Adesso riverberare il
Verbo sulla specchiatura
dipresso il Luogo di
lettura
essere credulo di
percepirmi monade nella modanatura a fuoco
foggiata dal Gigante
fra l’incudine e il
martello la falce e la tenaglia
rifratta sulla soglia
della mia retrobottega
sullo speculo nell’angolo
dell’Alfa e dell’Omega
nell’ennesimo incantesimo
ad opera del càlamo
che dispiega sulla riga
l’afflato e la metafora
una tremula orditura un
traslato di converso
capovolto di riflesso in
un artiglio endovenoso
che m’inocula la cannula
del dubbio
uno specillo cognitivo
che mi sonda nel budello
e vacillo nel sapermi una
minuzia
innanzi alla magnitudine
assoluta della Stella
scia caudata che
sbiadisce
lungo la longitudine
celeste
e non c’è sollievo dal
bruciore del bulino
che mi tatua sottopelle
una mandragora
che non mi solve dal
groviglio delle crome
che per nessuna rima
fricativa si coagula alla gola
nel ganglio della cuspide
molare
nel gorgo della glottide
sonora
non c’è parola
che coinvolga la Vulgata
o una che mi salvi esortativa
non c’è una grazia
ricevuta
una Felicità che pàia duratura
o che lenisca l’impostura
che m’infinge a sincerarmi
degli scarti e gli escreàti
da estirpare con la furia
e con la forza
alle stirpi degli esperti
sempiterni
per sputi ed asterischi
sputtanate ed arabeschi
che mi serbo in un acerbo
sogno arcigno
in un caparbio e torbido
scandaglio
dove vi vegeta il mio germe
che vagisce
la flebile scintilla che
non vampa
sulla campitura di queste
quattro mura
che da eoni trasudano di
epigoni
di carmi e di calcina che
mi escoriano le carni
in un calidario opalescente
dove muto evaporo nel
vuoto
e nella bruma del futuro
ma se osservo di fuori
l’acrocoro
l’ermeneuta in trance
discendere nel dromos
apprendo come il mio moto
corpuscolare
non possa più compararsi agli
Spettri Acustici
che vocalizzano nei
trafori e sulle rovine
i decadenti salmi responsoriali
che corrispondono alla mia Eresia
in una impresa immane a
risalire
non immune dal discrimine
presente
sull’occhio catòttrico
e sul calco chiromantico
che cerco
sulla lastra che mi mostra
il vaso capillare
la traccia della resina e
la linfa
del fango della cenere e
l’argilla
mistura d’acquaforte e
clorofilla
della creta non mondata
del terriccio e della
polvere
addensatesi sulla costola
del libro
ghermita dal rostro
rapace del nibbio
rappresesi nel rivolo del
cloastro
da dove suggo inchiostro
nel lavacro etereo del
mio involucro corporeo
e nella foglia di papiro
che riceve il glifo
apocrifo
mentre di fronte al vetro
s’effrangono i cristalli
sono l’ossesso che urla a
voce alta a Fulcanelli
per la scossa sismica
assestata
sul terrapieno sconnesso
della pancia
per la scrittura
soprassatura
di lai tòpoi enigmi ed
anagrammi
mi si riapre una ferita
nei grumi marcescenti della
piaga
per la mania persecutoria
dei fantocci
di De Chirico
per la schizofrenia delle
mantisse
di Fibonacci il
matematico
rinsavirei per un istante
solo o nell’Eclisse
anche se quel Raggio di
Creazione
non mi splendesse più di sotto
il solleone
finanche s’espirassi il
monsone
esteso su tutta la
foresta
o se la sorvolassi sul
dorso di Ganesha!
* Faraòn Meteosès
All’anagrafe
Stefano Amorese. Attivo come performer tanto nella strada quanto nei salotti, è
anche agitatore poetico-culturale e sostenitore di collettivi artistici. Ha al
suo attivo “Per ludum dicere”
(rappresentazione di teatro di poesia) ed altre performance, partecipazioni a
rassegne di poesia, interventi radiotelevisivi, collaborazioni per elaborati
sinestetici. È voce recitante della formazione jazz poetry APPASTRACCIA. Agli
inizi del 2000 pubblica la plaquette autoprodotta “Samizdat”, diffusa negli
ambiti dell’underground romano. Nel 2007 esce per i tipi di LietoColle con “Psicofantaossessioni”, e nel 2009 per
Arduino Sacco Editore la raccolta di poesie postdatate “Ecolallaliche”. È inoltre coautore col fotografo Fabrizio
Buratta del libro “Il dolce cammino…
Fermate a richiesta” (Aracne, 2010). Suoi testi sono presenti in alcune
riviste e numerose antologie.
