Tabea Nineo, Spleen
Questo è un appello a studiosi, critici e editori affinché diano la giusta importanza a uno dei "moltinpoesia" che ha concluso il suo lavoro di scrittore clandestino. Chiedo a chi può di darmi una mano a tirar fuori il suo lascito e di sottrarlo al silenzio del mondo cosiddetto culturale. [E.A.]
Di
Armando Tagliavento su questo blog ho
pubblicato varie poesie e riferito sulla sua vita inquieta e sulle sue interessanti scritture
inedite qui, qui, e qui.
Dopo
la sua morte sto lavorando a una scelta delle sue poesie (in "APPENDICE" ne propongo altre), che Tagliavento, non
trovando editori disponibili, aveva raccolto per suo conto in due volumi rilegati. Li ha intitolati
Una vita a pezzi e firmati, in
omaggio alla sua passione per la Germania, dove era stato, con lo pseudonimo
scelto da tempo, Hermann.
Sono complessivamente 526 pagine. Tutte
le poesie portano un titolo e, tra parentesi, il nome della città o paese, dove
probabilmente furono composte; e dove Tagliavento ha vissuto o è stato per qualche tempo: Milano, Fondi
(Latina) e Lanciano (Chieti) soprattutto; e poi
Ortona, Fossacesia, Amburgo, Parigi, ecc. Solo
in tre casi è stata indicata una data
che permette di collocare il testo in un tempo preciso.
Alla
prima lettura e per quel tanto che so della sua vita, mi pare improbabile che i
componimenti siano in ordine cronologico. Si susseguono, credo, alla
rinfusa. E perciò poesie giovanili s’intrecciano con poesie adulte o senili. Né
Tagliavento ha operato qualche suddivisione in sezioni tematiche, che potrebbero
essere definite con una certa facilità. Perché i temi, che egli ha desunto dalla
sua esperienza di vita, sono collocabili, ad esempio, in due categorie storico-geografiche
fondamentali: campagne, paesi o cittadine di provincia da una parte; metropoli
(Milano innanzitutto) dall’altra. La “vita a pezzi” del titolo richiama,
dunque, tra l’altro, una oggettiva e storica differenza della storia italiana, che negli ultimi
decenni è andata complicandosi senza però scomparire: quella tra Sud d’Italia agricolo e
povero e Nord industrializzato e ricco. Ma in questi due volumi i temi ricorrenti (e a volte
ossessivi) potrebbero essere individuati anche secondo altre categorie. Essi sono,
infatti, quelli tipici del distacco e del ritorno del migrante ai luoghi della sua infanzia; della passione
per la fisicità, dei corpi femminili soprattutto (spesso d’altri o vagheggiati o sfiorati con lo sguardo rapace dell’affamato
d’amore o dell’escluso); dello spleen dell’individuo isolato e naif alle prese con l’ostilità e l’indifferenza di una realtà metropolitana ignota e vissuta sensitivamente e miticamente.
Di sicuro il tema del vagheggiamento contraddittorio
delle figure femminili è quello prevalente. (Lo è del resto anche nelle prove
narrative di Tagliavento, sia quelle fortunosamente edite e circolate tra amici
e conoscenti, sia in quelle inedite). Quasi frutti saporiti e proibiti, le
donne, subito bramate nella loro fisicità sensuale con una golosità
erotica ingenua e fanciullesca, sono poi vissute come insidiose e ingannatrici. Con
toni da misoginia di marca contadina (alla Pavese), Tagliavento le animalizza, le tramuta presto in
traditrici o in figure da fiaba cupa; o, in qualche caso, in matrigne
stregonesche, da cui è possibile liberarsi soltanto attraverso esplosioni omicide o con una morte sacrificale e riparatrice dell'affanno esistenziale. (L’archetipo della
Grande Madre divoratrice ha radici biografiche e immaginarie nella sua infanzia
sconvolta dalla guerra [1]
ed è stato scavato nel romanzo “familiare” inedito, Gente
senza faccia. Saga tagliaventana).
Ci sono poi vari componimenti che ruotano attorno a paesaggi, animali e umani. Nascono quasi
sempre da forti proiezioni sull’esterno di sentimenti e desideri latenti nell’io
poetico. I paesaggi campestri e le persone e gli animali in essi collocati appaiono trattati in modi più pacati,
descrittivi e delicatamente nostalgici o con un piglio voglioso e giovanile. Sono meno
espressionistici. Mentre l’impatto sulla
maschera poetica primitiva o naif, che
Tagliavento si è scelto (o si è ritrovata al momento di scrivere) dello scenario artificiale della
metropoli, con le sue figure "basse" - proletari e sottoproletari o al massimo piccolo
borghesi che si agitano tra strade di periferia e ospedali - è di estrema violenza. In queste poesie si scatena spesso una rabbiosa, recitata, disperazione.
Tagliavento teatralizza una disperazione delirata:
quella del solitario, della sua fame
d’amore, della sua invidia sociale repressa, della sua lagnosa melanconia da Pierrot. E tocca toni populistici e melodrammatici quasi ottocenteschi, da mondo dei miserabili.
In quasi tutti questi testi c’è spossatezza
e abbandono nichilista. Oppure l’io poetico si sublima in una
sorta di religiosità rozza, masochista, mescolando irriverentemente e surrealisticamente
figure sacre e profane (e in qualche caso, riguardante gli anni della contestazione del ’68-’69, politiche).
