venerdì 6 aprile 2012

Ennio Abate
Il poeta e la morte.
Omaggio a Armando Tagliavento.

Armando Tagliavento (1930-2012)
E' morto ieri pomeriggio all'Ospedale Sacco di Milano Armando Tagliavento, il "bidello-scrittore", di cui avevo pubblicato su questo blog alcune poesie e una mia riflessione del 2006 sulle sue scritture (qui e qui). Per ricordarlo ancora, pubblico  le poesie uscite sulla rivista Il Monte Analogo n.1 del 2003  e un inedito (credo...), che mi  consegnò negli ultimi anni durante alcune visite nel suo appartamento di Via Chiari 3 a Milano. [E.A.]


1. Poesie di Armando Tagliavento ( da Il Monte Analogo n.1, 2003) 
  
La morte

Accendo una sigaretta.
Non finisco di tirarla
che finisce.
Passa una donna appena nata,
ripassa morta.
La giornata incupisce
prima che il gallo canti.
Comincio a scrivere tragico
una lettera:
l’inchiostro muore, si scompone.
Si coagula il mio cuore
di malanno.
Non batte più.
La notte è venuta.

Mi levo al mattino.
Aguzzo la vista e la matita.
La mina è scoppiata
e la morte mi ride
disperata.

La bici

La mia bici azzurra
legata al palo
col lucchetto ammaccato
è d’acciaio.

Tu poggi le tette gonfie di caldo
alla ringhiera
della Milano affumata
sotto un cielo pirata.
Per denti hai una grata
di grissini al miele.

Se ti bacio sottobanco
vedo la bici
legata al paolo
ancora nuova di zecca
  
La mora

La sera ritorna:
la mora s’adorna
dinanzi allo specchio
civetta, s’abbella,
s’acconcia, fa il broncio
col suo profilo
di gatta marongia.
Volubile sì, ma bella,
ancheggia, si pavoneggia
con la gonnella a quadretti
nei suoi fianchi stretti.
Va dritta spedita
verso il Ca’ Granda
e porta scarpette
di Standa.
  
Sono un robot

Per capelli tengo fil di ghisa,
d’alluminio è la mia divisa.
Le mie mani son di nero amianto,
la mia casa è il truce camposanto.
Il mio cuore nuota nell’ottone,
piango e sgrigno i denti di cartone.
Se mi spingi, io emetto
un rumore di armadietto
pien di viti e di bulloni.
Le mie orecchie son bottoni
di cerume incatramato,
le mie gambe di bitume
cementato.
  
Ombra

La bionda dai lunghi capelli
il volto dolcificato
e gli occhi verde bottiglia
mi guarda seduto nel tram.
Poi scende dal predellino
ed entra nel lungo metrò.

La bramo di spalle:
è bella, corposa
alla sbarra la mano si posa.

A Lambrate s’accosta alla porta,
mi rinota da sotto i ray-ban.
Pare una vecchia mia sposa
Invece tra la folla mi muore.
Vedo soltanto le sue caviglie
andare nel confuso tra tran.
  
Piazza Gerusalemme

Transenne rosse.
Ti sei messa a vendere i gatti
sul bancone ipotecato.
Le tue cerni non sanno più
di catrame.
La tua pelliccia ladra.

Tarda a venire la sera
con la borsetta nera.
Le foglie chiudono
la strada in fretta.
La tua bicicletta
è fissa al pavé.

Dalla casa alla contrada
e per la strada di notte
con tutti t’accoppi.
E poi sonnacchiosa
compri ogni cosa
in Piazza Gerusalemme:
la croce e una rosa.


* Armando Tagliavento autodidatta. Emigrato dal Sud, da giovane in Francia e in Germania ha fatto vari mestieri. Quindi, bidello-scrittore all’Istituto Tecnico “Molinari” di Milano. Ha pubblicato per la Feltrinelli Tra fascisti e germanesi, romanzo autobiografico. Isolato, ha continuato a scrivere tumultuosamente romanzi e poesie.



