da POESIE SCELTE (1990 – 2007) Besa, Nardò, 2008
*
Quanto
siamo poveri.
Io in
Italia vivo alla giornata,
tu in
patria non riesci a bere un caffé nero
.
La
nostra colpa: amiamo,
la
nostra condanna: vivere soli divisi
dall'acqua
buia.
Ritornerò
in autunno come Costantino1,
tu
nelle colline natali hai già raccolto l'origano
che
porterò con me nella stanza ancora sgombra.
Ora
vivo al posto di me stesso
lontano
da quella terra che impietosamente
divora
i propri figli.
1.
Costantino
oppure il Cavaliere della morte è un
personaggio del più bel canto
degli
albanesi d’Italia (arbëresh) che hanno come motivo principale la besa
*
SPINE
NERE
C’era
una volta un ragazzo magro dall’animo fragile
con
occhi castani e sguardo penetrante come un corvo
nero,
nato
in un inverno magico di lampi e tuoni marini
e
cresciuto sulla collina brulla vicino alle stelle ardenti.
Quando
vide i primi raggi del sole pallido:
“Il
suo nome vivrà in eterno -dissero i laghi e le nebbie
cieche -
di
pietra in pietra verrà scolpito il suo verbo,
nei
secoli la sua storia d’uomo verrà narrata.
O
donne, lo renderemo immortale -
giurarono
i folletti delle valli oscure -
gli
insegneremo la lingua degli uccelli e delle Fate,
e
lo affideremo all’amore”.
Per
sette giorni e sette notti egli dormì nelle ali delle Ore
senza
mangiare, né succhiare al seno di donna.
Fu
un patto stipulato con sua madre,
nel
caso la creatura nascesse maschio.
Con
un bel nome lo battezzarono nel paese natio i saggi
giunti
di notte dalle regioni di mezzaluna.
Con
l’acqua fresca del pozzo lo benedissero una mattina
di febbraio
donne
zingare dai volti scavati e dalle trecce nere.
Lui
veniva dall’Est, paese del sole nascente,
tra
riti e falchi trascorreva la sua infanzia.
Con
fiori di ginestre intrecciava ghirlande
per la sua capra
e
le infilava tra le vecchie corna.
“Lo
chiameremo col titolo nobile di bey
e
aumenteremo i terreni - brindavano spesso i nonni
paterni -
prima
diventerà il principe della sua gente
poi
il Re del paese”.
Passarono
anni ed egli crebbe con il latte di rondine,
mentre
il sole seccava le spine della sua futura corona
e
il bosco allargava il tronco del suo trono bianco come
la
neve,
nei
campi lunari cadevano piogge feconde.
Nel suo paese tirava sempre vento e l’erba
cresceva
incurvata,
mentre
di notte sulla riva del fiume danzavano belle spose.
Dalle
faide sanguinarie sorgeva la sua stirpe antica:
guaritori
di morsi di serpenti, indovini di destini furono
i suoi avi.
Sul
fango e la polvere camminava la sua gente umile
con
la speranza nella terra e nella benedizione del Signore.
Quando
moriva qualcuno veniva seppellito all’ombra
dell’ulivo,
senza
né croce, né mezza luna.
Fu
allora che il ragazzo di notte e di nascosto,
decise
di scendere dalla collina fino al fiume profondo
aspettando
impaurito nel silenzio e nel buio
di
incontrare le belle spose danzatrici.
“O
bel fanciullo - gli dissero appena lo videro -
dicci
quale bontà ti ha portato fin qui? -
mentre
danzavano intorno a lui
legate
con le proprie trecce -
Nessuno
fino ad oggi ha osato
assistere
alla nostra danza notturna,
che
il tuo seme non possa crescere sulla terra,
sarai
maledetto in eterno.
Morirai
in esilio solo e di crepacuore,
lontano
dal paese che amavi.
Divoreranno
impietosamente la tua debole carne
pietre
ed aquile nere a due teste.
Mai
nessuno pronuncerà il tuo nome
nei
richiami quotidiani.
