Critica e poesia possono allearsi o sono attività inconciliabili? Sarebbe meglio se il poeta facesse solo poesia e il critico facesse solo il critico? La critica è pericolosa per la poesia e la può “uccidere”?
Fino agli anni Settanta del Novecento questioni del genere erano considerate secondarie. La figura del poeta-critico non appariva un ibrido quasi mostruoso e antiquato, come succede oggi. E Majorino ancora nel suo recente Poesie e realtà 1945-2000 ha classificato tranquillamente Pasolini, Leonetti, Roversi, Volponi, Fortini, Pagliarani, Noventa ed altri sotto la voce «Poesia Critica» (pag.112).
È oggi che il pregiudizio ostile a ogni tipo di critica regna dappertutto. I poeti-critici sono delle mosche bianche. E la poesia che va a braccetto con il sentimento, l’inconscio, il mistero, le passioni, il sogno, la Vita, la Fede viene ammirata. Ci si scandalizza – ah, che liaisons dangéreuses! - solo se dei poeti vogliono mantenere o ristabilire rapporti tra poesia e intelligenza, ragione, scienze, riflessione (critica, insomma).
Il peso di questo pregiudizio culturale ha reso faticosa la nascita di un GRUPPO CRITICA nel nostro Laboratorio MOLTINPOESIA. Lo documentano numerose mail scambiate tra noi in questi anni. Ma ora esso è nato, ha prodotto dei risultati e di questi abbiamo discusso nell’incontro del 14 dicembre alla Palazzina Liberty, intitolato con un pizzico di provocazione La critica non ammazza né la poesia né i poeti, anzi...
Ci è sembrato positivo questo primo esperimento: alcuni di noi (in vesti di poeti) hanno accettato che altri di noi (in vesti di critici) valutassero alcuni loro testi proposti in un primo momento in forma anonima e solo dopo, a giudizi espressi, collegati ai rispettivi autori. Abbiamo perciò deciso di continuare il lavoro del GRUPPO CRITICA, scambiandoci magari anche i ruoli: nei prossimi mesi saranno forse alcuni dei “giudicati” a “giudicare”.
Il metodo della libera discussione da laboratorio ha permesso anche nell’incontro del 14 dicembre di mettere a fuoco gli aspetti positivi e quelli problematici di questo esperimento. Li riassumo qui tenendo sia di quanto hanno detto i presenti sia delle mie riflessioni personali che vado facendo sul tema quale poesia oggi.
Aspetti positivi:
1. Non esiste una separazione assoluta tra critica e poesia (tra funzione critica e funzione poetica). Il poeta, quando cancella un verso già fissato sulla carta (o al PC), sostituisce un termine, aggiusta una rima, opera già da critico. Il poeta, per diventare poeta, ha bisogno di critica (e autocritica). E il critico, per diventare critico, ha bisogno del poeta. (È stato fatto l’esempio degli interventi da critico del poeta Ezra Pound su un poeta di nome T.S. Eliot, che si era fatto giudicare dal primo il testo che poi diventerà La terra desolata).
2. Esercitare la critica non richiede necessariamente una specializzazione o una professionalità accertata. La critica – come si è detto - la si esercita da subito e senza laurea o patente, innanzitutto sulla propria scrittura (autocritica). O dando occasionalmente un proprio parere sui testi che un amico, un conoscente ci fa leggere. Utili strumenti critici possono essere quelli derivati dalle proprie esperienze di lettura e scrittura, anche quando esse non fossero sistematiche, aggiornate, specialistiche. Sicuramente altri (gli specialisti, i critici di professione) ne posseggono migliori dei nostri, ma ciò non ci esonera dall’usare quelli di cui noi disponiamo. Tanto più oggi che i “critici veri” (Cfr. Appendice) spesso non si occupano dei testi dei moltinpoesia.