Le passioni umane che agitano il tessuto linguistico delle poesie di Tagliavento sono quelle
maschili, da emarginato; quelle vissute da molti nella
storia che va dalla guerra fascista al «boom economico» al degrado generale dell’oggi. Tagliavento è stato nelle viscere di quello che io chiamo “immigratorio italiano”. Più "in basso" rispetto ad uno scrittore più coltivato come fu Luciano Bianciardi. Ed il suo sguardo "dall'interno" andrebbe confrontato con quelli "dall'esterno" di autori che si sono occupati dell'immigrazione anni '50-'60, come il Fofi de L'immigrazione meridionale a Torino o i Montaldi e gli Alasia di Milano, Corea.
Quelle passioni "elementari" Tagliavento le ha trascritte sia in poesia che in prosa (i vari
romanzi, tutti inediti, tranne, come ho scritto altrove, la fugace cometa
rappresentata da «Tra fascisti e germanesi», libro pubblicato da Feltrinelli
negli anni Settanta). E sottoponendo la lingua italiana a un medesimo trattamento
basso-espressionistico.
Al di là degli errori di battitura (Tagliavento non è
mai passato alla scrittura digitale del PC, ma ha sempre usato una vecchia
Olivetti), nella sua lingua troviamo sgrammaticature, assonanze, aggettivazioni,
neologismi, sinestesie, immagini surrealistiche aggrovigliate, termini
ricercati e aulici, lessemi a base regionalistica (di Lazio e Abruzzi
soprattutto). Il tutto da considerare, a mio avviso,
con grande attenzione critica.
Del resto la passione linguistica di Tagliavento
è stata, sì, selvaticamente autodidatta, ma profonda e a suo modo rigorosissima e
coerente. (Tra i libri non pubblicato c’è un Vocadizionario di termini dialettali, dove egli ha dato sfogo alla sua erudizione linguistica
acquisita sul campo e a esemplificazioni fortemente soggettivistiche dei
termini esaminati).
Si tratterebbe, oggi, di riesaminare questo lascito letterario-linguistico-poetico con strumenti più elaborati, letterari e scientifici. E ci
vorrebbero alcuni lettori-critici capaci di riconoscere la parte storica e
immaginaria di sé come singoli (e di “noi” come insieme sociale) contenuta in queste scritture; e di addossarsi la
fatica di studiarle e riproporle in forme critiche e attualizzate. I tempi non sembrano
favorevoli per ipotesi culturali così generose. Per ora, però, chi è in grado di capirne l’importanza faccia
quel che è possibile per non cancellare le scritture di Armando Tagliavento.
[1] « Poi è venuta la guerra. E quand’è finita il paese è
tutto un mucchio di polvere. Tutto bruciato, polverizzato. Non s’è trovato più
un documento. Niente. Fondi è stata incenerita proprio. Ci rifugiammo nella
chiesa di S. Francesco vicina al monastero. Ciascuno si arrangiava alla meglio.
Poi è morta mamma. Mio padre è un essere umano che meriterebbe di essere ucciso
mille volte. Prima di tutto ha caricato mamma di figli: mia madre a 33 anni ha
fatto 12-13 figli. Ne sono sopravvissuti 8. Appena arrivati gli americani, noi
per due o tre giorni andavamo per il paese rovistando per trovare qualcosa da
mangiare. Un giorno zia Santina, la moglie di un fratello di mamma buon’anima,
ci ha detto: Guarda Armà, noi usciamo. Mi raccomando Antoniuccio. Qui c’è
una bottiglietta col biberon. Ogni tanto ci date da bere. Il fratellino, di cui
non abbiamo neppure una foto, dormiva dentro un tiretto del comò. Quello era il
lettino suo. Noi ragazzi per andare in giro - mangiucchia di qua, rubacchia di
là - l’abbiamo dimenticato. Quando siamo tornati, stava morendo.» ( E.A.,
Intervista ad Armando Tagliavento, http://moltinpoesia.blogspot.it/2011/04/dizionarietto-moltinpoesia-armando.html)
APPENDICE: Alcune poesie scelte da Una vita a pezzi
Occhi
celesti (Lanciano, CH)
Lasciami
viaggiare solo
nel deserto in fiore;
getta se puoi la rena
sull'oca bianca.
nel deserto in fiore;
getta se puoi la rena
sull'oca bianca.
Nella
piscina stanca
coglimi il cielo verde.
Si perde la voce sua,
coglimi il cielo verde.
Si perde la voce sua,
la croce del
cigno in amore;
comprami un nido, cuore!
comprami un nido, cuore!
Un’ape sugge
uno zampillo
di miele coatto.
di miele coatto.
A contatto
col sole olezza
il bromuro dei baci tuoi.
il bromuro dei baci tuoi.
Occhi
celesti, vedo la tua veste
tra la mortella, a pezzi.
tra la mortella, a pezzi.
Lanciano
alle spalle Villa delle rose (Lanciano, CH)
I fiori e le
foglie
affogati nel sole;
affogati nel sole;
un pallone
giocato
in un campo vuoto.
Una rete senza porta,
in un campo vuoto.
Una rete senza porta,
la Villa delle
Rose ricorda
la sera fredda morta;
crudele si gira la vita;
la sera fredda morta;
crudele si gira la vita;
la giornata è
finita,
ha chiuso la
porta.
Passaggio
agreste (Lanciano,CH)
Un cammino
lungo finisce
sullo stretto viale frondoso,
dove scoiattoli blu
sullo stretto viale frondoso,
dove scoiattoli blu
tra i rami
degli alberi verdi
fanno su e giù.
fanno su e giù.
Qualche
cicala frinisce
un ritornello festoso
un ritornello festoso
e nella cascina
di fianco
fa un lungo gluglu
fa un lungo gluglu
un tacchino
biancaccio.
Una pecora allatta un bebé[1]
tutta tronfia di sé.
