Stefano
Guglielmin, Le volpi gridano in
giardino, Edizioni CFR - 2013
Poesie londinesi
Triste è il suo viso come il viso di un poeta,
un poeta senza canto
Virginia Woolf
°
Le volpi gridano in giardino
mentre il barbarico sfibra la tovaglia;
raccoglie Mrs Dalloway la voce e dice:
"Non sembra incredibile la vita?"
°°
Non c'è canto, lo so. Però il corpo
talvolta, parla da solo, ama il fango
più della luce e cancellare tracce
darsi malato...
°°°
Poesia significa, qui, stare fermo
sulla giostra, darsi pace naufragando.
°°°°
Chiede se mi piace ridere
se morire giovani sia peggio.
Ripete due volte le frasi
così che ridere e morire
non siano che verbi da imparare.
°°°°°
Dice tante cose in inglese;
mostrando la lingua, la districa:
il suo sesso non farebbe di meglio.
°°°°°°
Impone qualcosa che suona
come il soffio di un cuore malato;
sembra felice di avere seguaci
in questa impresa.
da:
C'è bufera dentro la madre
C’è, nell’attesa,
un rumore di lillà che si rompe.
E c’è, quando arriva il giorno,
una partizione del sole in piccoli soli neri.Alejandra Pizarnik
un rumore di lillà che si rompe.
E c’è, quando arriva il giorno,
una partizione del sole in piccoli soli neri.Alejandra Pizarnik
1.
piegato il guinzaglio, versa monete nel vaso, e profumo.
come a febbraio la pioggia nel lago, pensa. poi tocca il ramo, tuttavia
per dire: ecco il mio sesso nel delirio della specie. così si spiega
l'impazienza nella fila e il fatto che, se accende un mutuo,
la luce cambia.
2.
infilando la mano nella tasca, sente il solito ramo
e lo squittio del cuoio. per questo non usa la chiave, entrando.
pare che alla balia annusi le bende, celi il permesso
di soggiorno: la spalancherà, distesa sul bordo del mattino.
giovinezza ha infatti l'oro in bocca e tanti scrocchi da inventare.
[...]
14.
saggia è la bocca nel fare, la sua goccia di vino. e la mano
se fiera mescola il guano. dicono che soldo
sia la forma del saldo, il suo odore. freud lo fa fiorire dal sogno
e porta fortuna, ma solo a chi ne pesta l'impasto o lo posa
con cura sui prati.
15.
io, dice, ma intende quel proprio suo gettato di fuori
l'insieme dei motivi stretti in vita, sui quali regola il canto.
quando d'autunno siede sul limo, il lago dentro si muove
e così i piombi con cui pesca la quiete. d'estate, invece
doma murene e forze piene di spine.
16.
magri dal fondo della buca, gli altri chiedono denari
e una briciola di polka, per la sera. nemmeno alle ceneri
lui invece smette d'ingrassare. appena può, siede sull'orlo
della crepa, con in capo l'elmo a credito e la spocchia
di chi ha i numeri migliori.
17.
la natura gli cammina sulla pancia, si fa largo fra i pronomi
quando dice mio, tuo e degli amici tutti, seduti sul suo pane.
talvolta, mosso dal ramo, sborsa la mancia o adotta da lontano.
meglio se femmina, chiaro: già la vede turista giovinetta
col sedere tondo e fuori, persa nel suo letto.
18.
sui negri non ha nulla da dire, ma per principio
a nessuno volta la schiena. nemmeno al giallo crespo del tatto
quando lei, dolce, lo scuote. vorrebbe il suo cane obbediente
invece la bestia sbava dal labbro, lascia le feci in cucina.
di notte, tutto questo lo sfianca, gli bagna il nervo spinale.
[...]
* Due note
Libro intenso, profondamente pensato, concentrato, dalla scrittura poetica di alto livello e dalle tematiche di profondità e di spessore uniche per coraggio e per lucidità.