2. Hermann, fotocopia di sette pagine, senza data. Presumibile  testimonianza  registrata e trascritta da autore al momento a me ignoto.


Ermanno frequenta il CTS Jacopino da Tradate quasi quotidianamente,
abitandovi anche piuttosto vicino. Qui, ci dice, ha frequentato un corso di
inglese, per aggiornarsi, qualche anno fa
; perché Ermanno non ha mai
concesso una tregua. alla sua curiosità, o passione, per la conoscenza delle lingue e ... la scrittura.
Ci chiede di usare appunto il suo pseudonimo di artista e ci parla a lungo dei suoi lavori letterari; la sua vita gli ha riservato molte avventure e alcune difficoltà e sembra quasi che la scrittura, impulso inevitabile, gli
abbia permesso di trasformarle
, elevarle, dare loro una giustificazione e
una collocazione più funzionale al desiderio di essere o avere altro rispetto a ciò che la vita, appunto, gli ha talvolta riiservato .... Forse - ci dice Ermanno, Hermann - con molta sincerità e curiosità anche verso se stesso,nell 'imperativo dello scrivere si nasconde un atteggiamento velleitario, un'ambizione ad essere altro da sé ... E certamente la sua testimonianza ci nasconde e rivela - oltre al racconto di spaccati milanesi vissuti come immigrato nel dopoguerra - un gioco tra verità e finzione letteraria ma soprattutto la caparbia ricerca di risposte a diversi interrogativi, su di sé, le persone, l'esistenza.