Una pecora allatta un bebé[1]
tutta tronfia di sé.
Un grillo
col dolce cri cri
dice a tutti di sì.
dice a tutti di sì.
Gracida
vicino la rana
col fresco
di tramontana;
tinnisce una lucertola verde,
lontano una biscia si perde.
tinnisce una lucertola verde,
lontano una biscia si perde.
Sfascio al
lido (Fondi, LT)
La bionda va
sola,
non dice parola,
non dice parola,
non vola il
pensiero;
un maniero tra i pini;
un maniero tra i pini;
la tua
dimora, quanti sospiri.
Insisti ancora coi tuoi sguardi
marini.
Insisti ancora coi tuoi sguardi
marini.
Esisti
allora e mi spedisci
messaggi contorti,
messaggi contorti,
invece che
dolci missive.
La rena, la pena,
La rena, la pena,
se ti guardo
appena.
L'acqua gitana,
L'acqua gitana,
la tua
sottana di paglia
non carezza
un corpo magnificato.
Ancora il manto azzurro
Ancora il manto azzurro
emana un
sussulto;
il mio cuore
distrutto.
Un juke-box
fa una canzone
lontana,ch e scoppia
lontana,ch e scoppia
sotto la tua
gonna
a campana;
fili lungo
la spiaggia
rovente,
meraviglia di tutta la gente.
meraviglia di tutta la gente.
Quadro rurale (Lanciano, CH)
Cicaleccio di cardellini
e frecce di rondini nere
padroneggiano sui pini.
e frecce di rondini nere
padroneggiano sui pini.
È un piacere godersi
l'ombra
del sicomoro.
del sicomoro.
Mietuto il campo d'avena,
s'incendia, sotto il sole
codardo,
s'incendia, sotto il sole
codardo,
una pezzata di pomodoro.
Un tordo sguercio
Un tordo sguercio
ama l'allodola stanca;
bianca la vispa massaia
appare sull'aia.
Ritarda oggi la pioggia
a venire.
bianca la vispa massaia
appare sull'aia.
Ritarda oggi la pioggia
a venire.
La lumachina iridiscente
giù nel roveto si perde.
giù nel roveto si perde.
La villa lassù (Ortona,
CH)
Ho visto che ti spogliavi
sola,
mentre lui era dentro.
mentre lui era dentro.
Le cicale di sale marino
guardano quello che fai prima.
La villa intorno con l'olezzo
del mare.
guardano quello che fai prima.
La villa intorno con l'olezzo
del mare.
Le barche di plastica
aspettano il sole tardivo;
le nuvole camminatrici
crollano altezzose.
aspettano il sole tardivo;
le nuvole camminatrici
crollano altezzose.
Le paranze gettano il
pesce
alle streghe in amore.
alle streghe in amore.
Il sole non perde com'esce
nel cielo,
nel cielo,
è il mare che cerca il letto
quieto.
quieto.
Sei qua da parecchio
e non mi dici niente.
Per cena ti faccio pena;
per letto
Per cena ti faccio pena;
per letto
i tuoi capelli di alga;
la rena si cela
la rena si cela
nelle tue superbe
lenzuola,
Rosalba!
Rosalba!
La Fiera di Lanciano
(Lanciano, CH)
L'altro lato della fiera
lo stesso.
Di qua e di là cassati i
verdi tratturi.
Prima si vedevano i pecorai
Prima si vedevano i pecorai
approdare nell'erba
turchina.
Coi loro treppiedi di
legno per la ricotta
e i cani biancolanosi arruffati di fresco
guardavano come vigili di grande città
e i cani biancolanosi arruffati di fresco
guardavano come vigili di grande città
le mandrie leggere.
Rimanevano parecchio in
transumanza.
Nella loro usanza
Nella loro usanza
i pecorai arrivano donde
nasce la stella
fuggente.
fuggente.
In questa contrada il
pecoraio si chiama
parente.
parente.
Avevano freddo magari,
ma chi negava loro un
pezzo di pane?
A custodire il gregge ci
stava il cane.
Poi levavano le tende e i lanosi
spostavano i loro musi graziosi
guardando il sole lustro e cocente.
Poi levavano le tende e i lanosi
spostavano i loro musi graziosi
guardando il sole lustro e cocente.
I bambini, detti quatrali,
osservavano
le pecore coi capi
biancacci
e i pastori e i parenti.
Avrebbero voluto ancora
vedere
gli ovini brucare l'erba
guazzata
di caglio.
Al calare del sole albicante[1]
il tratturo appariva una
mensa vacante.
Le pecore andavano brucando
Le pecore andavano brucando
e si voltavano indietro
ogni tanto
pensando coi loro capi pesanti
pensando coi loro capi pesanti
ai bambini lasciati in
quel mare di case
senza finestre sui verdi tratturi.
senza finestre sui verdi tratturi.
Cerco Dio
(Milano)
Ho lavato i
miei panni nel tuo caldo ruscello.
Ho sciupato il tuo viso col mio sguardo cupo.
Ho sciupato il tuo viso col mio sguardo cupo.
Sono caduto
nella tagliola dei tuoi loschi inganni.
Veniva la sera col suono del sole calante.
Veniva la sera col suono del sole calante.
Si leva un
grido di fiori
nel cielo al
verde d'amore.
Ho colto
ogni parola dalle tue labbra d'ambrosia.
Si tolse un berretto di nubi dal capo nudo.
L'uomo che beve non pensa che deve morire;
Si tolse un berretto di nubi dal capo nudo.
L'uomo che beve non pensa che deve morire;
la falce
grondava di succo di fieno di grano.
