[…] Amici,
davvero,
a chi sotto i piedi la terra non gli brucia al punto che paia
meglio qualunque cosa piuttosto che rimanere, a colui
io non ho nulla da dire». Così Gotama, il Budda.
Ma anche noi, che non più ci occupiamo dell’arte della pazienza
ma piuttosto dell’arte dell’impazienza, noi che tante proposte
di natura terrena formuliamo, gli uomini scongiurando
a scuoter da sé i propri carnefici dal viso d’uomo, pensiamo
che a quanti,
di fronte ai bombardieri del capitale, già in volo, domandano
e troppo a lungo, che ne pensiamo, come immaginiamo il
futuro,
e che ne sarà dei loro salvadanai e calzoni della domenica, dopo
tanto sconvolgimento, noi
non molto abbiamo da dire.
(B. Brecht, La parabola di Budda sulla casa in fiamme, in Poesie 1933-1956, p. 189)
Ricordo le discussioni quando Barack Obama e Hillary Rodham Clinton si contendevano la candidatura presidenziale. Alcune femministe invitavano ad appoggiare Hillary perché era donna, altre afroamericane invitavano ad appoggiare Obama perché era di colore. Il tempo ha dimostrato che lassù in alto non contano né il colore della pelle né il genere.
(supMarcos,Terza Lettera a Don Luis Villoro nello scambio su Etica e Politica, luglio-agosto 2011)
Cari/e amici/che di Nazione Indiana,
circa sei mesi fa qualcuno s’illuse che la guerra in Libia sarebbe stata “lampo”.[1] (E l’Afghanistan? E l’Irak?). Ecchè - si diceva, si scriveva, anche su NI - «lasciamo che il rais bombardi quelli che lui chiama i ribelli?». Si sospendano, orsù, «le questioni di principio». Tacciano i cacadubbi di turno pronti a ricordare che «i droni americani stanno facendo stragi quotidiane di civili in Afghanistan». Che patetici quelli che vedono negli insorti dei «pupazzi eterodiretti dal Capitale Globale o dai vertici del complotto demoplutopippoquiquoqua». E basta - si diceva, si scriveva - con ‘sto Valentino Parlato, deplorevole esempio di «una “sinistra” che sta sempre coi [dittatori] più deboli» (perché, invece, c’è da stare subito, senza se e senza ma, con quelli forti).