Ermanno, Hermann, come preferisce essere chiamato, è nato nel 1930 a  Fondi (Latina), paese raso al suolo dagli americani con i bombardamenti a tappeto; la famiglia è povera e Herrnann perde presto la madre, un marcantonio, quando questa aveva l'età di trentatre anni, un fratellino più piccolo era morto di fame ... "Ho conosciuto la guerra: portavo i tedeschi e gli inglesi a femmine" ...
La sua vita, ci dice, "è tutta cattiva" e di certo molte sono le avventure, disavventure e anche le tragedie che ha attraversato. Ma è anche una vita ricca di esperienze ardite, guidate forse da una curiosità, da una ricerca e da un'ambizione che si esprimono e prendono forma nella scrittura: il racconto, la poesia, il romanzo - la passione, il bisogno, l'ossessione di Hermann - raccontano di lui. ..
Quando io scrivo, qualsiasi cosa sia, sono sempre io; anche se faccio finta che sia un altro, tutti i sensi, le emozioni, il travaglio sono miei: vedo un fiore e sono io, mi piacciono molto gli alberi e "mi ci metto a parlare" e li invidio pure, perché loro rifioriscono ogni anno, noi invece ogni anno andiamo indietro ...
Comunque io sono un autodidatta e come diceva Totò "non ho né laura" ...
E così Hermann ci racconta, nella nostra chiacchierata, le sue riflessioni, i suoi interrogativi, le diverse peripezie vissute, colorendole con una prosa  ricca e con una lingua dai marcati e ricercati "accenti" dialettali ...
... Questo romanzo è un vocabolario della lingua di Fondi, parola per parola:  l'ho tutta analizzata attraverso la descrizione di episodi tipici della vita quotidiana di laggiù; vi ho raccontato di quando mia sorella Marietta si faceva la permanente di sabato e io la sera la trovavo a letto con la testa alzata dal cuscino ... ! E la restituzione di tutti gli spaccati locali è l'esito, appunto, di uno studio del dialetto, la lingua madre ...
La grammatica italiana la studio da settant' anni, come le grammatiche di  altre lingue, anche dialettali; ho studiato il tedesco quasi tutta la vita e
imparato questo, apprendere l'inglese è stato piuttosto facile, a dieci anni io leggevo lo spagnolo...      -
... Il mondo lo vedo sgretolato: finiranno tutti i valori, soprattutto l'amore.
E' che l'uomo si fa trascinare, soprattutto dalla tecnologia; la ciabatta
all'orecchio (il telefono cellulare) e le automobili ... : gli uomini che stanno nelle macchine non li conosce nessuno, se uscissero dalle macchine sarebbe invece una bella processione!
La mia vita è anche scoprire le persone ... : penso che gli uomini vogliano troppo e quando hanno troppo diventano cattivi perché vogliono di più ...
... A undici anni stavo a garzone in una famiglia a Idri ma poi, dopo qualche anno, scappai di notte: alle due rubai una pagnotta, la avvolsi nella federa del cuscino e così me ne andai. Poi ho vissuto sempre solo finché ho trovato una famiglia che mi ha ospitato a Monterotondo; lì ho conosciuto anche mia moglie e da lei ho avuto due splendidi figli, una figlia bella come un angelo.
Ora vivo in questa casa che mi piace anche se non c'è l'ascensore, ci
abitiamo da trentaquattro anni e sostituirei solo Amburgo a Milano ... Prima della copertura dei Navigli Milano poi doveva sembrare Venezia, era un amore ...
E inizia il complicato racconto di tutte la avventure in cui Hermann è stato coinvolto prima e dopo il primo approdo a Milano ...
Da piccolo me ne andai due o tre volte da uno zio a Roma perché, morta la mamma, il mio papà aveva una compagna, la mia matrigna e con loro non stavo bene ...
L'unico periodo buono, dopo molti anni, fu il militare perché potevo
mangiare tanto: dei piattoni di pastasciutta! Avevo finalmente tutto quello
che volevo e mi avevano assegnato anche un ruolo di una certa importanza: facevo l'istruttore e il radiotelegrafista. Ricordo però che una volta ci mandarono a fare un campo primaverile e scappammo per fare i bagordi lasciando le linee scoperte!
Facendo il militare conobbi anche il mio primo amore, Fiorina: una ragazza friulana che era a servizio da un ufficiale; quando avevo le licenze la andavo a trovare, poi lei andò a lavorare in Svizzera e in seguito, non molto tempo dopo, morì.
E fu proprio durante il militare che io mi innamorai della Lombardia,
quando mi mandavano in spedizione di qua e di là ... Prima di arrivarci però il percorso fu lungo e accidentato.
Quando stavo a Monterotondo, infatti, abitavo presso una famiglia
calabrese; questi diedero una mia foto - e devo dire che ero piuttosto bello - alla famiglia di una nipote che stava in Calabria, così io andai fin laggiù per conoscerla ma poi non ne volli sapere di sposarla. Tornai allora a Monterotondo però ormai da lì volevo andarmene: infatti avevo preparato il passaporto per andare a raggiungere la Fiorina in Svizzera. E una notte fuggii, passando per il tetto. E fui anche morso dal cane!
Feci un periodo a Roma, avevo 21 anni; la domenica andavo a vangare e