Sul tetto nerito[1] di sole fallace
Sul tetto nerito[1] di sole fallace
il tuo
altarino è ricco di
foglie aulenti.
Guardo la mia ragazza priva di vento.
Guardo la mia ragazza priva di vento.
Vive sul
tavolino marmoso la rana soligna.
Ho deposto
il mio piano sul lastricato maligno
e una serpe celeste scivola corta.
e una serpe celeste scivola corta.
Non voglio
vivere solo per la via, correndo.
Quell'uomo da vecchio diventa bambino:
rosicchia un bottone d'osso perlino.
Quell'uomo da vecchio diventa bambino:
rosicchia un bottone d'osso perlino.
Una donna
baratta la figlia col mare;
non voglio
arrivare al Dio vivente,
non voglio
arrivare a Dio,
non voglio
arrivare a,
non voglio
arrivare!
Non voglio!
No!
Geometria
(Milano)
La nebbia
chiude un bacio di case fredde.
La gente cammina
La gente cammina
pensando al
sole;
le scuole
aprono
le ante in
fiore;
gli studenti
cenano
sulle
panchine tarlate.
Il poeta
cerca una luna quadrata
sopra un pianeta a losanga;
sopra un pianeta a losanga;
ma le vie
del cielo sornione
muoiono là;
muoiono là;
egli pensa a
cose lasciate
da sempre,
da sempre,
vorrebbe
tutta la gente
sincera,
sincera,
ma la morte
arriva ridendo.
Solo me ne
voglio andare (Milano.)
Me ne voglio
andare solo
colla borsa e col libro.
Solo me ne voglio andare,
solo in capo al mondo,
colla borsa e col libro.
Solo me ne voglio andare,
solo in capo al mondo,
seppure
sottoterra coi vermi blu.
Solo me ne voglio andare.
Solo me ne voglio andare.
Sparire dalla
terra sozza
colle verdi
lucertole
che si
cuociono al sole
falso e
traditore.
Solo me ne
voglio andare,
negli Inferi
o alla corte del Resole[1].
Solo me ne voglio andare!
Solo me ne voglio andare!
Voglio
baciare la faccia
di una
bionda strega,
voglio
morire crepato
dentro una
padella,
voglio
scannare quel Cristo
che mi pose a terra.
che mi pose a terra.
Solo me ne
voglio andare!
Voglio spaccare l'altare
dell'ipocrisia,
Voglio spaccare l'altare
dell'ipocrisia,
voglio
mangiare la panca
dove sedeva lei;
solo
me ne voglio andare
dove sedeva lei;
[1] Re Sole.
Dal
finestrino del tram 1 (Milano)
La mia bici
azzurra, d'acciaio,
allato del paracarro,
allato del paracarro,
legata al
palo, col lucchetto
ammaccato.
ammaccato.
Senza cuore,
spolpi il pollo
malato.
malato.
Armata di
solo telaio,
di nebbia rimani
di nebbia rimani
sotto lo
smog mazzetta.
I baci
sottobanco, di siero,
il mestiere
che fai, sguarnito;
tuo marito non si trova
tuo marito non si trova
per la casa
alberghiera.
Poggi le
tette gonfie di caldo
alla ringhiera
alla ringhiera
della Milano
affumata,
sotto un cielo pirata.
Per denti una grata
di grissini al miele.
sotto un cielo pirata.
Per denti una grata
di grissini al miele.
Se ti bacio
vedo la bici
legata al palo
legata al palo
ancora nuova
di zecca:
le tue gambe
a stecche,
racchia di filodiferrofilato!
racchia di filodiferrofilato!
Quel treno dalla Bovisa a
Magenta (Milano)
Alla Certosa Marisa,
dal finestrino
dal finestrino
la panca non vedo
occupata;
sarà più avanti,
sarà più avanti,
alla seguente fermata.
Un mattino presto
Un mattino presto
a Rho sta di sicuro;
non vedo Marisa però.
non vedo Marisa però.
La nebbia, la pioggia
crudele,
appanna la lastra infedele.
appanna la lastra infedele.
Più avanti la campagna
s'ammazza;
tazza di caffellatte il cielo;
tazza di caffellatte il cielo;
un merlo sbatte le sue ali
moricce
sul ramo di uno scuro traliccio.
Le Prealpi celate
sul ramo di uno scuro traliccio.
Le Prealpi celate
tra le aulenti robinie.
La tua casa dista
La tua casa dista
appena una spanna dal
cuore;
gli albicocchi sguazzano
gli albicocchi sguazzano
tra le roulotte gitane.
Rompe a Vittuone
Rompe a Vittuone
un tuono la pace,
liquida brace
mi esce dagli occhi.
All'arrivo del treno
sulla rotaia superba,
All'arrivo del treno
sulla rotaia superba,
mi perdo piangendo in
mezzo alla nebbia.
Ecco Marisa!
Ecco Marisa!
A Corbetta m'aspetta.
Va via! Il marito
sospetta.
Ancora tradito non resta.
Il mondo foresta di gru.
Neppure a Magenta
Ancora tradito non resta.
Il mondo foresta di gru.
Neppure a Magenta
sei più.
Nel letto solo (Milano)
Nel letto solo e dietro il
muro crudo
una coppia fa un rumore ad
alta pressione.
Un fuso orario rasenta un panino farcito.
Un netturbino disoccupato, mentre cade
Un fuso orario rasenta un panino farcito.
Un netturbino disoccupato, mentre cade
la neve scopa la moglie
sul materasso
retato. È un anno, questo, privo
retato. È un anno, questo, privo
di ogni dimensione; tutti
giocattoli,
violenza, spaventapasseri; nell'orto
botanico solo cannoni.
violenza, spaventapasseri; nell'orto
botanico solo cannoni.
