lunedì 1 maggio 2023

MOLTINPOESIA APPUNTO 11: Mi chiamo moltinpoesia (2009)

 


 di Ennio Abate

Nel 2009 tentai di definire per via lirica il termine moltinpoesia assumendone io stesso la maschera («Buonasera, mi presento. Sono moltinpoesia.»). Si  può cogliere  nei versi la fatica di contrastare l'ostilità che sentivo  presente tra i parecipanti al Laboratorio Moltinpoesia di Milano (2006-2009).L’immaginazione in quegli anni mi muoveva a lavorare a una nuova poesia, che tendevo a chiamare moltinpoesia. Pensavo che  dovesse essere fatta da molti e per molti. Che sarebbero entrati nella Casa della Poesia - termine simbolo in quegli anni - per  rinnovarla. E non avevo presente o non prendevo sul serio fino in fondo la tesi espressa da Fortini, che nel saggio Sui confini della poesia (1978) considerava chiusa per sempre la «via estetica all’umanesimo», che la sua generazione aveva ancora tentato di percorrere con qualche buona ragione. Se, come lui aveva sostenuto, si  era arrivati alla «distruzione radicale di quella prospettiva» per un mutamento  della «realtà socioeconomica del presente», avvenuto all’esterno del mondo della poesia e dei poeti, cosa  potevano fare i moltinpoesia (o io con la maschera loro sul volto)? [E. A.]

 

Buonasera, mi presento. Sono moltinpoesia.
I poeti laureati mi chiamano invece similpoesia, parapoesia o giù di lì.
Ma io non mi lascio impressionare.
Leggo i loro nomi
e capisco perché hanno scelto di guidare
il Rito che amministra Bellezza e Qualità
solo per conto di Partiti Chiese e Università.
Io frequento la varia e a me simile schiera
dei poeti part-time, gli scriventi - pare - di massa
che mettono su circoli riviste e siti.
Vivo in mezzo a loro, in basso: nei quartieri delle metropoli
in eremitaggi di periferia. Quasi sempre in incognita compagnia.
E della secolare, marmorea Norma diffido.
Essa vorrebbe ch’io neppure esistessi, mi astenessi, nulla scrivessi.
Ma io, pur se con la metrica me la cavo all’ingrosso
lo faccio appena posso, stando a cose e a fatti addosso.
Sottomessa a lavori coatti
ed oggi, peggio, a precarie occupazioni
non ho mai fatto in tempo ad imparare il galateo
caro al poeta cicisbeo.
Inseguo passioni e corpi qualsiasi, io.
E leggo nelle pause mensa o a tarda notte.
Probabilmente, così scorrendo nella vita
e scrivendo in modi qualsiasi nel mondo qualsiasi
in una crescente eclissi di libertà
con l’ansia addosso di lavori da cercare, bollette da pagare
amori da assaggiare
non so bene dove vada a parare
e se, alla fine della mia storiella
sarò poesia, similpoesia o mai più poesia.
Dovrei - che suggerite? - darmi una calmata?
O continuare con la mia andatura sfrenata?
Raffreddarmi sui classici? O dissiparmi nel Web imperiale?
Nell’incertezza me ne sto in allerta.
Mi serve - lo confesso - per riprendere fiato.
Dal Sessantotto ad oggi, ahimè! Speranze e tracollo... Che botto!
Tutto quel poiein spazzato via
portando - scriveva uno - le tempie al colpo di martello
la vena all’ago la mente al niente.
E che Niente!
Ma io la fiammata l’ho guardata.
Ne ho conservato il bagliore, la voglia di non mollare la vita più vera
quella dai Potenti congelata e da mano omicida freddata.
Nei miei versi alla buona
nelle mie diaristiche comunicazioni
mi chino su corpi che appena risvegliati
già son straziati dagli stivaloni che calpestano il pianeta
o gettati in manicomi e prigioni.
E ancora mi protendo verso lampi precedenti
nell’anima di un mondo antico o ragazzino
che ciminiere e computer hanno travolto.
Insomma, nella nuova notte della ragione
mi porto il talismano fievole e audace della poesia.
Cosa ho fatto di preciso negli ultimi tempi?
Ho raccolto bei cocci del passato da poeti viventi
sfogliato pagine care di maestri
lisciando le loro parole tonde
arrampicandomi sulle scoscese.
Ho riempito quaderni di poesie e file di poesie.
Li ho fatti leggere ai miei pari.
Me li hanno commentati.
Ci siamo lanciati in discussioni
su cos’è o potrebbe diventare la poesia
sul perché tanti ne scrivono
sui rapporti che essa deve intrattenere o meno
con la politica, la storia, la memoria
gli immigrati, la vita, il cosmo, dio, il nulla.
Ho pure visitato i cimiteri degli operai suicidatisi dopo il 1980 Fiat.
Non ho distolto gli occhi dalla miseria planetaria delle banlieu .
E di recente ho contato tutte le urla di strazio provenienti da Abu Grhaìb.
Insomma un po’ mi sono informata.
E poi, parlando parlando coi molti
si accendono pensieri caotici e nuovi progetti:
Rimettere assieme poeti e non poeti?
E ci conviene abitare la Casa della Poesia
o gironzolare, fare reading in un bar, un’osteria
oppure immergerci, in apnea, nella massmediale Tuttologia?
Più rasoterra: pubblicare, pubblicare le nostre poesie?
Ma perché solo su fogliettoni o in autoedizioni?
E per far conoscere la poesia, aggregarsi ai Barbari dellla Tivù
sculettante e becerona?
O piuttosto agire come un Quarto Stato della Poesia
continuando a leggere, studiare, scrivere, sperimentare
fin dove può arrivare nel mezzo di questo Carnevale
la nostra sorellina poesia?
Vi ho dichiarato i miei desideri, le mie incertezze, le stizze e le antipatie.
Seguitemi dunque adesso. Scrutatemi meglio.
Non vi fermate ai mugugni, birignao e banalità
che pur mi scappano di qua o di là.
Entrate seriamente - dai! -
nella mia sofferenza, fatica, diciamo pure follia.
Ascoltate il mio brusio.
Non è solo chiacchiere, polemiche o sciatteria.
Oscilla tra lande di silenzio, di morte, d’amore e di sublime.
Non vi bloccate sulla liricità o sulla serialità.
Chiama tra voi dei buoni folli per il laboratorio della futura poesia.
Che raccolgano il povero Io poetante che a fatica ha traversato i secoli.
Che lo portino fuori dall’angustia delle patrie lettere
e degli amoretti alla Nanni Moretti
spingendolo oltre
ad ascoltare toccare capire
le parti oscure del corpaccio
di questo mondaccio in furente divenire
a tradursi in lingue meticce
a costruire un’altra possibile poesia.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Un’altra possibile poesia esisterà sempre