Il
peccato lugubre ti peserà
come
un vecchio chiodo nella fronte.
La
tua anima non sarà mai amata,
nessuna
donna ospiterà il tuo corpo.
Vivrai
dimenticato per il mondo
come
una pietra buttata al margine della strada.”
E
nel fiume oscuro le bianche spose scomparvero
cantando
e danzando nella lingua dei fiumi.
Vortici
di fuoco avvolsero il ragazzo sette volte
senza
lasciare segni di sangue,né ferite.
Da
quella notte fonda
gli
spiriti abbandonarono le valli.
Le
donne misero la sciarpa nera in testa
una
nenia sgomenta si udì nel paese.
Cessarono
i lampi, i tuoni marini,
i
galli del paese cantavano giorno e notte.
Siccità
e spine crescevano nei campi seminati,
ovunque
regnavano le Ombre.
…un
giorno di pioggia egli attraversò il mare
avvolto
da canti marini e nebbie cieche.
Gli
sembrò che qualcuno lo seguisse nell’obliò,
come
se lo volesse accoltellare.
Nulla
si sa della sua vita errante,
nel
profondo racchiude i suoi misteri.
Come
un monaco mesto fugge per il mondo
con
una vecchia sciarpa intorno al collo.
Così
narra la leggenda:
si
dice che egli, di notte, torni
nel
paese dell’Est che tanto amava
su
di un cavallo bianco.
*
Lascio questi versi come un addio
inghiottito dalla nudità della
memoria
sapendo che il mondo non ne ha
bisogno.
Del mio saluto con la mano che
trema,
giù nel fondo stellato,
nessuno si accorge.
Orizzonte precario
mi appoggio alla tua acqua fredda
e scavo la tua fronte di cielo
oscuro.
Abbandonato nella nebbia fitta
non so da dove vengo, né dove vado,
assedio nevi che mi assediano
in balia di neri uccelli.
Voglio sapere chimi separa da una
terra impazzita
e che fine faranno la mia Ombra
oltre l’acqua,
la pioggia che cade nella pioggia
e gli dèi fra gli alberi.
In fila accanto al freddo e al
destino
attendo che mi chiamino all’alba
dalle pietre
volti pallidi di voci arrochite.
Il mio nome linea che divide
la luce dall’oscurità,
il
mio corpo limite tra la sabbia e il cielo.
*
Stasera attendo che mi calmino la
neve al confine,
il mare di sabbia,i volti
nell’acqua.
Non c’è altro cielo dove affondare
il mio delirio
ovunque la notte degli uomini che
muoiono.
Dove fermarmi mio terrore,
i sassi che ho gettato controvento
hanno aperto su di me enormi abissi.
Ora il tempo dimora nel tempo
e io attraverso stanze dopo stanze,
muri su muri.
Sono un esule esiliato nell’esilio
col sangue sparso sugli alberi e la
voce nella pioggia
Conoscete la mia pena? Cammino di
fianco a coloro
che vanno sul filo che prendo fuoco.
Avanzate, avanzate aquile nere a due
teste, divorate da capo
il mio corpo lacerato, impiccate il
mio cuore rosso ai rami,
bevete il mio sangue come belve
affamate,
seppellite i miei canti,
lasciatemi solo il tempo di coprire
quest’infanzia quotidiana.
Ahimé,nei fondali dei fiumi il
futuro,
nel nero mondo il passato.
* Gezim Hajdari
Gezim Hajdari nasce nel 1957 ad
Hajdaraj (Lushnie), Albania, in una famiglia di ex proprietari terrieri i cui
beni vengono confiscati dalla dittatura comunista di Enver Hoxha. Si laurea in
Lettere Albanesi all’Università “A. Xhuvani” di Elbasan e in Lettere Moderne a
“La Sapienza ”
di Roma.
In Albania svolge vari mestieri
lavorando come operaio, guardia di campagna, magazziniere, ragioniere, operaio
di bonifica, due anni di militare con gli ex detenuti, insegnante di
letteratura alle superiori dopo gli anni ’90; mentre in Italia lavora come
pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Attualmente vive di
conferenze e lezioni presso l’università in Italia e all’estero dove si studia
la sua opera.