Il robot sotto casa dove
pago l'affitto;
con tutta la plastica che sta per la via;
i canali televisivi cacano euro,
con tutta la plastica che sta per la via;
i canali televisivi cacano euro,
non hanno più spie.
Muri senza rumori.
I brusii che fanno gli
aghi di neve
cadenti dal cielo abbenzato[1]
cadenti dal cielo abbenzato[1]
non calcano nessuna
ribalta.
Il mondo è sciupato,
come la faccia di lei
cogli occhi
colore di macchia.
colore di macchia.
Gli spalatori armati di
spugne
vanno alle ferie.
vanno alle ferie.
Un bambino smammato[2]
varca la soglia
del Vaticano.
del Vaticano.
San Damaso è morto
scannato
assieme col prete sposato.
Un gruppo di ragazzi attorno
a un pilastro pennarellato.
Le voci si perdono a mano
assieme col prete sposato.
Un gruppo di ragazzi attorno
a un pilastro pennarellato.
Le voci si perdono a mano
a mano; i prof non entrano
in classe.
Io non conosco la musica,
Io non conosco la musica,
il pilastro è caduto,
i ragazzi spariti,
io solo sono, sono solo!
[1] ?
[2] Senza mamma? Abbandonato
dalla mamma?
Malandra (Milano)
Stamattina sul metrò
c'è una donna maritata;
c'è una donna maritata;
l'ho notato dalla vera
luccicante
che porta all'anulare.
che porta all'anulare.
Sotto il neon dell'auto
illuminata,
non tanto alta, veste trasandata,
capelli scuri sul capo tondo,
non tanto alta, veste trasandata,
capelli scuri sul capo tondo,
alla nuca chignon
vagabondo.
Viso seminato di
cruschetta,
occhi pinti, ciglia e
pennazzine[1]
colore tè;
colore tè;
rosa la sua boccuccia
di musmè[2].
di musmè[2].
Seno galleggiante sotto il
petto.
Invidio la panchina
Invidio la panchina
su cui posa
simile a una gatta
vaporosa.
A Lambrate scende dalla porta
A Lambrate scende dalla porta
e sotto la caduta della
pioggia
fila dritta d'acqua infracetata[3].
Calo dalla scala acciottolata
fila dritta d'acqua infracetata[3].
Calo dalla scala acciottolata
e la trovo annegata morta.
[1] ?
[2] Da giapponesina?
[3] Infradiciata, inzuppata.
La matrigna Caramante
(Fondi, 1943 Era Fascista)
Malvagia matrigna
intricante,
perfida, diavolessa, ricciuta,
megera, cattiva, cocciuta
perfida, diavolessa, ricciuta,
megera, cattiva, cocciuta
era la perversa Caramante.
Falsa, abbracciò la Croce,
Falsa, abbracciò la Croce,
non per i sette figli
senza madre;
ma per l'amore dell'amante padre,
la bestia immonda e feroce.
ma per l'amore dell'amante padre,
la bestia immonda e feroce.
Chiudeva salsicce e pane
nella madia,
a sera istigava il secondo.
a sera istigava il secondo.
L'ultimo bimbo era
moribondo.
Quanta fame aveva la
sorellina Nadia.
Ridevano peccosi[1] nella stanza
Ridevano peccosi[1] nella stanza
la cattiva collo
spasimante.
Fuori ognuno colla pancina
brontolante,
del cibo avevano perso la speranza.
Essa odiava i sette e tutti,
del cibo avevano perso la speranza.
Essa odiava i sette e tutti,
con tavoli movibili faceva
spiritismi,
fatture praticava ed esorcismi
fatture praticava ed esorcismi
con mediconi, ladri e
farabutti.
Di buio colla scopa colle
streghe
malato soffocava e indifeso putto.
Tutto il paese volse in nero lutto
passando per le fogne e le botteghe.
Una notte il figliastro più piccino
la pedinò per una strada pesta.
malato soffocava e indifeso putto.
Tutto il paese volse in nero lutto
passando per le fogne e le botteghe.
Una notte il figliastro più piccino
la pedinò per una strada pesta.
Essa ringhiava camminando
lesta
fino all'abitato più
vicino.
Entrò nell'interstizio
della porta,
la vedeva il piccolo dalla gattarola[2]
e con nessuno al mondo fe' parola
che la bambina in culla fosse morta.
Solo ai fratellini fece ciò sapere
la vedeva il piccolo dalla gattarola[2]
e con nessuno al mondo fe' parola
che la bambina in culla fosse morta.
Solo ai fratellini fece ciò sapere
e in congiura si misero
d'accordo,
ché delle pene nere
avevano ben ricordo,
della fame, busse e notti nere.
della fame, busse e notti nere.
Quella notte il babbo
stava a letto,
armati i sette s'appostarono dabbasso,
entrò la strega ed ebbe un bel collasso:
il primo l'accoppò collo stiletto,
armati i sette s'appostarono dabbasso,
entrò la strega ed ebbe un bel collasso:
il primo l'accoppò collo stiletto,
il secondo col fascista
manganello,
il terzo la trinciò col
forbicione,
il quarto la infilò collo
schidione,[3]
il quinto la sfregiò collo
scalpello,
il sesto l'ammaccò col
mattarello;
il settimo le mozzava il
capo orripilante.
Questa era la matrigna Caramante
Questa era la matrigna Caramante
di cui si liberava il
paesello.
[1] Peccaminosi.
[2] Gattaiola.
[3] Spiedo.
La zoppa dal viso bello, Cippi.