12 commenti:
Questo Faraòn mi spaventa . Emy
ritengo il ribellismo di Stefano Amorese molto significativo dei nostri tempi ormai poco inclini al ribellismo, anzi, tutti dediti al conformismo delle rendite parassitarie delle istituzioni stilistiche.
Personalmente sono dell'opinione che il ribellismo, privato di una filosofia della prassi della mobilitazione delle masse, privo cioè di filosofia storica, corra il rischio di andare a schiantarsi contro il muro della assenza di istituzioni stilistiche utili. Oggi c'è solo il quotidiano e il privato, anzi, c'è l'industria del quotidiano e del privato, ci sono i romanzi e le poesie del quotidiano e del privato. Il ritorno al privato segna la privatizzazione di ciò che un tempo non era privato, ma pubblico, cioè politico. È quindi una azione retroattiv e conservatrice senza neanche saperlo di essere dei conservatori.
Voglio dire che la ribellione di Amorese rischia di impantanarsi nelle epistole private dei quotidianisti e dei privatisti.
Una RILETTURA DEI POETI FUTURISTI SAREBBE IN CIò MOLTO UTILE. Contrariamente alla convinzione di Mengaldo e di Fortini io ritengo che la poesia futurista abbia dato ottimi esempi di poesia, una poesia-azione, una poesia metaforica come poi purtroppo non abbiamo più avuta...
a Giorgio Linguaglossa:
Non capisco. Dichiari le tue riserve verso il ribellismo di Stefano Amorese ed approvi la poesia futurista che da un ribellismo abbastanza simile venne fuori.
Lo trovo contraddittorio. Forse sarebbe il caso di approfondire e confrontare distanze e vicinanze sia tra piccola borghesia in bombetta filoimperialista d'inizio '900 e ceto medio filoamericano attuale sia tra le loro rispettive produzioni poetiche.
Mi sembra che questo genere di poesia abbia senso quando è recitata. L’affabulazione richiede la qualità del performer per rendere appieno la fantasmagoria di parole ricercate, le associazioni sorprendenti, i giochi linguistici, le abilità da acrobati delle parole. Nella lettura individuale invece, paradossalmente, non svela, ma annichilisce i significati; invece d'incunearsi nella realtà scardinandola, rimane sulla superficie delle cose, quasi puro suono. Queste per me è un genere performer-dipendente, e la traccia che lascia è labile.
A Linguaglossa metafore. Con grande rispetto per la critica e amore per tutti i poeti:
Nel buio incontrastato
dove non fioriscono rose
e dubbia è la rinascita
s'incontrano , si toccano
corpi incandescenti
per il solo fatto d'esser vivi
ardono al freddo fuggono.
L'inusuale percorso
il tragico la distanza
non frena il sacrificio
lo stesso che all'esterno
del loro nascondiglio
induce l'erba a germinare.
Emy
Flavio Villani ha colto con molta perspicacia il centro della questione, cioè «che questo genere di poesia abbia senso quando è recitata». Lo stigma vale non soltanto per Faraòn Meteosés ma per la quasi totalità della produzione poetica delle giovani generazioni; i giovani autori si dirigono (inconsapevolmente) verso una poesia recitata o da recitazione semplicemetne perché essa è più vicina alla loro sensibilità, si scrive come i piccoli maestri in circolazione dicono loro di scrivere, e poi perché è più facile scrivere versi performativi rispetto che versi che si rifanno a UNA tradizione. Scomparsa la tradizione è scomparsa anche la poesia dei giovani. Di quatsto fatto ne ho parlato con lo stesso Daraòn Meteosés avvertendolo del pericolo di scrivere versi predisposti per la recitazione e non versi per la lettura. Ma è certo che oggi si scrive "poesia" sulla base di una pulsione, di una spinta, di sensazioni di ripulsa (nella migliore delle ipotesi) ma non sulla base di un progetto letterario. Questo è il punto.
La produzione poetica delle nuove generazioni esprime la sintassi caotica dei nostri tempi. Questo genere può avere senso nel recitato, ma anche nell'assimilazione fonetica dei suoni e nel cromatismo di colori nuovi di una tavolozza mescolata all'insaputa della logica formale ma immediatamente estemporanea. L'informale apparente di questo elaborato poetico si colloca bene nelle tematiche di un passato superato, rielaborato e nuovamente in divenire, paradigma delle nevrosi contemporanee.
