mercoledì 6 aprile 2011

CRITICA
Ennio Abate e Tito Truglia
Sull'antologia "Calpestare l'oblio"













Ieri  5 aprile 2011 allo SPAZIO TADINI in Via Jommelli 24 a Milano, organizzato da Adam Vaccaro di MILANOCOSA, c'è stato un incontro per discutere di "Calpestare l'oblio" un'antologia - così recita l'annuncio pubblicato sulla stampa nazionale - di "Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana" curata da Valerio Cuccaroni, Davide Nota e Fabio Orecchini. 
Pubblico qui  il mio intervento e quello di Tito Truglia di FAREPOESIA [E.A.]

Intervento di Ennio Abate alla presentazione di «Calpestare l’oblio» allo SPAZIO TADINI  di Milano (5 aprile 2011)

 Gentili autori e organizzatori di CALPESTARE L’OBLIO,
 sono del ’41. Da vecchio, dunque, scrittore quasi clandestino e militante in proprio fuori da qualsiasi partito, ragionando sulla base della storia del Novecento e di quella italiana del dopoguerra (in particolare degli anni Settanta), mi permetto di porvi due domande: 
- quale oblio ha da essere oggi calpestato?
- lo si può calpestare solo in poesia, soltanto con la poesia?

 Vi anticipo, in attesa di vostre risposte, le mie:
- in questo Paese l’oblio non è caduto soltanto o soprattutto sulla Resistenza e la Costituzione, come sostenete nell’introduzione del libro e in vari testi antologizzati, ma sulla lezione profonda di Marx e sulla storia del comunismo novecentesco - terribile sì, ma non cancellabile o surrogabile dall’apologia, quasi sempre in piatto “americanese”, della democrazia;
- ad obliare non sono stati solo i poeti o i leader politici e intellettuali viventi (della sinistra in primis), ma anche quella parte della popolazione che una volta poteva ancora a buon diritto essere chiamata ‘popolo’ o ‘di sinistra’;
- se l’oblio è tanto diffuso e generale, non si può semplicemente “calpestarlo”, ma si dovrà capirne  tutti insieme (e non solo i poeti) le ragioni e intervenire - se possibile - sulle cause che l’hanno prodotto: non può esserci nuova “poesia civile” se, come a me sembra, è venuta meno  ogni forma di polis e, quindi, sono venuti meno quegli attori sociali una volta – oggi non più – indicati coi nomi di  ‘citoyens’, ‘popolo’ o ‘società civile.
Pur riconoscendovi, dunque, il merito - non trascurabile in un periodo di coma della cultura - di aver raccolto il grido di dolore  di tanti poeti (da Roversi ai giovani esordienti) e costruito un libro – dico io – di “quasi poesia civile”, non vi nascondo la mia disapprovazione per l’operazione di mero assemblaggio. Non posso qui argomentare  a fondo il mio severo giudizio. Mi limito ad alcuni accenni:
1. Riunendo (non so se una tantum o in modo più continuativo) voci disparate attorno a un discorso di vago antiberlusconismo,  individuando un ostacolo indefinito, che voi chiamate «ideologia della separazione, anche culturale», agitando l’ideale di una mai esistita «officina culturale italiana, fatta di continuo scambio tra libero giornalismo, libero movimento intellettuale e artistico, libero mondo dello studio, della ricerca, dell'università», siete stati e sarete coccolati e applauditi. Oggi essere confusamente antiberlusconiani, plurali o pluralistici, anti-ideologici è quasi d’obbligo. Questi i login giusti per accedere ai giornali “di sinistra”. Questo l’unico dissenso che i sacerdoti della nostra disfatta Cultura  tollerano e, dunque, concedono.
 2. Come non vedere, però,  nella vostra scelta la rinuncia a pensare quali debbano essere le condizioni per la nascita di una vera,  non ornamentale e tutta da ridefinire “poesia civile”? 
Io la vedo. Altri - anziani quanto o più di me – tacciono in nome del “largo ai giovani”. Eppure sanno che la poesia (o una possibile “poesia civile”) non si fonda su ragioni contingenti né  può limitarsi a  dire un NO, del resto più moralistico che politico,  unicamente al personaggio-mostro-maschera, che in Italia porta il nome  del signor B. 