(Hamburg Grindelallee; agosto 1966)
Sbilenca, sola, muta,
ripudiata dalla vita,
s'aggira per la via, perduta.
ripudiata dalla vita,
s'aggira per la via, perduta.
La guardo,sotto il tram è
caduta.
È zoppa, ha la faccia bella,
nessuno la raccatta per terra,
nessuno la tocca;
È zoppa, ha la faccia bella,
nessuno la raccatta per terra,
nessuno la tocca;
giace, geme, sembra morta.
Mi guarda, la vedo.
L'autista teutone[1]
Mi guarda, la vedo.
L'autista teutone[1]
blocca il passo sfrenato
del solido rosso.
del solido rosso.
La scarta, è tardi;
continua col carico
peccoso[2]
amburghese.
Lei sul porfido fiotta,
Lei sul porfido fiotta,
nessuno l'ascolta, nessuno
la coglie.
In autunno sono gialle
In autunno sono gialle
tutte le foglie.
Io corro, la piango, la
soccorro.
Lei in tedesco dice:
"Volevo parlare con te!
Ora muoio, sono riuscita,
Ora muoio, sono riuscita,
sono brutta, sbilenca,
non ebbi compagno di vita;
t'aspetto lassù.
t'aspetto lassù.
Tu nessuno hai quaggiù”.
Venti metri dal Venti
(Milano, Zona Porta Romana)
Quel cortile è una galera,
la tua galera.
la tua galera.
Quattro muri freddi,
colore aringa affumicata
e il grigiore soffocante
e il grigiore soffocante
dell'aria greve.
Le massaie civilizzate
battono i loro tappeti
sopra le balaustre colle palette da ping-pong.
Odo il gong!
sopra le balaustre colle palette da ping-pong.
Odo il gong!
Ti sparo i dardi e miro
l'ora e te.
È tardi, furtiva mi
guardi, col volto sciupato
e il corpo dai lividori dell'orco.
e il corpo dai lividori dell'orco.
Il boia dorme e tu mi ridi
dalla grata ossidosa[1]. Non
aver paura, sorridimi
ancora! Il peccoso che ti percuote dorme.
ancora! Il peccoso che ti percuote dorme.
Ma ecco, sono morto;
il carnefice lubrifica
l'arnese;
debbo partire, piango e tu
vedimi ancora,
sii cortese!
sii cortese!
Il freddo mi ha
incartocciato le orecchie.
Col naso rosso di gelo,
Col naso rosso di gelo,
il cuore gonfio e gli
occhi stanchi
guardo il finestrino da
dove tu fai capolino.
Il Venti partì da Piazzale Corvetto,
Il Venti partì da Piazzale Corvetto,
viene e m'azzanna il
mastino maledetto!
Ti miro intirizzito ancora
colle labbra patinate,
sapide di morte.
Il tramvai arriva come un
cane da presa.
Cogli occhi imperlati di pianto
Cogli occhi imperlati di pianto
del cielo spietato chiedo
l'obolo
dal tuo oblò. Sporgiti e
guardami, però!
Col cuore malato in gola salgo l'ultimo
gradino del patibolo; il tram si ferma,
adagio il capo sul ceppo e mi sparo
sulla panchetta gelata.
Col cuore malato in gola salgo l'ultimo
gradino del patibolo; il tram si ferma,
adagio il capo sul ceppo e mi sparo
sulla panchetta gelata.
M'afferro convulso alla
sbarra glaciale.
Tutti mi beffano, perché sono solo
Tutti mi beffano, perché sono solo
e tengo freddo nel petto.
Le spalle mi vibrano
gelate.
Scuoto la testa, m'asciugo
gli occhi
e muoio nel mondo
e muoio nel mondo
con te.
[1] ?
Primi freddi (Milano Contestazione)
Il tram ha suonato il
gong. Anche oggi non segue
la stessa linea, la Linea
2; il tram ha suonato il gong
cozzando al muro di gesso freddo. La linea 2
cozzando al muro di gesso freddo. La linea 2
è coperta di poliziotti in sciopero.
Gli operai dell'Alfa non
fumano e fanno la stessa
linea. Gli operai passano da un sindacato all'altro
con le carriole piene di tessere apolitiche.
linea. Gli operai passano da un sindacato all'altro
con le carriole piene di tessere apolitiche.
I bambini ridono senza
denti per mangiare; i bambini
adesso hanno i denti
teneri, non possono mangiare che pallottole
calibro 12.
calibro 12.
I padre dei bambini non
ridono mai, ma tremano sotto la neve.
Gli operai della Beta comprano le automobili che fanno.
Scioperano e il padrone dona la moglie al sindacalista
Gli operai della Beta comprano le automobili che fanno.
Scioperano e il padrone dona la moglie al sindacalista
che si confessa ogni
domenica al prete che lo manda in galera
con tutte le scarpe.
con tutte le scarpe.
Il tram della linea 2
suona il gong uccidendo la bionda
che tossisce e si pulisce la bocca piena di sangue
che tossisce e si pulisce la bocca piena di sangue
col fazzoletto rosso senza
Falce e martello.
È bella la bionda.
Il tram sfascia la linea 2
ed entra in Gamma.
Il bambino ha venduto il
cappotto allo zingaro; lo zingaro
in quel di Arese chiede l'elemosina e mangia.
in quel di Arese chiede l'elemosina e mangia.
Il bambino nero si lava la
faccia che mai diventa chiara.
Il tram ha suonato il gong
Il tram ha suonato il gong
e i soldati di Mao sono
scesi in Piazza del Duomo
colle mani infilate nei baveri cachi dei loro grigi
cappotti.
colle mani infilate nei baveri cachi dei loro grigi
cappotti.
