mercoledì 4 aprile 2012

Laboratorio Moltinpoesia
alla Libreria Linea d’ombra di Milano
del 2 aprile 2012
su "La morte e la fanciulla".
Resoconto di Giorgio Mannacio.


L'incontro si è aperto con una riflessione un po' estemporanea sul sostantivo Morte che in tedesco è di genere maschile e in italiano femminile. Il tedesco consente un senso quasi romantico  al titolo del lied La morte e la fanciulla, più impervio in italiano. Di seguito si è parlato, in termini generali, del rapporto morte/tempo e dell'atteggiamento dell'uomo rispetto all'evento morte. Giovanna ha dato alla propria riflessione un taglio " filosofico" con echi heideggheriani ( l'uomo che vive nel tempo ed è egli stesso tempo), direzione che comporta connessioni importanti con la memoria e, quindi, la letteratura. A questo punto ho suggerito agli amici il libro di Giorgio Agamben Il linguaggio e la morte ( Einaudi 1982 ), saggio molto suggestivo anche se - forse - un tantino " cerebrale ". Evelina ha insistito "stoicamente" - nell'affermata assenza di paura per la morte - sulla dignità della vita attiva e responsabile, (unico ) aspetto veramente da considerare. Sono seguite letture di poesie (dei presenti e di altri poeti ) rispetto alle quali vorrei rilevare - uscendo da una elencazione puramente notarile - la  presenza di una impostazione religiosa in una poesia di Maria Maddalena  ribadita anche dalla sua riproposizione di un testo di padre Davide Maria Turoldo. Le altre - e ciò mi sembra coerente con il riaffermato rilievo che noi sperimentiamo solo la morte degli altri e come effetto sulla nostra sensibilità - hanno, con accenti diversi " descritto" situazioni di perdita, abbandono, lontananza. Non è mancata una esorcizzazione in chiave satirico-grottesca (Braccini).  Grazia mi è parsa singolarmente drammatica (con tratti " ungarettiani " ); Luisa sempre coerente (l'immagine dei morti/farfalle è inusitata, ma non peregrina ) al suo accostarsi gentilmente alle cose; il recupero del dialetto in Ennio una riaffermazione di un radicamento "storico" difficilmente estirpabile. Ho confessato la mia impotenza - che mi ha portato a non leggere testi miei - nel trovare una soluzione esteticamente valida al tentativo di definire la morte nella sua struttura , indipendentemente da ciò che essa provoca in noi in termini di dolore. Un grazie di cuore per la partecipazione.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

E' bellissimo sapere che ci rincontreremo e spero con lo stesso entusiasmo. Grazie a Giorgio e a tutti. Emilia

Anonimo ha detto...

Non c'ero a quest'ultimo incontro, non potevo esserci e sinceramente il tema della morte non mi attraeva. Ma se ci fossi stato avrei chiesto come mai un tema simile attrae fatalmente i poeti... non che in se' la cosa mi sorprenda, se n'è sempre parlato anche in poesia, forse perché la morte è al tempo stesso una realtà e un mistero. Mi incuriosisce l'aspetto sintomatico per il quale i poeti "sentono" l'infelicità prima ancora di sapersela spiegare. Da un lato questo particolare interesse mi fa pensare alla carenza di temi altrettanto avvincenti ed emozionalmente coinvolgenti... la morte porta con se' ricordi, riflessioni sull'esistenza, sulla vacuità ecc. che altrimenti non verrebbero trattati con altrettanta ampiezza, quasi che la presenza di questo evento possa, paradossalmente, ravvivare l'interesse intellettuale. A parer mio, per quanto profonda, l'azione estetica/intellettuale resta pur sempre sterile sul piano dell'esperienza. Sterile perché non tocca tutti i centri sensibili dell'individuo, come ad esempio possono fare i pochi attimi che precedono un incidente automobilistico.
Quindi, questo interesse per la morte, a me sembra interessi perché abbastanza altisonante da scuotere facilmente le belle menti assonnate.
E' dall'inizio di questa crisi economica che penso al fatto che aumenterà il numero dei suicidi. I suicidi non fanno notizia, son considerati fatti privati, ma fa notizia il fatto che a farla finita siano degli imprenditori, delle persone che nessuno penserebbe tanto disperate da… ed ecco che la morte fa notizia. Che si muoia in zone di guerra è atroce, ma in qualche modo è prevedibile, è un'eventualità da considerare, ed è tutto ciò che resta della morte, diciamo, importante. Altrimenti si muore nell'anonimato, per malattia o per un incidente stradale, che è la morte di cui si occupò Andy Warhol. Una morte così, senza gloria alcuna. Nessuno che ne tragga un'ode, al più qualche intimo e commuovente pensiero.
Le cose stanno cambiando. Magari i Molti se ne saranno accorti, mi son detto.
mayoor