Guglielmin dà l'impressione di un poeta che ha rotto ogni ponte alle spalle e non si preoccupa del mare di polemiche che la sua poetica rischia di innescare, ha imboccato la via dell'intransigenza filosofica e dell'intransigenza poetica, spazzando via con un gesto deciso ogni ripensamento sul linguaggio usato però ad altissimo livello, considerandolo, come in effetto sarebbe giusto, soltanto uno strumento per dire poeticamente quello che si vuole dire e non il centro stesso della poesia. Vi sono momenti di intenso lirismo, a volte straziante, momenti di cupa ironia e di sarcasmo, momenti di sberleffo o di elegia: l'importante per il poeta sembra essere un elemento soltanto: la profonda coerenza con se stesso e l'affermazione di una verità sentita. [G. Lucini]
Va detto che se c’è, nella vicenda compositiva e editoriale di un poeta, un libro che apre nella piena maturità una crisi, una presa d’atto e distanze – che non significa solo disincanto ma approdo a una sorta di innocenza ulteriore, spuria, compromessa e tuttavia renitente, recuperata, eppure stranamente (e nuovamente) illesa, certa a posteriori della sua credenza, – ebbene per Stefano Guglielmin quel libro è, con buona probabilità, Le volpi gridano in giardino.
La raccolta infatti traghetta una funzione inclusiva e superante. Il che significa, quanto a cifra stilistica, la concessione di pieno credito a una sperimentazione (talora anche a un virtuosismo), crossover rispetto a generi e a registri, ma soprattutto la rottura del lucchetto della compattezza, quasi sempre apposto a sigillo della certezza o personalità della voce poetica. Della compattezza, suggerisce questo libro, occorrerà sempre più chiedere conto, non fidandosene di per sé, nello sbriciolarsi degli orizzonti empirici e nell’ibridarsi delle poetiche.
A questa rottura di un cliché stilistico coincide immediatamente sul piano tematico lo stridio di un altro guscio che si apre scontrandosi: l’hortus conclususdell’esperienza personale, quando va a cozzare con l’indeterminato di una crisi, di un allontanamento, e quando rivede affacciarsi nel perimetro duale i volti sfaccettati e conflittuali della polis – la diade che si lacera commossa per ritrovarsi di nuovo partecipe in mezzo al mondo. [Paolo Donini].
14 commenti:
mi sembra che la frase di Virginia Woolf posta ad esergo dall'autore sia calzante:
«Triste è il suo viso come il viso di un poeta,
un poeta senza canto»;
è triste leggere queste cose tristi di Guglielmin, uno scrittore "senza canto", che posa a scrivere cose "tristi", tra l'altro che non hanno alcun nessun senso logico, sintattico, grammaticale (che cosa significano?); infatti, io non riesco a capire di che cosa si parli (quid juris?) in queste grigie prose, e se si parla di qualcosa. Davvero, vedo una tristezza infinita in questa scrittura costruita con la sapienza del saputello.
Laura Canciani
Il linguaggio certo sta sopra ogni cosa. La scrittura poetica d'alto livello , come vieme specificato nelle note, per me è così d' alto livello , che perdo il filo, la poesia, la filosofia. Donini Paolo, l'autore delle note, senz'altro conoscerà questo originale poeta e ha perciò potuto trarre le sue conclusioni, ma io che non voglio fare polemiche, mi limito a dire che non l'ho capito , anche se sicuramento e solo per istinto colgo un senso di disperazione e di tristezza, una voglia di riprendere discorsi e convizioni utili al nostro tempo che opprime tutti e distrugge chi non è che "solo" un uomo. Rileggerò e cercherò di meditare sopra questi versi, perchè , comunque, stuzzicano molto la mia curiosità. Grazie ad Ennio per questa novità. Emy
Non sono esperto ma credo che nel prossimo periodo avremo modo di leggere parecchi libri di poesie fatte da frammenti, tre/cinque righe non di più. Per queste ragioni:
1 - Perché i poeti non letti dal pubblico, e son quasi tutti, tenteranno la via dell'abbecedario perché coscienti del bassissimo livello di attenzione che vien loro riservata, come a chiunque del resto, dal pubblico ormai assuefatto alla discutibile ma efficace brevità dei messaggi mediatici.