I bambini hanno i denti
rari.
I soldati di Mao fanno la
ferma e vanno.
Il tram è muto sulla
linea 2 Non ha suonato il gong.
La bionda bella è morta, il tram è stato fatto da me,
all'Alfa, in quel di Milano, Piazzale Accursio, per essere
più coerenti.
La bionda bella è morta, il tram è stato fatto da me,
all'Alfa, in quel di Milano, Piazzale Accursio, per essere
più coerenti.
Il bambino mutilato sul
tram ha suonato il gong
sulla linea 2 senza binari.
sulla linea 2 senza binari.
Il nero tram ha perduto il
gong, la bionda è morta
e il bambino
e il bambino
ha i denti
forti!
Treno cupo (Milano)
Aspetto il treno cupo.
Quando muori al sole chiaro,
un silenzio nero cade
Quando muori al sole chiaro,
un silenzio nero cade
sulla nebbia rada.
La stazione affumata di
botte secche,
le vie sazie di carta ustionata;
le vie sazie di carta ustionata;
i somari verdi hanno perso
la via;
il silenzio apre un cielo azzurro.
Una lucertola impolverata
respira silenzio tombale.
il silenzio apre un cielo azzurro.
Una lucertola impolverata
respira silenzio tombale.
Una pace ultrasiderale
spacca un grido lontano.
Oggi non canta la capra, nevvero?
Conta un cane sbruffone la lira:
è tutta moneta bucata.
Conta un cane sbruffone la lira:
è tutta moneta bucata.
Nell'aria di festa
gambe di cane violetti.
Una panchina rimane
scoperta
dall'abito freddo
dall'abito freddo
che porta la notte
privata di stelle.
Gli alberi della Bovisa
ridono senza cappotto:
freddi, cupi i loro tronconi
di ferro celeste.
ridono senza cappotto:
freddi, cupi i loro tronconi
di ferro celeste.
Ecco il convoglio vitale:
i finestrini sono gli
occhi
cruenti del freddo
cruenti del freddo
del guscio vitale. guasto il mondo
computerizzato.
Ho veduto il treno fuggire
sull'acqua inquinata.
sull'acqua inquinata.
Appena fa giorno
un'altra stangata
colpisce il pensiero
degli avi.
[1]
Pinza? Stringe come in una pinza?
Farmacologia (Milano)
È già freddo a novembre.
I malati assaliti
dall'ansia nefasta
sotto i viali già nudi.
sotto i viali già nudi.
Paiono ombre di pezza a testa calata;
la camerata sonnecchia senza paura.
Malattia megera!
la camerata sonnecchia senza paura.
Malattia megera!
Ogni sera è uguale al
mattino
in questo torpore silente.
Non vola rondine in cielo
macchiato di niente.
in questo torpore silente.
Non vola rondine in cielo
macchiato di niente.
Adocchio un gufo
grigiastro
sul ceppo del gelso seccato.
Un uomo contava gettoni
sul ceppo del gelso seccato.
Un uomo contava gettoni
nello sportello caffè.
È ora di cena;
verso i tavoli i malati
avanzano simili a granchi
bianchi
a brucare il loro pasto serale.
Il mattino che viene di poi
malanno lo accoppa lungo la vita.
Vorrei tacere appena mi vedo
nella foglia d'ontano.
a brucare il loro pasto serale.
Il mattino che viene di poi
malanno lo accoppa lungo la vita.
Vorrei tacere appena mi vedo
nella foglia d'ontano.
Da molto distante siede la
donna spogliata.
Ride di beffa.
Ride di beffa.
La walkiria che ieri
dormiva con me
non dice niente come fiottava[3],
solamente cantava un inno ad Odino.
Doffi si chiama la giga[4]
non dice niente come fiottava[3],
solamente cantava un inno ad Odino.
Doffi si chiama la giga[4]
e mi ficca una spada nel
cuore.
Non mi fa male; il mio petto
Non mi fa male; il mio petto
Venni al mondo privo di
occhiali
e colla mitra impolverata.
e colla mitra impolverata.
Sono morto sulla via di
fango.
La Madonna dorme con me.
La Madonna dorme con me.
Le bramo il seno opulento.
Tutto l'altro che mostra
la bella
lo copro con baci di fuoco
lo copro con baci di fuoco
e di vento.
[1]
Da ‘sarchio’? Zappetta?
[2]
Ammucchio.
[3]
Rumoreggiava?Borbottava? Piagnucolava?
[4]
? Gigantessa?
[5]
In senso metaforico e dispregiativo?
13 commenti:
Superbo da superbia Favoloso da favola Drammatico da dramma
"Scuoto la testa,m'asciugo gli occhi
e muoio nel mondo
con te"
grande Tagliavento, il POETA
Emilia
..Ecco la grandezza, il nuovo, il libero scrivere parliamone...Ai critici rivolgo il mio invito, gentilmente. Emy
Poeta sentimentale e ingenuo questo Tagliavento... poematicamente parlando è un dilettante della poesia (cosa certo rispettabilissima) che finisce, come tutti i dilettanti, sull'altare della Madonna e di Dio (con la maiuscola)
E' bello sapere che i grandi prima di essere tali erano dilettanti...Emy
Ennio Abate:
Troppo sbrigativo, Giorgio.
Per me un dilettante che scrive per tutta la vita non è più tale. Diventa, a suo modo, uno "specialista".
Importante è vedere cosa c'è di buono, nel suo uso della lingua, tra l'inizio da dilettante e l'eventuale conclusione sull'altare della Madonna.
Una Madonna "dal seno opulento" poi!