3. In assenza di una critica professionale ormai arroccatasi in alcune roccaforti universitarie e del tutto indifferente al fenomeno dei moltinpoesia, esiste oggi una urgente necessità di esercitare una critica “fai da te” niente affatto disprezzabile o inevitabilmente dilettantesca, per evitare che il fenomeno (ambiguo) dei moltinpoesia o del fare poesia alla cieca, come capita, affidandosi soltanto all’improvvisazione o all’ ispirazione si esrima solo nelle forme più rozze, esibizionistiche e in fondo fastidiose, manipolate e sterili. Dovremmo essere tutti ormai un po’ stufi di andare avanti con “microfoni aperti” una tantum o con «reading dove un applauso non si nega a nessuno». Sentiamo tutti (o quasi tutti) l’esigenza di fare pulizia in questi riti pseudodemocratici. Essi attirano quanti arrivano al momento ad esprimere in parole qualsiasi, in parole come vengono il loro disagio esistenziale o i loro desideri frustrati. Ma non danno nulla di più. Manca il resto, manca quel lavoro di laboratorio critico che noi abbiamo avuto il coraggio di pensare e praticare. Esso è necessario al singolo o al gruppo (all’io e al noi). Ricorda che non ci si deve accontentare di esprimere sentimenti o idee in una forma qualsiasi, che bisogna cercare invece quella più esatta, più giusta, più adatta (alla realtà, al sentimento) e accettare la fatica (lo studio, la lettura, la riflessione) di cercarla senza certezza alcuna di trovarla.
4. Il “diritto” o la voglia di “esprimersi” deve fare i conti (innanzitutto dentro la stessa persona che scrive o vuole scrivere poesie) con il “diritto” alla critica. E viceversa il “diritto” alla critica deve applicarsi ai concreti testi prodotti sia dai moltinpoesia sia dagli autori che non rientrassero in questa categoria. Sarà soltanto alla fine di un lungo, contorto e conflittuale processo che potrà essere stabilito – e soltanto temporaneamente ! – quali di questa massa di testi oggi prodotti sia poesia e perché lo sia. Mi arrischio a dire che saranno probabilmente considerati poesia quei testi che alla fine otterranno un certo consenso motivato (non il generico applauso o una pacca sulla spalla) da parte di una comunità o pubblico reale (contemporaneo o fatto di “posteri”) addestratosi anche per la spinta didattica di circoli, riviste, associazioni, istituzioni scolastiche a capire dov’è e cos’è oggi la poesia. E questo pubblico esisterà (ed è auspicabile per me che sia fatto di molti e non di pochi) soltanto se singoli o gruppi (compreso il nostro Laboratorio possibilmente) sapranno inventare dei criteri semplici e maneggevoli (specifici e mai definitivi o riassumibili in un ricettario) per scovarla e definirla con un certo grado di precisione.
5. La necessità di esercitare la critica (questo “diritto alla critica”) deve trovare una sua ragione nel fatto che la lingua è pensabile (non è detto che sia accaduto sempre o che questa sia un’idea indiscutibile) come un bene comune da curare, difendere, rafforzare. Do per scontato che senza lingua non c’è possibilità di poesia. A meno di non voler estendere il concetto di poesia al di là della lingua usata e praticata storicamente; in tal caso tutto – un elemento della natura, il cosmo, un pensiero “puro” potrebbe essere poesia. A me pare che la poesia sia da cercarsi entro determinati confini. M’interessa lavorare con tutti quelli che vivono la lingua come un berne comune o hanno bisogno che la lingua sia un bene comune. Mi sento con loro portato a contrastare quanti – singoli poeti anche autorevoli, corporazioni o lobby culturali e politiche, ma anche velleitari e confusionari innamorati della poesia - tendono a considerare la lingua (e la poesia) come un fatto “privato”, a usarla/farsela in proprio (per se stessi o per un loro cenacolo o setta), a consumarla (dilapidarla, strumentalizzarla secondo me) per scopi più o meno chiari o semiconsapevoli (di prestigio, di potere, di sfogo, di autocoscienza, di elevazione “spirituale”). Temo in poesia questo atteggiamento. I loro fautori sembrano voler sfuggire ad ogni giudizio. È come se dicessero «la lingua (la poesia) è mia e me la gestisco io. Tu, lettore o critico, puoi soltanto prendere o lasciare, applaudire o tacere, mai discutere, obiettare a quello che ho fatto. La lingua ( la poesia) è qualcosa di sacro e solo io/noi iniziati possiamo intenderla, Voi profani non dovete metterci naso».