3. I veri nemici o i falsi amici della poesia (o di una possibile “poesia civile”) non sono mai solo i “nemici della cultura”, non sono mai solo televisivi e soltanto “mostri”. Gestiscono affabili e seri, da destra e da sinistra, al livello locale e globale, un sistema che opprime milioni di persone. Li individuereste, se nel vostro lessico quotidiano (e, perché no, nei ragionamenti e poi nei versi) agissero parole-concetti per dire la realtà: come  'capitale', 'capitalismo', ‘rapporti sociali capitalistici’, non a caso termini epurati anche dal lessico dell’attuale sinistra che vi ha sponsorizzati.
 4. Ignorando o rinunciando invece agli interrogativi  più ardui, le vostre poesie oscillano per lo più - questa l’impressione ricevuta leggendole - e oscilleranno  tra un intimismo  dell’io apolitico e una retorica indignazione mutuata dall’antifascismo di nonni e  padri resistenziali, purtroppo diventato mito inerte e  scheletro nell’armadio della cultura italiana, come già denunciò nel lontano 1965  Franco Fortini in «Verifica dei poteri». 
 5. Con tale mito in testa  è fin troppo  agevole - come  si può vedere - scorgere reincarnazioni di fascismo  e di Hitler, dove c’è forse tutt’altro. Un “tutt’altro” su cui dovremmo interrogarci  seriamente, senza paraocchi. E che invece gli USA, l’Occidente e l’attuale cultura italiana non vogliono vedere né permetterci di vedere, preferendo seppellirlo in anticipo sotto le bombe “umanitarie” della “democrazia”.
Con tale mito in testa e l'avallo dei grandi nomi della cultura e della politica – ieri di Norberto Bobbio, oggi  addirittura del presidente della repubblica Napolitano - non si ripara lo sfascio dell’Italia, ma lo si prolunga, condannandola a partecipare  - in subordine  e paradossalmente in nome di una Costituzione che ripudia la guerra -  a guerre non chiamate più con questo nome: dalla prima del Golfo del 1991, a quella per spartirsi la Jugoslavia e ora  all’ultima in corso in Libia. 
 6. Date tali premesse - esplicite o implicite – del vostro calpestare l’oblio, nessuno dei vostri versi, nessun bello slogan (come quello che dà il titolo alla vostra antologia), nessun «osservatorio sulla questione culturale, scolastica, artistica, giornalistica», pur da voi auspicato, vi permetterà di osservare, fosse pure dalla condizione di testimoni secondari (Cesare Cases), l’orrore del presente – questo, sì, ideologizzato, spettacolarizzato e obliato, ancor più di  quello del passato. Per responsabilità - ripeto -  non solo delle élite culturali e politiche, ma  dei milioni di io/noi atomizzati dalle nuova divisione mondiale del lavoro e che si spappolano ulteriormente  tutte le sere davanti alle TV.
 Concludo. Vi ho detto qual è  per me l’oblio (di oggi e di ieri) da combattere, per riempire di nuovi significati e non di belle parole il vuoto lasciato  dal Conflitto Sconfitto. Quelli che hanno tuttora qualche suo ricordo, ripartano almeno da alcune delle «nostre verità», come le chiamò Fortini. Gli altri si cerchino altri padri,  diversi da quelli democratici. Recuperino o imparino ad ascoltare voci chiaramente anticapitaliste e anticolonialiste. Ad esempio, rileggano o leggano per la prima volta, l’intervento di un B. Brecht al Congresso internazionale degli scrittori del 1935.
Il poeta tedesco, distanziandosi da un antifascismo anche allora miope sulle questioni essenziali e preoccupato soltanto della “difesa della cultura”, scriveva: «Si abbia pietà della cultura ma prima di tutto si abbia pietà degli uomini! La cultura è salva quando gli uomini sono salvi. […] Compagni, pensiamo alla radice del male!».
Ecco, in questi giorni che stanno sconvolgendo il Maghreb e la Libia, l’invito è a interrogarsi, fosse pure balbettando, sulla «radice del male».
Tentiamo di nominare ciò che oggi manca: a noi poeti, a quelli che  vivono in Italia e a quanti - schiuma di storie a noi sconosciute -  arrivano fino a Lampedusa.