Oh, mio Dio ! oh, Madonna mia!
per alcuni ancor siete importanti
con la maiuscola in segno di rispetto
al povero grande Tagliavento così
gli avevano insegnato
e lui così ha fatto e non certo per diletto
Ma che dire allora della maiuscola
per i due grandi imbroglioni
commedianti e sporcaccioni
Minetti e Berlusconi??!!
Emy
Un poeta senza università, un naif si potrebbe dire, perché risolve a modo suo le difficoltà formali un po' inventando e un po' orecchiando, ma riuscendovi, e spesso con soluzioni insolite ma efficaci. Ma soprattutto quanta vita, quante storie e immagini!
A volte leggendo poeti bravissimi penso: ma come fanno se non gli accade mai nulla?
a Ennio, a Giorgio:
Proporre degli inediti è quasi sempre un azzardo, specie quando l’autore di cui si parla è ormai scomparso, come in questo caso - o come per gli altri poeti che troviamo altrove nel blog. È un azzardo perché gli inediti hanno una loro aura di verginità, una specificità che invece difficilmente rimane nel momento in cui l’autore decide per la pubblicazione.
Probabilmente lo stesso Tagliavento avrebbe rivisto le sue poesie, spostato e cancellato vocaboli o interi versi, forse ne avrebbe aggiunti di nuovi, se solo avesse trovato un editore disponibile.Invece così non è stato.
E il bello delle poesie di Armando Tagliavento risiede, a mio avviso, nella veste a tratti dimessa con la quale esse si presentano. Forse siamo di fronte al messaggio creaturale, un messaggio genuino rilevabile dall’eccesso di ingenuità che troviamo in alcune immagini e dallo strabordare degli aggettivi: una poesia vera al punto da sembrarci ingenua.
Non tutte le poesie sono ‘riuscite’, anzi, trovo alcuni versi spocchiosi (“La walkiria che ieri dormiva con me / non dice niente come fiottava”), altri banali (“Un grillo col dolce cri cri”), ma vi sono versi che meritano di essere letti, e sono più di uno.
Un grazie va dunque ad Ennio.
Giuseppina Di Leo
Ennio Abate a Giuseppina Di Leo:
Preciso che Tagliavento era uno scrittore davvero "selvatico" e poco si curava di limare e di correggere.
Persino "Tra fascisti e germanesi", l'unico suo libro pubblicato con un editore importante come Feltrinelli e in un periodo di attenzione verso i cosiddetti "franchi narratori", ebbe ,credo, un editing accurato grazie a Goffredo Fofi.
Toccherà ad alcuni di noi fare un lavoro di editing rispettoso.
Secondo me, poi, l'"eccesso di ingenuità" di Tagliavento è una questione che andrebbe indagato più a fondo. Non per mitizzare il naif, ma per la possibilità di riflessione su alcune strutture elementari presenti nude e crude nel poetare di Tagliavento.
E' interessante - come notava Mayoor - il modo come si posiziona rispetto alla vita, alle donne, a quello che vede e sente.
Poi ci sono cento scivolate su varie bucce di banane, ma
quel rapporto tra esperienza e ricerca linguistica schietta
a me pare che in generale tiene.
Ennio Abate a Giuseppina Di Leo:
Preciso che Tagliavento era uno scrittore davvero "selvatico" e poco si curava di limare e di correggere.
Persino "Tra fascisti e germanesi", l'unico suo libro pubblicato con un editore importante come Feltrinelli e in un periodo di attenzione verso i cosiddetti "franchi narratori", ebbe ,credo, un editing accurato grazie a Goffredo Fofi.
Toccherà ad alcuni di noi fare un lavoro di editing rispettoso.
Secondo me, poi, l'"eccesso di ingenuità" di Tagliavento è una questione che andrebbe indagato più a fondo. Non per mitizzare il naif, ma per la possibilità di riflessione su alcune strutture elementari presenti nude e crude nel poetare di Tagliavento.
E' interessante - come notava Mayoor - il modo come si posiziona rispetto alla vita, alle donne, a quello che vede e sente.
Poi ci sono cento scivolate su varie bucce di banane, ma
quel rapporto tra esperienza e ricerca linguistica schietta
a me pare che in generale tiene.
La presenza di rime, messe qui e là, sembrano avere lo scopo di far capire al lettore inesperto che si tratta di poesia. Forse è per questo che Linguaglossa ha parlato di dilettantismo. Credo che Tagliavento abbia scritto rivolgendosi ai suoi compagni di strada, forse è principalmente da questi che voleva farsi capire. Con gli universitari è sempre una scommessa.
Questi i versi che ho preferito:
"...
Poggi le tette gonfie di caldo
alla ringhiera
della Milano affumata,
sotto un cielo pirata.
Per denti una grata
di grissini al miele.
Se ti bacio vedo la bici
legata al palo
ancora nuova di zecca"
"Venni al mondo privo di occhiali
e colla mitra impolverata.
Sono morto sulla via di fango.
La Madonna dorme con me.
Le bramo il seno opulento.
Tutto l'altro che mostra la bella
lo copro con baci di fuoco
e di vento."
A me sembrano schiarite che portano la soggettività verso altri luoghi.
E' vero Mayor , sono schiarite, qui la verità è nuda. Nel suo scrivere c'è tutto il suo spirito e la sua fisicità. Uno scherno alla vita,all'ingiustizia, all'amore...un esorcismo per non morire dentro. Un naif che sembra indispensabile per esaltare il suo complicato animo. Lo stile forse trascurato ma talmente adeguato alla sua personalità che esalta ancor più la poesia facendola diventare quasi un dono ad un noi che forse non crede che si possa vivere anche così. Emy
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