giovedì 24 ottobre 2024

Sulla comunicazione in poesia a pochi/molti

 


RIORDINADIARIO 2011/ MOLTINPOESIA

di Ennio Abate

Se sto su una spiaggia affollata da molti bagnanti e vedo una persona che sta per affogare, mi rivolgo ai pochi a me vicini, che mi possono sentire e darmi una mano. Non alla folla lontana e distratta, alla quale le mie grida non arrivano o giungeranno incomprensibili. Per questa scelta qualcuno mi potrebbe mai accusare di aver voluto rivolgermi a pochi con l’intento di «creare nuove élites»?
L’immagine che ho della poesia oggi è proprio questa: una persona che sta per affogare. Tutti noi vorremmo salvarla. Io però vedo attorno molta agitazione, troppa confusione. E non m’illudo che alla (difficile) operazione di salvataggio possano partecipare i *molti*, ai quali pur si richiama nel nome il nostro Laboratorio. Non è possibile. Non subito almeno.
Le cause di questo scarto sono tante e complicate: il tipo di vita convulso che facciamo; il “rumore di fondo” dei mass media che comunque ci sommerge; gli orientamenti mutevoli dei singoli, ora più propensi all’autopromozione individualistica ora affascinati dall’obiettivo di una libera espressività ora diffidenti verso certi problemi (critica dei testi, rapporto tra tradizione e innovazione, ecc.) considerati troppo spesso oziosi o fisime per “intellettuali”.
Se questo mio punto di vista non è del tutto campato in aria, non mi sento affatto in contraddizione per aver scritto:

«la poesia deve rinunciare in partenza a raggiungere quanti non possono neppure "sentirla", essendo assordati da "questo mondo così distratto e frammentato"; e deve invece rivolgersi - perché vi è costretta, ma anche per scelta consapevole -ai pochi/molti. 
Fortini diceva: non parlo a tutti. Io userei questa termine "ambiguo" per indicare un potenziale io/noi capace di costruirsi tenendosi lontano sia dall’elitarismo dei “pochi ma buoni”e sia dal populismo dei rintronati dalla grancassa massmediale».

Certo, uno strumento potente per arrivare ai*molti* ci sarebbe: la comunicazione attraverso i media. Non la ritengo opera del demonio da cui stare alla larga. Però è a tutti evidente che, per quanto qualcuno tra noi possa aver imparato a parlare «universalmente in modo appropriato e comprensibile», l’accesso all’uso di questi mezzi gli è in genere impedita.«Chi ha il potere di selezionare i messaggi da veicolare attraverso i mass media usa – ho scritto - criteri non diversi da quelli con cui Berlusconi sceglie le sue *escort*e i partiti i loro candidati alle elezioni». Provatemi il contrario.

Conclusioni. La critica – almeno quella che ancora sta addosso a «questa realtà oggettiva» e non occulta l’esistenza dei rapporti di forza diseguali (per cui alcuni accedono attivamente ai mass media e altri possono essere solo pubblico passivo o semipassivo dei mass media) - è oggi l’unico salvagente che possiamo buttare alla poesia. Ed i poeti dovrebbero essere i primi ad esercitarla, anche nei propri confronti. Solo avendo presente questo stato di cose, sfavorevole alla ricerca in generale e alla stessa ricerca poetica, si potrà «tornare a chiamare le cose col loro nome». E (forse)a farsi intendere anche dai molti, oggi irraggiungibili. Non esiste più (e non solo in poesia) nessun «codice condiviso», nessuna «comunità che fa uso di quel codice condiviso». La frammentazione è tale che, anche quando si cerca di “comunicare” con le più oneste intenzioni, non ci si intende. E, allora, credo che il discorso di Fortini, solo in apparenza aristocratico, avesse chiara proprio questa realtà; e chiedesse giustamente di tenerne conto; e di far pulizia delle false idee che circolano anche in poesia.




24 gennaio 2011

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Poveri "molti" ma anche poveri "pochi"
Ma che importa, la poesia decide e onora chi la rispetta, sì il rispetto per la poesia, nel senso che essa ha le sue regole, esigenze, pretese
Abate lo sa benissimo, ammiro molto i suoi scritti e le sue poesie

Anonimo ha detto...

Commento sopra Emilia Banfi

Alberto Rizzi ha detto...

Certo che crei un’élite! Nel tuo piccolo hai creato un’élite dal punto di vista etico (perché si sono attivati: e non è detto che tutti i “vicini” lo facciano”, né che non provi ad aggiungersi qualcuno tra i “lontani”) e da quello tecnico: per le competenze necessarie a salvare un annegando e per le doti fisiche che occorrono. Scusa, eh, ma la “élite” mica dev’esserlo solo dal punto di vista culturale!
Chiarito questo, come poeta scrivo per tutti, ma sapendo che interesserò a pochi e non solo per motivi culturali, ahimé. Un’altra élite, insomma: tanto, la porta per chi vuole provare ad aggiungersi è sempre aperta; e siccome questo modo di fare è in sintonia con la Natura, direi che sono (molto) soddisfatto così.

Anonimo ha detto...

La critica dovrebbe arrivare prima delle pubblicazioni, in modo da creare un terreno comune di poesia, comune ai poeti, per presentarsi a tutti, ed eliminare gli slanci del cavolo che molti scambiano per poesia.

cristiana fischer ha detto...
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