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

È vero amore e morte sono i due muri sui quali i poeti, dal romanticismo in poi, finiscono per picchiare la testa, spesso fino a spaccarsela davvero, uscendo così dalla *finzione* che sempre accompagna la poesia, se è poesia e non vita poeticamente vissuta. Eppure milioni di uomini e donne vivono ondeggiando tra i due muri in vari modi (leggeri, ironici, seri, equilibrati, drammatici), non arrivando sempre alla tragedia. Non fatalmente, dunque.
Il particolare interesse dei poeti verso la morte forse si potrebbe spiegare con una somiglianza “quasi strutturale” tra pratiche simboliche in generale (poesia, letteratura, etc.) e morte. Mannacio nell’incontro alla Libreria Linea d’ombra ha rimandato opportunamente per un approfondimento all’Agamben de «Il linguaggio e la morte». Più sinteticamente, velocemente e senza appoggiarmi su quella sua riflessione, intendo dire che l’arte, la poesia, il pensiero in generale comportano un distanziamento, una cesura, dalla vita che scorre. Comportano che ci si tiri fuori dalla vita e la si guardi dall’esterno. E quale sguardo, oltre a quello del malato o del morente (vi ricordate «La montagna incanta» di T. Mann o «La morte di Ivan Ilic» di Tolstoj?), è più esterno, definitivo di quello di un morto? Basti pensare a come sono ultimative le parole dei morti. E non a caso Dante fa dei morti i protagonisti della sua Commedia, dando alle parole che essi pronunciano un vigore che quelle dei vivi non hanno. Leopardi fa parlare le mummie. Pasolini ritorna da morto a visitare i posti della sua infanzia nelle poesie friulane, etc.
Parlare da morto o far parlare i morti è una *finzione* esteticamente formidabile. Quindi non è che non ci siano «temi altrettanto avvincenti ed emozionalmente convincenti». Basti guardare a dove attingono i mass media: sesso, sport, violenza, ecc. Ma quello della morte ha questo “privilegio” in più, consolidato da una lunga tradizione. Semmai oggi la morte, come mostrano o lamentano gli studi antropologici più seri, ha finito per essere rimossa dal “discorso pubblico” moderno e postmoderno. È la “disattenzione organizzata” verso le morti che quotidianamente, minuto per minuto, si susseguono a funzionare da droga soporifera. Esse restano in maggioranza tutte anonime e trascurate, ad eccezione di quella di qualche Personaggio del momento che fa comodo ad alcuni gruppi di potere esaltare per convogliare a loro vantaggio l’ondata emozionale di massa opportunamente enfatizzandola. Viene così impedita una qualche modesta meditazione su quel «per chi suona la campana», che pareva ancora possibile in una vita comunitaria più raccolta e statica. E la disattenzione verso i suicidi (per stress sul lavoro come quelli avvenuti in Francia o in Cina di cui si ebbe notizia tempo fa; per perdita del lavoro o fallimento della propria impresa, come si ha notizia in questi giorni) rientra in questa “disattenzione organizzata”. Che però non basta deprecare come semplice rimozione della morte, degli incidenti stradali, ecc. Questa mi pare un effetto di qualcosa su cui si dovrebbe/potrebbe intervenire, ma su cui pare non si abbia più la forza di intervenire: e cioè sulla cancellazione POLITICA della possibilità di una vita appena più decente per milioni di persone che si è andata affermando e non trova più opposizione. Pur di difendere il vantaggio di minoranze che non solo s’illudono di essere eterne ma hanno deciso per noi pure il MORS TUA VITA MEA senza esitazioni e pentimenti (basti vedere le scelte del governo Monti), i poeti scrivano pure “un’ode per i vinti”, ma sarebbe meglio pensare a delle invettive contro i vincitori (possibilmente anche praticabili politicamente e non solo poeticamente).

Anonimo ha detto...

... sì, bisognerebbe dire in poesia anche questa morte in vita cui moltissimi sono in modi diversi costretti.
Tuttavia io che non ho partecipato all'incontro tenutosi alla libreria "Linea d'ombra" avrei desiderio anche di leggere le poesie che vi sono state dette. Qualcuno ha voglia di riproporle sul blog per chi non era presente?
un caro saluto
Marcella