ricordo di come mi sentissi orgoglioso quando mi chiamarono per andare a vangare nei vigneti dei castelli: vangare non è facile perché si va indietro e lì erano tutti esperti! Quegli uomini, per il mestiere che facevano, erano quasi un'istituzione e se non eri capace rimanevi disoccupato ... !
Poi tornai al mio paese presso una zia che però avrebbe voluto appiopparmi la figlia! A questa zia raccontai tutta la vicenda di Monterotondo e lei allora mi riportò lì. Ma dopo un po' tre fratelli della giovane calabrese mi sorpresero una notte e mi accoltellarono per vendicare l'onta subita dal rifiuto! Non mi fecero nulla di grave e guarii in una decina di giorni ma ancora porto i segni di quella "lezione".
Un giorno un'amica mi invitò ad una festa dei tulipani e con lei c'era mia moglie ... Così la conobbi e me ne innamorai, andammo in Abruzzo e lì ci sposammo, quando io avevo venticinque anni; era il '55.
Ci trasferimmo a Milano quando avevo ventinove anni, orami più di una
quarantina di anni fa, grazie ad una famiglia che conoscevamo e che abitava poco fuori dalla città. Non ricordo di avere incontrata grosse difficoltà nell'integrazione. C'è un episodio molto indicativo della condizione di noi immigrati di allora ma non lo ritengo significativo di un'intolleranza dei milanesi nei confronti degli estranei.
Poco tempo dopo essermi trasferito in città, dovevo andare a lavorare in
viale Monza come muratore, perché nella mia vita avevo fatto anche questo lavoro: il muratore, il capomastro, il manovale, quello che trovavo ... Così mi aggiravo da quelle parti senza sapere bene come orientarmi e chiesi aiuto ad un passante; questo mi rispose "cammina avanti fino a che non trovi il Naviglio, poi giri..." ma io non sapevo che cos'era il Naviglio e allora chiesi ad una signora che stava da un fruttivendolo ... Quella mi guardò e mi rispose "il navili l'è un fium, terrun!" ma non interpretai, appunto, la frase come un'offesa: semplicemente si era accorta che ero meridionale e difatti non ho mai riscontrato discriminazioni.
Non ho mai sentito Milano di per sé ostile e minacciosa, mi ha dato tante
speranze e, se lo vogliamo dire, se uno non dorme il lavoro ce l 'ha. L'uomo si deve dare da fare; oltre a lavorare io sono stato quarant'anni di sera a studiare.
Certo, ho anche attraversato diverse difficoltà che mi hanno messo a dura prova e per non poco tempo ...
E così Hermann ci riferisce delle traversie patite da lui e dalla sua famiglia per arrivare ad ottenere di nuovo un lavoro e una casa, dopo un'esperienza di disoccupazione - a causa di una malattia recidiva - e di una temporanea sistemazione in un centro per famiglie sfrattate. Una vicenda che restituisce un risvolto decisamente duro di come erano i tempi e la città in quegli anni '60 del boom dell'immigrazione interna.
Per dieci anni abitammo in corso di Porta Romana, poi per tre anni fummo alloggiati al centro degli sfrattati in zona Corvetto, in via Oglio, poi abbattuto.
Il centro era come una caserma: chiudeva la sera e noi stavamo lì dentro ma la convivenza non era facile e si verificarono anche episodi di violenza.
Questa condizione era tanto più penosa per noi per via del fatto che i
bambini erano costretti ad assistere a tutto questo.
A Milano c'erano un sacco di quartieri e case nuove o nascenti, però non le assegnavano ai disgraziati, a quelli che ne avevano più bisogno; ci fu per questo anche un movimento di occupazioni abusive e in quei tentativi
disperati di trovare una sistemazione ci furono anche dei morti.
La mia sfortuna iniziò quando sembrava che potessimo trasferirei addirittura a Parigi! Lì avevo già una casa e un lavoro, perché sarei dovuto subentrare a mio fratello ma, arrivato lì, mi scoppiò l'ulcera e dovetti essere operato: da allora non stetti più bene e sono stato costretto a subire sette o otto operazioni allo stomaco.
Dopo tre anni persi il lavoro e la casa qui a Milano, trovai un'altra occupazione ma persi anche questa per un'altra ulcera; ero rimasto disoccupato tre anni e per questo motivo provai a chiedere aiuto.
Hermann legge allora da un suo romanzo/autobiografia - "Lo sfrattato" - un episodio vissuto; e la cadenza e gli accenti della sua dizione rendono ancora più forti e suggestive le tinte dell'episodio raccontato, già trasformato dalla penna dello scrittore ...
Accadde allora che... "raggiungemmo il centro parcheggiando in via
Dogana per recarci all' Arcivescovado; allora Arcivescovo era Montini, poi
divenuto papa. Stavo aspettando il mio amico Walter, da due ore a
ricevimento in una stanza, quando questi se ne uscì portando in mano una lettera di raccomandazione ma non mi rivolse neppure una parola,
trascinando con sé verso l'uscita la moglie imbellettata, con la pelliccia,
tutta stropicciata per il lungo e faticoso incontro. Uscì allora il segretario che mi chiese cosa facessi ancora in attesa: "non doveva andarsene via con quell'amico?" ... "lo sono disoccupato e questi sono i miei due figli", gli dissi ma egli commentò: "non è mica un ufficio di lavoro ... " e allora