Aspetti problematici e da approfondire:
È difficile al momento decidere con chiarezza quali siano i modi migliori con cui esercitare la critica dei testi poetici dei moltinpoesia. Dobbiamo procedere per esperimenti, per tentativi. I dubbi ci sono. Valutando i risultati di questo primo esperimento del GRUPPO CRITICA, alcuni di noi hanno ritenuto troppo invasiva una critica che, in qualche caso, si è spinta a proporre persino la cancellazione di certi versi o a correggere singoli termini. E paventano il rischio che il critico pretenda di fare il professore e procedere in sostanza a una “correzione del compito”. Questo procedimento appare un oltrepassare il limite dell’accettabile.
Altri hanno fatto notare che i rapporti tra i partecipanti al Laboratorio non sono quelli gerarchici di tipo scolastico. E che, anche se non hanno il grado di confidenza e spregiudicatezza del rapporto di amicizia, come si suppone sia stato quello del già citato caso di Pound ed Eliot (ma, come si sa, anche nei migliori rapporti di amicizia s’insinuano gelosie e competizioni), la critica esercitabile nel Laboratorio MOLTINPOESIA potrebbe raggiungere un sempre più alto grado di libertà e di sincerità come nei veri rapporti di amicizia. Questo potrebbe portare a una riduzione dell’aggressività (di chi valuta) ma anche della permalosità di chi è valutato. Ci può/deve essere tentata la via di maturare assieme cooperando e scambiandosi con una certa reciprocità i ruoli: io valuto te oggi, ma tu valuti me domani. E così via. senza eccedere in ottimismi o pessimismi, bisogna imparare per tentativi ed errori a gestire anche le complesse e sfuggenti dinamiche emotive (o inconsce) tra gli io (i singoli partecipanti) e il noi (il gruppo che si presenta come un insieme, magari accentuando la sua omogeneità rispetto alle diversità presenti al suo interno)
C’è da capire che la coesione del gruppo e la soddisfazione delle attese di riconoscimento da parte del singolo partecipante sono esigenze a volte contrastanti e non complementari. Specie nel Laboratorio MOLTINPOESIA che ha fatto la scommessa di essere aperto a tutti. Questo non impedisce che il singolo possa avere aspettative che il lavoro di gruppo non riesce a soddisfare. Questo non impedisce che la critica, sempre comunque dialogante (d’obbligo in teoria nel Laboratorio fin dai suoi inizi), non raggiunga a volte toni aspri. O che certi giudizi sinceri ( o eccessivamente sinceri) possono ferire chi li riceve. O che certe ferite non possano essere lenite facilmente con un complimento.
Il problema resta aperto e irrisolto. I rischi ci sono. Gli appelli a un maggiore ascolto dell’altro, a una integrazione del lavoro di Laboratorio sui testi con momenti di convivialità o le proposte di sperimentare momenti di cooperazione poetica (sulla scia del tentativo già fatto di poesia in tondo) proposti durante l’incontro del 14 dicembre provano la consapevolezza di certi rischi. Certe critiche “forti” potrebbero risultare utili, indurre processi di maturazione, essere alla fine condivise dalla stessa persona che le ha subite come una “stroncatura”. Ma non tutti vivono le cose allo stesso modo. Non tutti hanno la stessa capacità di reagire positivamente a una frustrazione delle loro attese di riconoscimento. Non credo che bisogna sottovalutare il dramma personale, ma neppure la necessità che la critica dica delle verità. Non mi pare che in tutti questi anni il Laboratorio abbia praticato del cannibalismo critico. Ma il problema c’è.
Appendice:
Ed è per questo che in questa appendice, pubblico una testimonianza che rimanda a questi aspetti irrisolti e ad effetti non voluti del lavoro di critica del Laboratorio MOLTINPOESIA. Sfrondate da riferimenti più personali, trovate qui due mail inviate da Maria Dilucia, che ha partecipato per alcuni anni al Laboratorio MOLTINPOESIA e poi se n’è allontanata:
1. Maria Di Lucia a Tomaso Kemeny della Casa della Poesia:
«Le scrivo anche per quanto riguarda una mia risposta data in merito all'iniziativa della Molti in poesia [del Laboratorio MOLTINPOESIA] del 14 dicembre, gruppo a cui partecipavo sino alla fine del 2009.