Dal 1991 Hajdari è tra i fondatori
del Partito Repubblicano e del Partito Democratico della città di Lushnje,
partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale di Lushnie. Nello
stesso anno fonda il settimanale «Ora e Fjales» con la mansione di vice
direttore e scrive sul quotidiano nazionale «Republika». Denuncia pubblicamente
e ripetutamente i crimini, gli abusi e le speculazioni della vecchia
nomenclatura di Hoxha e dei recenti regimi mascherati post-comunisti. Anche per
queste ragioni, a seguito di ripetute minacce subite, è stato costretto,
nell’aprile del 1992, a
fuggire dal proprio paese. Dal 1992 vive come esule in Italia dove svolge una
attività letteraria all’insegna del bilinguismo, in italiano e in albanese. La
sua poesia è stata tradotta in diverse lingua. È cittadino onorario per meriti
letterari della città di Frosinone. La sua opera continua ad essere cinicamente
ignorata in patria pur avendo pubblicato vari libri, tra cui: Antologia e shiut (Antologia della pioggia). In italiano sono usciti molti libri, tra
cui Antologia della pioggia, Ombra di cane, Sassi controvento, Corpo
presente, Stigmate, Spine nere, San pedro Cutud: Viaggio negli inferi del tropico, Maldiluna, Poema dell’esilio, Muzungu: Diario in nero, Peligòrga.
Si attende ancora che i maggiori
editori italiani si accorgano della presenza in Italia del più grande poeta
albanese per una pubblicazione che lo consegni ai lettori italiani e gli
riconosca il ruolo di uno tra i maggiori poeti lirici ancora presenti in
Europa. Quella di Gezim Hajdari è una poesia lirica di grande potenza
espressiva dove una voce forte parla dell’esperienza dell’esule nel contesto
della natura e del paesaggio albanese e italiano. Una voce pura, sporcata
dall’esperienza della Storia e del tradimento del popolo albanese, una voce che
ci parla come da una “cornice”, ad un tempo primordiale e attuale, in una
dimensione quasi sacrale del mondo e della Storia, che eleva l’io della sua
poesia ad un piano di universalità. Un discorso lirico di straordinaria
autenticità e sensibilità di accenti.
Giorgio
Linguaglossa
5 commenti:
Mi piacciono queste poesie di Gezim Hajdari nella selezione qui proposta. E' interessante come un esule mantenga radici tanto forti nel proprio passato e in quello del suo popolo. Non so se sia "il più grande poeta albanese" - ahimè, non conosco altri poeti di quel paese - ma certo una voce forte, davvero interessante.
Grazie
Flavio
Sono davvero belle...Emozionano e non poco.
Intense, scritte in modo semplice e chiaro, rispondono al diritto di poesia e bellezza per tutti. Nella prima ad esempio, un verso che mi ha colpito (e che dice piu' di cio' che dice) è.."Ora vivo al posto di me stesso"...
Praticamente..una poesia.
Piu' che piaciute!!!...e sicuramente andrò a cercare qualcos'altro su questo autore.
Augusto.
Esule...
da un'infanzia felice, magnifico luogo di promesse,
dalla patria e infine da se stesso, quest'ultima la più tragica delle condizioni.
Ha visto ballare le spose di notte sulla riva del fiume, l'apice della bellezza, ha osato infrangere un tabù ancestrale ed ha raccolto una maledizione perenne capace di condurlo alla pazzia...L'esule, lontano dalla sua terra e da ogni calore affettivo, precipitato dall'eden, vaga per il mondo come un cane rognoso e randagio, non spera nella redenzione anzi desidera solo soffrire...Una poesia molto potente e carica di passione
Annamaria
... grazie a Giorgio Linguaglossa per questa segnalazione.
Marcella
ps: c'è forse qualche refuso che piacerebbe vedere corretto
belle molto belle sei grande gezim hajdari urime sono fiero di essere tuo paesano ........
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