, e solo quando occorra veramente. Una poetessa inestricabile dalla sua biografia, il cui lavoro poetico è quasi scambiabile vicendevolmente con la sua persona o personalità, così appartata e il cui parlarne richiede quasi già una certa violazione. L’infanzia della piccola Christine è segnata dalle drammatiche conseguenze della Seconda guerra mondiale. Giovane poetessa, emigrerà in controtendenza, verso sud, a Roma, dove l’amicizia con Ingeborg Bachmann e con Cristina Campo – unitamente alla sua vocazione intrinseca – la terranno al riparo dalla sterile agevolata salotteria e, fino ad oggi, dall’attenzione di troppa editoria. È un «poids égoûtté» la scrittura della Koschel, fra i più significativi poeti del nostro tempo, con anche momenti come di residualità tutta europea dell’esperienza, dove ogni parola in più appesantirebbe vanamente il bagaglio del pellegrinare della poesia. Se dovessi fare qualche eventuale riferimento italiano ai suoi versi, penserei a certi vociani o al riservatissimo Roberto Rebora, nipote del più noto Clemente.Ma si sa, la Koschel ha avuto anche a che fare con il fecondo Gruppo 47, in Germania. Viene a mente allora, per i suoi testi, la delicatezza di un cespuglio invernale; non ha senso ricercarvi una ricchezza floreale. Pure, una gelata improvvisa fa sbocciare, da quei segni di matita, una delicatissima galaverna. Ne viene un imprevedibile giardino di bianco, sia di concretezza che di avvolgente sognabilità».
nel risvolto di copertina Guido Oldani scrive: «Si vive con un dizionario di alcune decine di parole. Tutto al contrario per Christine Koschel; lei sa che il poeta è una piccola isola in un oceano di termini, da cui pescarne pochi, e ad uno ad uno, con la fatica della lenza, usando per esca il proprio animo, perché il cesto si colmi lentamente, apertis verbis, e solo quando occorra veramente. Una poetessa inestricabile dalla sua biografia, il cui lavoro poetico è quasi scambiabile vicendevolmente con la sua persona o personalità, così appartata e il cui parlarne richiede quasi già una certa violazione. L’infanzia della piccola Christine è segnata dalle drammatiche conseguenze della Seconda guerra mondiale. Giovane poetessa, emigrerà in controtendenza, verso sud, a Roma, dove l’amicizia con Ingeborg Bachmann e con Cristina Campo – unitamente alla sua vocazione intrinseca – la terranno al riparo dalla sterile agevolata salotteria e, fino ad oggi, dall’attenzione di troppa editoria. È un «poids égoûtté» la scrittura della Koschel, fra i più significativi poeti del nostro tempo, con anche momenti come di residualità tutta europea dell’esperienza, dove ogni parola in più appesantirebbe vanamente il bagaglio del pellegrinare della poesia. Se dovessi fare qualche eventuale riferimento italiano ai suoi versi, penserei a certi vociani o al riservatissimo Roberto Rebora, nipote del più noto Clemente.Ma si sa, la Koschel ha avuto anche a che fare con il fecondo Gruppo 47, in Germania. Viene a mente allora, per i suoi testi, la delicatezza di un cespuglio invernale; non ha senso ricercarvi una ricchezza floreale. Pure, una gelata improvvisa fa sbocciare, da quei segni di matita, una delicatissima galaverna. Ne viene un imprevedibile giardino di bianco, sia di concretezza che di avvolgente sognabilità».
A portare in italiano i suoi traduttori storici in un’opera corale che dà il senso del lavoro dialogico di ascolto e interrelazione fra culture che il tradurre stesso rappresenta. Le traduzioni intrecciano generazioni di germanisti: Maria Teresa Mandalari, Maura Del Serra, Anita Raja, Silvio Aman, Daniela Marcheschi, Enrico Piccinini, Paola Quadrelli; raccolgono accanto a nuove traduzioni i testi usciti nelle riviste «AC», «Kamen’», “«Poeti e Poesia» ed in altri luoghi.
Christine Koschel è nata a Breslavia, in Slesia, nel 1936. Finiti gli studi ha lavorato a Monaco come aiuto regista teatrale e cinematografico. Nel 1961 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Den Windschädel tragen. Trasferitasi a Roma nel 1965, ha collaborato ad antologie e riviste italiane e internazionali e ha curato con Inge von Weidenbaum l’opera di Ingeborg Bachmann in quattro volumi per la casa editrice Piper di Monaco. Tra le sue raccolte poetiche, Pfahlfuga (con una nota di Ilse Aichinger, 1966), Zeit von der Schaukel zu springen (1975), Das Ende der Taube (1992), Ein mikroskopisch feiner Riss (2002), L’urgenza della luce (a cura e con un saggio introduttivo di Amedeo Anelli, traduzione di Cristina Campo, 2004), Einen Lidschlag offen (2009).
Christine Koschel, Nel Sogno in bilico,
a cura Amedeo Anelli
MURSIA, pp. 66 - € 15,00
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