2 - Perché la brevità è la caratteristica che si sta diffondendo sul web, ed è tipica della messaggeria di quasi tutti i social network (se strafori non verrai letto).
3 - Perché nella brevità i poeti avranno l'impressione che si evidenzieranno le loro perle di saggezza, oltre che i loro virtuosismi formali. Insomma, tenteranno di fare in modo che quel poco di buono che c'è non si disperda, in partenza, tra le righe della loro stessa scrittura.
Questa è la caratteristica che vorrei sottolineare innanzi tutto di queste poesie di Guglielmin. In secondo luogo, pur condividendo in parte le obiezioni mosse da Laura Canciani (a queste poesie sembra manchino i link), ho notato però che questa "compromissione" col quotidiano è in grado di accogliere una sana espressività, molto esistenziale (ma di riflesso) e un poco sociale, che mi ha fatto pensare alle poesie di Alfredo de Palchi. Traggo da una sua intervista ( a De Palchi,Poesia2.0):
"Personalmente non penso al canone, penso piuttosto ai cannoni per demolire del 98% la “poesia” che segue pedissequamente il canone. La chiamo cianfrusaglia, lacrimogena, di una astrazione senza un pensiero, non una immagine vitale, senza parole saltellanti sulla pagina. Ma dove vive questa gente, al cimitero?"
Divertente, no? A me sembra che la strada intrapresa da Guglielmin sia buona.
bah..insomma...io tutta questa "disperazione" o "tristezza" nel significato più distruttivo dei due stati d'animo, non le vedo proprio....non conosco l'autore Stefano Guglielmin,non so quanto sia o non sia "saputello" ...sicuramente traspare una molteplice sapienza, ma se sia quella esibitoria, così come da commento yogurtifero di Canciani, non ho elementi di semplice e banale conoscenza per ravvederne traccia. A me , a un mio sguardo istantaneo, questa poesia è piaciuta perché i tempi richiederebbero a un uomo comune, e figuriamoci quanto di piu a chi si dice poeta, un discanto preliminare a qualsiasi canto successivo, e questo stato d'animo è palpabile in questa scrittura.. se poi secondo i canoni dei critici, questo disincanto sia o meno anche anche canto, non mi deve interssare o influenzare. Come dice il sempre piacevole da leggere Lucini "e non si preoccupa del mare di polemiche che la sua poetica rischia di innescare, ha imboccato la via dell'intransigenza filosofica e dell'intransigenza poetica, spazzando via con un gesto deciso ogni ripensamento sul linguaggio usato però ad altissimo livello, considerandolo, come in effetto sarebbe giusto, soltanto uno strumento per dire poeticamente quello che si vuole dire e non il centro stesso della poesia. Vi sono momenti di intenso lirismo, a volte straziante, momenti di cupa ironia e di sarcasmo, momenti di sberleffo o di elegia: l'importante per il poeta sembra essere un elemento soltanto: la profonda coerenza con se stesso e l'affermazione di una verità sentita"..infatti questo è il succo che questa lettura mi ha lasciato, senza doverci trovare altre parole mie.
Conclusione
Nel mondo orwelliano in cui siamo, si confonde spesso e strumentalizza a proprio piacimento, in qualsiasi ambiente ( e immagino anche in quello poetico),qualsiasi portatore di dolore (dell apropira storia e visione dentro quella più grande in cui tutt siamo) da un determinato stato grezzo iniziale, ad uno semilavorato in corso di lavorazione . Il dolore così rilasciato confonde e solo chi ne ha vissuto ogni contagio sui vari registri emotivi intellettivi di centratura bio-grafica, può intravedere nell'altro il relativo magma. Non c'entrano le affinità elettive, ma la disponibilità di andare o meno fino in fondo al dolore.
grazie a Ennio per avermi fatto conoscere autori che mai altrimenti avrei conosciuto.