 Intervento a cura di Tito Truglia a nome della redazione della rivista Farepoesia per la presentazione milanese del progetto “Calpestare l’oblio”.


CLO [Calpestare l’oblio]ha avuto diversi meriti: 1) ha dato evidenza alla problematica della “separazione”; 2) ha posto il problema degli spazi dove agire per attivare un critica culturale e politica; 3) ha posto il problema della necessità della messa in rete delle opposizioni. Ma soprattutto ha il merito di aver avvicinato due categorie che da troppo tempo viaggiano separatamente: la poesia e la politica. Beninteso tutte cose non nuove e che singolarmente in molti hanno praticato anche negli anni bui del berlusconismo. Ma il merito di aver rotto il silenzio su questi temi è innegabile.
È quasi una fortuna (in questo contesto) non dover fare snervanti disquisizioni sullo specifico o sugli statuti disciplinari. Accertato che ogni disciplina ha, e deve avere, una propria dotazione strumentale e un proprio percorso di approfondimento (lo specifico), è, credo, un altro assioma da non dimostrare la necessità di collegamento tra arte e vita, tra arte e politica ecc. 
La proposta concreta che viene da CLO è la struttura dell’osservatorio. Bene, anche su questo punto.
Il campo su cui applicare le attività dell’osservatorio è però vastissimo, comprende necessariamente ambiti diversi e deve riassumere diversi punti di vista, senza i quali un discorso serio sulla cultura rischierebbe di diventare astratto o semplice gioco spettacolare. È chiaro che parlare di cultura significa parlare anche di economia, di politica, di potere, eccetera eccetera.