implorai "ma è da un anno che vado a timbrare il tesserino" ...
Così disse che sarebbe andato a parlare ma - senza farlo, perché io guardai dal buco della serratura - prese da una cassetta 200 lire che mi porse uscendo. lo glieli gettai e me ne andai con i due bambini che avevano fame perché era orami sera.
Allora, ci spiega poi Hermann, a Milano c'era una fame terrificante; ricordo che un geometra andò a rubare diversi sacchi di carbone perché i figli stavano morendo di freddo ...
Nonostante tutto ciò a Milano ci siamo trovati subito bene: la casa,
nonostante le difficoltà, l'abbiamo sempre avuta e ora siamo soddisfatti.
La zona dove ora abita, in via Giorni, benché a suo parere un po' trascurata, non è violenta, abituato come lo è stato a vivere in città come Parigi o Amburgo caratteristiche anche per i quartieri più disgraziati o insoliti, "dove c'erano i punk" ...
"Non vedo una Babilonia cattiva - dice Hermann - ma una promiscuità di gente che si affanna" e i giovani si sono calmati anche per via del fatto che molti sono forestieri e non osano fare i prepotenti ...
Poi venne anche il lavoro: a scuola. Per trent'anni - dal '66 al '96 - fui
bidello all'Istituto Molinari. E
assistetti a tutta la contestazione. In questi trent'anni io ho vissuto in mezzo ai ragazzi, andavo alla trattoria e mangiavo con loro, ci parlavo; penso però che allora, nel '68, con quell'esplosione che fu anche di violenza, i ragazzi non fossero pronti e i professori avevano paura - a mio parere - appunto perché era una lotta senza riflessione.
I ragazzi allora erano ciechi e un po' ingenui perché non riflettevano sulla
portata di quello che facevano, anche perché il letto da mangiare a loro non mancava, appoggiati ai genitori ... e troppo benessere non fa molto bene. Al tempo stesso però erano molto audaci. .. Poi, negli anni '70 Milano divenne pericolosa per via del terrorismo ...
Lasciando da parte questo periodo storico, sicuramente complesso, Hermann continua a parlarci della sua esperienza a scuola: non solo nel ruolo di bidello ma anche come discente ... E procede raccontandoci della sua passione, durata una vita intera, per la scrittura ...
Talvolta approfittavo per ascoltare delle lezioni d'altronde già quando
facevo il muratore avevo la cazzuola in una mano e il libro in un'altra ...
Anche al Molinari ormai lo sapevano e chiudevano un occhio.
Poi a Milano ho fatto un mucchio di scuole e corsi serali, ho fatto pure tre
anni di liceo classico in piazzale Loreto! Ho preso la terza media per poter
fare il bidello. Sono stato trent'anni al Molinari - dove fanno informatica-
s
enza però imparare ad usare il computer e ho sempre usato la mia macchina da scrivere, la mia Olivetti: con quella soltanto ho dimestichezza ...
D'altronde avevo solo la terza elementare - mi ero fermato per via della
guerra - quando Feltrinelli mi pubblicò questo libro "Tra fascisti e
germanismi", nella collana dei Franchi Tira
tori ... Ricordo che uno della
casa editrice mi disse "se tu hai i soldi ci fai un film, noi ti abbiamo
lanciato ... ".
Per la casa editrice Ghisoni poi ho pubblicato "Scuola serrata", "Frau
Magda" invece a spese mie. Ho trovato parecchi editori ma uno di ques
ti doveva pubblicare le poesie e alla fine le ha trattenute, un altro voleva una mia partecipazione ...
Ci terrei molto a pubblicare "L'ultimo comunista", anche tra vent'anni perché parla, più che altro, dell'uomo che nasce e muore ...
In vent'anni di lavoro ho scritto la guida di Amburgo, dove ho vissuto: da molte esperienze e avventure è uscita "Amburgo a piedi ...
I “Racconti"  sono il lavoro a cui mi sto dedicando ...
Poi Hermann ci legge alcuni componimenti: "La notte di Natale", scritto in un giorno in un bar e poi l'ho lasciato com'era, ci spiega; per i bambini, i giovani "Primavera al parco Lambro", premiata; "La mora": stavo davanti all'ospedale e, anche se non conoscevo quell'infermiera, le facevo le battutine e da quel breve scambio le ho dedicato una poesia..; anche questa è stata premiata; "Ritratto di suora", scritto sul tram 20 quando da Corvetto andavo al Molinari ...
Ed Hermann ci riferisce anche le sue letture preferite: "ho letto anche
quattro anni la Bibbia, poi la Divina Commedia, Leopardi e D'Annunzio, il
Don Chisciotte, "I promessi sposi" ...
Oggi l'uomo non ha tempo di leggere e il libro è diventato solo dono, copertina ...
"Un paesano mio si è ricordato di me fino dall' Australia e mi ha chiesto di spedirgli del materiale da far pubblicare ... Una volta addirittura dovevo  andarci in Australia ma non avevo il congedo; avevo ventun'anni, ero a Genova, al porto e ricordo che c'erano dei ragazzotti giovani: io stavo lì a criticare il loro modo di fare, da cafoni e mi appartai per scrivere e fantasticare, beh tutte le signorine vennero da me perché ero diverso dagli altri ... Scrivere - ci spiega con molta sincerità Hermann - nasconde un po'  anche un desiderio "fanatico" e velleitario di atteggiarsi o di sentirsi ...