ciao
rò
ec
un disincanto
Questa lettura che fa Mayoor delle poesie di Guglielmin è molto interessante anche per quanto riguarda la scrittura breve. Sono convinta anch'io che la brevità attrae , non stanca, ma deve possedere tutti gli aspetti che la poesia richiede. Diciamo anche che scrivere poesie lunghe si rischia facilmente la caduta , ma un poeta, se è un vero poeta sa come fare. Non so... la bravura di chi scrive poesia, sta nel pensiero e le parole devono colpire il suo centro senza distruggere l'idea con tiri da prestigiatore, che spesso vanno fuori molto fuori dal centro. Mi piacerebbe sentire altri pareri su questo discorso che mi pare molto interessante. Emy
Il livello dipende sempre da qualcosa di molto personale, la frammentazione non aiuta a capire e a distinguere l'alto l'alto dal basso. Questo canto mi lascia perplesso, ci sono musicalità che non rendono. Magari un paio di riletture!!!!!!!!CAR
Per ora solo un invito a non fermarsi alle prime impressioni.
Guglielmin conduce da tempo un blog molto curato e degno d'attenzione (BLANC DE TA NUQUE :http://golfedombre.blogspot.it/).
Altre informazioni e commenti su questa raccolta si trovano qui:
http://golfedombre.blogspot.it/2013/01/le-volpi-secondo-paolo-donini.html
E qui:
http://golfedombre.blogspot.it/2013/01/le-volpi-gridano-in-giardino-cfr.html
La sola difficoltà che vedo nel voler esser brevi sta nella rinuncia al narcisismo del superfluo. Narciso parlava a se stesso, a chi può interessare? e l'estetica fine a se stessa è decorativa. Si fa prima e meglio ad essere metafore che a farne uso. Nel primo caso non c'è distanza tra immagine e pensiero, nel secondo serve ginnastica. Che c'entra? beh, a me sembrano alcuni aspetti importanti della poesia breve.
"La fame è un alto edificio/che si sposta di notte" , "Ostinato brilla / il mio orologio con l'insetto del tempo imprigionato", sono brevità (estratte) di Tranströmer. Ma per rispetto a Guglielmin non ne aggiungo altre. Quindi sono d'accordo con te quando dici che bisogna "possedere tutti gli aspetti che la poesia richiede".
Guglielmin ha una storia sia come poeta (all'inizio alla briglia delle neo-avanguardie, poi mano mano piu' meditativo e attento al quotidiano, con basi teoriche di filosofia continentale e vicinanze al sostrato che anima la rivista Anterem) che come divulgatore della poesia contemporanea, anche di quella recente che appare su internet.
A parte l'evidente propensione didattica, non e' certo un poeta "di cuore" e puo' risultare anodino a prima lettura. Ha comunque i suoi estimatori, soprattutto fra i pari sociali: esiste un nutrito numero di insegnanti non universitari che produce letteratura per mestiere e, qualche volta, per vocazione. Si tratta di persone che, fra mille difficolta', tramandano il letterario alle giovani generazioni tanto in rapporto docente/discente che lettore/lettore.
Un saluto a tutti. Giuseppe Cornacchia
leggo solo ora, peccato perché altrimenti si poteva discutere meglio su che cosa sia il canto oggi e su chi sia il pubblico della poesia. Certo che se la mia poesia non si capisce, non credo sia un problema di codice (visto che uso una sintassi e un lessico piani). E non vedo dove sia il "saputello": si venga nel nord-est e si conoscano gli uomini che lo abitano: tutto si chiarirebbe. Nella bufera" mi limito a descrivere azioni semplici, irrelate perché è irrelato il senso del vivere qui, dove ci sono decine di suicidi legati al fallimento di un modello: quello del nord-est, appunto.
Beppe, ma dov'è l'intenzione didattica in queste poesie?
signora canciani, se non capisce di che cosa parlano queste elementari stringhe di senso che sono i miei versi, sarà davvero difficile scambiarci qualche opinione sensata sulla poesia. pazienza, anche perché a me la sua poesia piace.
grazie. "le volpi" hanno comunque poesie molto più lunghe. non scrivo breve per imitare i messaggi mediatici.
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