L'iniziativa si intitola LA CRITICA NON UCCIDE [La critica non ammazza né la poesia né i poeti, anzi...]
Senza polemica ma solo per esperienza ho così risposto:
Sì invece, quando non hanno gli strumenti!
Quando si fanno critiche a casaccio, soggettive, frutto di stati d'animo o di pulsioni!
Sì che ammazza!
Ho visto ragazzi bravi e pseudopoeti che li stroncavano solo perché non li capivano!
E chi non ha gli strumenti quando non capisce dice che è sbagliato!
Il nuovo se non si ha sensibilità, i poeti dovrebbero averla, è difficilmente comprensibile.
Ovviamente ci vuole anche una buona dose di cialtroneria e malafede altrimenti ci si limiterebbe a dire che la cosa nuova non si capisce e non che è sbagliata!
Sia anche chiaro che non bastano nozioni scolastiche o lauree ma strumenti costruiti attraverso un lavoro di ricerche, studi, interessi letterari, sensibilità ma anche metodo.
N.b. Questa vuol essere una riflessione costruttiva e non una banale critica.
Spero che vogliate divulgarla come spunto di discussione.
Cordiali saluti
Maria Dilucia »
2. Maria Di Lucia a Ennio Abate:
Quante volte Ennio ho sollevato la questione del metodo nei nostri incontri? Quante volte ho sollevato la questione della conoscenza della storia della poesia: poeti, stili, correnti e altro, e dunque strumenti di paragone e di valutazione per poter fare una critica di una poesia e di un poeta? Perché altrimenti non può chiamarsi critica ma semplicemente e banalmente quello che più o meno piace, mi sbaglio? […] Non credi che nel gruppo vada fatto lavoro di studio sulla poesia? Non credi che bisognerebbe invitare un vero critico? Non credi che sia difficile che dei poeti possano dare dei giudizi oggettivi su altri poeti? Non credi che i giudizi dei poeti sugli altri poeti siano fortemente soggettivi? Soprattutto se parliamo di poeti alle prime armi. Non credi che un giudizio errato possa essere negativo per chi ha appena iniziato a scrivere e non ha ancora maturato una sua coscienza e consapevolezza poetica? Ho sollevato la questione della critica perché ho visto ragazzi, nel nostro gruppo ma anche in altri, con reali capacità a cui venivano sollevate critiche assurde e disorientanti sullo stile, sui termini usati e addirittura sulla mancanza dei segni di punteggiatura e per questo alla fine si sono giustamente allontanati! Critiche fatte da persone che evidentemente poco conoscono poeti, forme e stili contemporanei. Questo non è un modo per uccidere i poeti? Non credi che il modo di fare poesia di oggi non può che essere significativo del nostro contemporaneo e dunque risentire dei tempi, forme, stili, pensieri e parole dell'oggi?Alla luce di quanto detto sopra appare chiaro (per me) che il lavoro svolto dal Laboratorio MOLTINPOESIA ha risposto proprio alle esigenze di studio e di riflessione che Dilucia animosamente caldeggia. In questi anni abbiamo fatto numerosi incontri proprio su singoli poeti, cercato di inquadrare «stili, correnti e altro». Abbiamo fatto proprio «studio sulla poesia». E il «metodo» della libera discussione sia nella mailing list che negli incontri faccia a faccia in Palazzina Liberty credo abbiano garantito sia che le critiche non venissero fatte «a casaccio» sia che venissero corrette quelle più “stroncanti” o “aggressive”.
***
Ho promesso a Maria Dilucia che avrei reso pubblico il suo dissenso. E l’ho qui fatto.
Ma mi sento d’aggiungere che nel Laboratorio MOLTINPOESIA non abbiamo mai “ucciso” con le nostre critiche nessun poeta né giovane né vecchio. Quanti si sono allontanati dopo una fase iniziale attiva l’hanno fatto per altre ragioni, spesso non spiegate. Probabilmente avevano aspettative che non si conciliavano con il lavoro svolto dal Laboratorio. Se poi non abbiamo avuto finora «un vero critico» nel nostro Laboratorio ( ma almeno Leonardo Terzo lo è!), è perché – come detto - i “veri critici” (accademici, consulenti di case editrici) sono ben poco disposti a “perdere tempo” con il nostro Laboratorio e i moltinpoesia in genere.