4 commenti:

giorgio linguaglossa ha detto...

è una poesia tipica di un letterato autodidatta perché contiene insieme a rime e trovate efficacissime anche un gran numero di ingenuità (in fatto di rime, di ritmica e di struttura del verso). Mi piace quel suo tono di restare attaccato alla "cosa", quel suo aderire alla letteralizzazione del testo, quella scelta per un linguaggio diretto verso le cose, e quella fame per l'essere delle "cose"... si sente che Tagliavento non è un letterato che ci parla delle sue esperienze letterarie ma un poeta che parla delle sue esperienze significative. E non è poco. Andrebbe riletto in volume. E meditato.

Anonimo ha detto...

In questi versi circola probabilmente qualcosa di Carrieri e non poco Sinisgalli , unitamente ad alcune defaillances individuate da Linguaglossa ; non tali però - queste ultime - da pregiudicare la godibilità dei testi e la forte suggestione che ci lasciano .

leopoldo attolico -

Anonimo ha detto...

Il bello di Tagliavento era il suo "essere" così umanamente fragile e sincero. Osservava tutte le cose che lo circondavano, con gli occhi geniali di un bambino...L'ho conosciuto circa venticinque anni fa...(cavoli...ventotto!!!)..Allora non ero interessato alla poesia ma ricordo che la lettura di alcuni suoi scritti mi colpirono.
Una gran bella persona, la sua finestra sul mondo era sempre aperta.

Augusto Villa.

Anonimo ha detto...

Era un grande a lui tutta la mia ammirazione. A chi fortunatamente l'ha conosciuto resta anche il ricordo della sua esistenza. Grazie ad Ennio per averci fatto conoscere Tagliavento,i suoi scritti sinceri, puri ed inconfondibili. Ciao Armando. Emilia