Alberto Rizzi ha detto...

Nel momento in cui si rifiuta una ricerca qualitativa (che implica la cura della musicalità, la scelta del linguaggio, la conoscenza di come funziona la metrica), è evidente che il poeta - uno, trino, o multiplo che sia - non potrà fare nulla.
Anzi "lavorerà per il nemico", abbassando il livello della poesia e arrivando così a molte più persone, senza però dire nulla di nuovo o di interessante, ma credendo di farlo.
Così che i "moltilettori" diranno "ma è questa roba qui, la poesia?"; col risultato o di allontanarsene definitivamente, o di pensare di poterla fare anche loro, dato che sanno tenere in mano una penna, illudendosi pure loro di star dicendo qualcosa, senza in realtà dire nulla.
In altre parole siamo dentro la logica della "poesia" (virgolette d'obbligo...) da social.

Il punto è che, anche accettando il punto di vista Fortiniano della fine dell'estetica umanistica, ci si deve casomai sforzare di costruirne un'altra: o che assecondi l'andamento della società (come a suo tempo fecero i Futuristi, ad esempio), oppure che ne rappresenti un'alternativa.

Ennio Abate ha detto...

«Nel momento in cui si rifiuta una ricerca qualitativa (che implica la cura della musicalità, la scelta del linguaggio, la conoscenza di come funziona la metrica), è evidente che il poeta - uno, trino, o multiplo che sia - non potrà fare nulla» (Rizzi)

La poesia è in crisi, anche se non ci fossero i moltinpoesia. Non si può imputare ad essi questa crisi. Specie se si prende sul serio la tesi di Fortini della fine dell’estetica umanistica «per un mutamento della «realtà socioeconomica del presente», avvenuto all’esterno del mondo della poesia e dei poet» ome ho scritto., I moltinpoesie con le loro ambiguità e limiti nel legame (saltato) con la tradizione e il “mestiere” sono semmai uno degli effetti di questa crisi. Che ci si debba sforzare di costruire un’altra estetica è un bel proposito ma difficile da perseguire al momento.