Se infine Dilucia, lasciandoci, ha trovato luoghi dove questi problemi sono affrontati meglio di quanto fatto dal nostro Laboratorio, ce li indichi. Saremo felici di conoscere, confrontarci e imparare.
5 commenti:
Credo si debba chiarire in cosa consiste la critica della poesia che, a mio avviso, non è esattamente la critica sulla poesia.
Mi spiego con un esempio. Quando un poeta scrive d'amore, e quanti l'hanno fatto, scriverà della solitudine, della bellezza, del sentimento, delle gioie e delle tristezze della relazione. Non solo, ma anche della luna, dei luoghi, degli oggetti nelle case, delle persone, dei volti... quando il poeta scrive fa sempre della critica, ma se permettete è una critica che va ben oltre le faccende intrinseche alla scrittura. Questo se intendiamo la critica come l'azione del considerare, riflettere, notare o vedere, contestualizzare, isolare, oltre naturalmente al dire-non dire, desiderare... La critica del poeta va ben oltre ed è rivolta all'esistere. Per farlo ha tutto l'universo a disposizione, e pazienza se qualche critico d'altra specie non ci sta.
Serve ricordarlo, se no si lascia spazio a quanti fanno notare solo l'improvvisazione, l'approssimazione, la poca cultura, l'esibizionismo, l'autocompiacimento e così via.
Detto questo magari poi parlerò dell'altra critica, quella sulla poesia. Non se ne abbia a male Ennio, gli voglio bene e intuisco le sue nobili intenzioni, ma dovrebbe sapere che se non si chiariscono i presupposti, poi si finisce nell'astrazione. Fare critica distinguendo forma e contenuto è analizzare, esattamente come fanno gli scienziati attorno al capezzale di un malato. Perché qui si fa intendere che qualcosa non va, lo leggo nei numerosi interventi riportati di Fortini, ad esempio. E anche da alcune citazioni prese da Majorino. La critica all'esistere prevede che l'impegno sociale della scrittura sia una conseguenza, una scelta, non una primaria necessità. Quanto alla forma, non ricordo quando fu dato il fischio d'inizio, forse per la nostra poesia moderna avvenne negli anni '70, credo ci si muova nel "liberi tutti"; o meglio potrebbe essere così, ma noto che le poesie che leggo ora sono tutte scritte quasi sempre in modo ordinato, visivamente ben composto. L'endecasillabo non la fa più da padrone, ma i poeti mi sembrano lo stesso prudenti. L'impressione è quella che ho avuto a New York quando per la prima volta sono finalmente entrato in uno di quei locali famosi per il jazz, credevo chissà che e invece mi sono sentito nel silenzio e nella compostezza di una chiesa.
mayoor
Ennio Abate @ Lucio
Anche tu non avertene a male, se ti dico che caschi più tu che io nell’astrazione, saltando a più pari tutti i problemi concreti emersi dal lavoro del nostro GRUPPO CRITICA e dalla discussione avvenuta il 14 dicembre alla Liberty.
Io non ho «nobili intenzioni». Semmai trovo troppo “nobili” e non motivate e non dimostrate affermazioni come questa tua: « quando il poeta scrive fa sempre della critica, ma se permettete è una critica che va ben oltre le faccende intrinseche alla scrittura.
La critica del poeta va ben oltre ed è rivolta all'esistere
Per farlo ha tutto l'universo a disposizione».
Mi metto volentieri disteso sul letto dell’Ospedale per Critici d’altra specie e vorrei che me la spiegassi «esattamente come fanno gli scienziati attorno al capezzale di un malato»
Con simpatia.
E' facile: la poesia è critica verso la vita, la indaga, la scopre... è il contrario del lasciar correre. Per questo sostengo che ogni poesia è critica per sua natura. Contiene valori umani, è indagine, è soffermarsi. Sui grandi problemi come sulle inezie. Magari queste ultime non sono gradite? Epperò ci sono anche queste nella vita. Poesia come critica dell'esistere, direi.