Nevrosi contemporanee, passato superato, sensazione di ripulsa.
Ribellismo? Dove? Come? Quando? E poi?
Ieri ho incontrato un bimbo che ha dato un calcio alla madre perchè non gli voleva comprare delle scarpe che lui desiderava e lei gli ha risposto con una grande sberla.
Poi il commesso ha convinto la madre.
Emy
tu , a Tiziano Rossi, ma pure a Calvino, gli fai un baffo. Non so se ti rendi conto di quello che hai scritto in tre sole righe. Capolavoro assoluto su tutti i piani e contropiani, privati e pubblici, personali e plurali d'analisi e sintesi con scatto poetico..recitato, fotografico, epico, cinematografico, muto, e a effetti speciali, di sola trama.
Ma con commenti del genere credete che si possa parlare di poesia? Da dove venite? Da un mondo che grazie ad internet è tornato ad essere piatto, grazie alla logica del commento selvaggio e del dover dire a tutti i costi tutto quello che non si sa?
Come fa tale Emy, con il terrore vero di quello che scrive, a trinciare giudizi? E lì, l'informale di un passato superato, è sicuro di aver digerito le sue stesse parole? Tiziano Rossi, Calvino e i capolavori assoluti? Ma de che?
Spunti di discussione potrebbero esserci rispetto al rapporto tra oralità e scrittura, su ribellismo e anormatività, su ritmo e parola, si potrebbe quantomeno abbozzare un tentativo di analisi testuale, e perché no, anche metrica...
Tuttavia, ho altro da fare, tanti bei libri da leggere, e da scrivere davvero, e siccome constato la semplice impossibilità di un discorso argomentato e costruttivo, mi ritiro, subito.
Mi consola il fatto che non tutti sono come voi: se vi sentite forti per il fatto di essere troppi, ricordate che con tali numeri è difficile essere più che nessuno. Io mi mantengo anonimo, per avere almeno qualcosa in comune con i peggiori. Amen.
Innanzitutto ringrazio per la pubblicazione del testo poetico.
Ma non comprendo - è una mia limitazione? - il motivo di tanto spavento.
Mi sembra più una battuta ad effetto che un commento da blog di poesia.
Ne convengo.
Se queste sono le regole del gioco.
In quanto al “Ribellismo”? Sì, Giorgio, può darsi… ma al contempo mi sento amichevolmente di respingere e di disapprovare il tuo appellativo (per me, riluttante) di “latente conservatore”, unitamente al discorso relativo alla vicinanza di presunti “piccoli maestri”… perché tu sai esattamente che sono un autentico “cane sciolto” e che la mia formazione, che piaccia o no, nasce,
si fonda e prende spunto dal movimentismo.
E ancora più sinteticamente, suggerirei di evitare parallelismi,
seppure interessanti, fra poesia e politica.
La prima, l’ultimo nostro baluardo, ne sono convinto, per cui vale ancora lo sforzo estremo di tenere alta la guardia.
La seconda, considerati i risultati attuali, un chiarissimo esempio mondiale
di un enorme e clamoroso fallimento.
(Qui non c’è proprio bisogno di aggiungere altro).
Inoltre, in riferimento al fatto che il segno “lasciato” sia labile…
deriva più verosimilmente da un’idea differente di fare poesia, che non corrisponde, ad un’altra più ortodossa e tradizionale. E va bene...
Incasso, essendo un vecchio boxeur e registro l’osservazione come “edificante”.
In conclusione, che lo si ammetta oppure no,
la ricerca linguistica c’è ed è quanto basta.
E considerato che a volte si commentano le poesie con altre poesie. Eccone una.
“Dire la stessa cosa
con altre parole,
ma sempre la stessa.
Con sempre le stesse parole
dire una cosa tutta diversa
o in modo diverso la stessa.
Molte cose non dirle,
o dire molto
con parole che non dicono nulla.
Oppure tacere in modo eloquente”.
"Opzioni per un poeta" (Enzensberger)
Buon lavoro, con tanti omaggi faraonici
A Faraòn:
Mi meraviglia il fatt che uno che scrive come te non abbia capito il mio spavento. Mi meraviglia pure che la parola spavento ti abbia toccato così tanto, pensavo ti facesse piacere sapere che una "tale" come me rimanesse sconcertata da un poeta come te. Vedi che i conti tornano... . Ciao Emy
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