Poi, certo, c'è la critica della scrittura perché la scrittura è l'arte, il fare. La critica tra poeti è confronto, per questo dovrebbe essere diversa da ciò che fa il critico con il poeta. Mi piacerebbe che tra poeti ci fosse un confronto da ciabattini. Quando ti succede di scrivere? Dove ti siedi, se ti siedi? Assecondi l'ispirazione quando arriva oppure hai fiducia che sia sempre possibile? Hai sempre chiaro in testa cosa stai per scrivere? Scrivi quando vuoi dire di una tal faccenda oppure ti lasci andare aggrappandoti sapientemente alla penna come fosse un remo? Importa cosa leggi oppure ti basta di sentire, per esempio, della musica? Non scrivi se non ti senti abbastanza arrabbiato? Non scrivi se ti senti arrabbiato? Te ne freghi e scrivi comunque? Oppure scrivi ogni volta che ti capita di dover aspettare, dal dentista, sotto la pensilina del tram? Scrivi a qualcuno? Scrivi per qualcuno? Contro qualcuno? Vai a capo a casaccio? Dai retta alla musicalità dei versi? Vedi che le parole si chiamano l'un l'altra, ma preferisci scegliere? Pensi che ci sia un rapporto possibile tra la neve e berlusconi? Ci sono parole che tieni a bada e che non vorresti scrivere mai? Oppure ti senti così bravo da poterle accogliere tutte?
Mi viene in mente Mondrian ( provengo dalle arte visive, non dalle lettere). Sapete che era un mistico e che pensava di trasmettere importanti messaggi spirituali? Eppure questa è l'ultima cosa che viene in mente a chi guarda i suoi quadri. A me fa pensare ai disegni di Paperino. Un critico che gliel'avesse detto, che i suoi quadri hanno misteriosamente altre valenze da quelle che lui intendeva, chissà come l'avrebbe presa. E' per evitare questi inconvenienti che si dovrebbe dare retta alla critica? Lascio senza risposta...
mayoor
Ennio Abate@
“Se infine Dilucia, lasciandoci, ha trovato luoghi dove questi problemi sono affrontati meglio di quanto fatto dal nostro Laboratorio, ce li indichi. Saremo felici di conoscere, confrontarci e imparare”.
Sono convinta che Moltimpoesia non ha nulla da invidiare ad altri luoghi e ad altre individui. Sono sicura che molte persone preparate, o semplicemente ricche di nozioni, tengono d’occhio il blog e vanno anche a leggere puntualmente quello che si scrive per individuare le tendenze e prendere persino qualche idea. “Se poi non abbiamo avuto finora «un vero critico» nel nostro Laboratorio ( ma almeno Leonardo Terzo lo è!), è perché – come detto - i “veri critici” (accademici, consulenti di case editrici) sono ben poco disposti a “perdere tempo” con il nostro Laboratorio e i moltinpoesia in genere”.
Gli accademici e i consulenti di case editrici sono dei mercanti senza cuore legati soltanto al business e frequentano i loro pari. Caso strano, vanno spulciare nei siti del popolo per prendere persino qualche modello. Sono buoni soltanto a fare il lavoro di dirottamento nelle scelte di certi lettori perché a monte c’è l’interesse economico.
Come dice Dilucia …il modo di fare poesia di oggi non può che essere significativo del nostro contemporaneo e dunque risentire dei tempi, forme, stili, pensieri e parole dell'oggi. Quindi non facciamoci troppi problemi. Ascoltiamoci e ascoltiamo con attenzione le opinioni degli altri perchè hanno sempre qualcosa di buono su cui far riflettere.
Giuseppina
Apprezzo le parole di Ennio e ne traggo grande insegnamento. Ammiro la schiettezza di Ennio e spero che tutti abbiano capito che la critica, se la vogliamo, deve essere sincera. Quello che non sopporterei mai è la critica sottomessa alla politica, critichiamo la politica se è il caso, critichiamo la poesia se lo sappiamo fare altrimenti limitiamoci a fare dei commenti personali e buonanotte suonatori. ciao Emy
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