Ad ogni modo è sicuramente un punto di partenza positivo quello di riunire i vari soggetti e tentare di recuperare la loro singolare capacità di analisi. Positivo è anche l’obiettivo di costituire una mappa, che, seppur incompleta e parziale, possa dare qualche elemento più fondato alla critica e all’azione rispetto all’esistente.
Qualsiasi movimento di opposizione deve fondarsi sui dati della realtà e quindi in questo senso e giusto partire da una osservazione il più approfondita possibile.
 Ma detto questo dobbiamo sottolineare che qualsiasi ricerca analitica deve avere uno sbocco in obiettivi concreti di produzione artistica e di azione culturale/politica.
 Quindi il maggior lavoro direi che deve spostarsi sul piano dell’azione, o se volete della produzione di pensiero critico, di produzione creativa, di produzione di comportamenti e di realizzazione di opposizione concreta.
Sottolineo in questo senso l’importanza della progettazione e della finalizzazione.
 Suggerimenti?
Anzitutto dovremmo lavorare maggiormente sulla connessione delle persone, dei soggetti, dei gruppi. Non dobbiamo fare l’errore di dare “la relazione” come un dato di fatto. Apparentemente quando riusciamo a ritrovarci sembriamo tutti affini e concordi, ma in realtà la “separazione” agisce internamente e basta poco ad essere catapultati nella dimensione del non dialogo, dell’estraneità, della separazione. Forse non riusciremo più a riconoscere noi stessi come “classe”, e forse neanche come comunità di artisti, ad ogni modo dovremmo cercare di ridurre al minimo la nostra particolare interpretazione della realtà che realizza molto spesso il punto di vista isolato. Voglio dire che dovremmo reimparare a riscoprire le nostre similitudini. L’ipersviluppo, l’automazione, comportano un restringimento qualitativo del nostro io. Strumentalmente abbiamo tutto per condurre una buona vita, comoda, tutta a portata di click. Ma la nostra qualità è viziata dall’interno. In questo contesto siamo come animali rinchiusi in uno zoo.
Insomma dovremmo lavorare sui nostri reali bisogni, sulle nostre reali necessità e dunque sulla nozione di qualità della vita e perché no (?), anche sul tema della felicità. In genere a questa ipotesi si obietta che la falsità e l’illusione sono dati strutturali della realtà. Ma anche se fosse vero, comunque si  tratta di scegliere in libertà e con ragionevole coscienza quale illusione sia adatta in una determinata contingenza.
 Insomma…
Dovremmo smettere di vivere in uno stato di “dispersione” più o meno permanente e poi far finta di essere sani (come cantava il buon Gaber) in una qualche apparente comunità nel solito locale alternativo o nella solita piazza estiva o partecipando  all’ultimo Slam Poetry, o magari… prendendo parte all’ennesima assemblea di “Calpestare l’oblio”...
Tutto estemporaneo, momentaneo, confuso. Uno stile connesso alla dispersione e alla separazione. In questo senso bisogna lavorare sul riconoscimento e sulla reciprocità. In questo senso penso sia ancora attuale il messaggio dell’arte sociale lanciato da Joseph Beuys negli anni Settanta. In questo senso è necessario affermare che occorre ripartire dalla realtà, ma è necessario riscoprire dei comportamenti di reale empatia, di pathos umano. E’ necessario porre la finalizzazione di un lavoro di analisi e di ricostruzione che deve condurre verso una proposta sul piano sociale.

Suggerimenti?  Si, bisogna attivare comportamenti che abbiano una ampiezza, una densità forte. Attivare relazioni. Attivare spazi realmente sociali. In questo senso la poesia può avere un ruolo enorme. Abbiamo in mano uno strumento  antieconomico per eccellenza, riusciremo ad usarlo in maniera efficace?
Parliamoci chiaro, il virus dello spettacolo si insinua anche nella parola. E cosa dire del “protagonismo” malattia infantile del fare poetico???
Ma la parola poetica ha una dimensione temporale e spaziale che permette di aprire squarci di umanità.
 Detto questo, e concludo, vorrei sottolineare la necessità che abbiamo di attivare concretamente delle situazioni che permettano una migliore produzione artistica, una significativa produzione di pensiero critico, una ricerca reale sui comportamenti alternativi alla separazione in atto.
 Per scendere ancora di più nello specifico. La modalità assembleare itinerante mi pare positiva. Altrettanto importante l’attivazione di nuclei locali che progettino incontri sia sul piano della riflessione che nella presentazione di produzioni artistiche.
 Ma tutto questo bisogna realizzarlo a partire da una progettazione a lunga scadenza e da una azione e da una presenza quasi quotidiana.
Nella speranza che il trentennio dell’edonismo sfrenato abbia una degna conclusione con le meravigliose carnevalate di Silvio B.,  si riprenda l’attivismo politico inteso nel suo senso migliore, non da urlante tifoseria e neanche da pezza d’appoggio ad uso e consumo dei partiti del centrosinistra. Dobbiamo riscoprire un attivismo, radicale e feroce, nuovo e non ideologico, pacifico ma determinato che metta insieme pensiero critico, produzione artistica e azione direttamente politica. Che abbia una proposta organica, di società, o per lo meno di riforma concreta, comportamentale, delle linee di potere che agiscono oggi, in questa realtà. Non ci stancheremo di dire che probabilmente non ci sarà soluzione ai problemi posti sul tappeto, ma di certo, anche per noi, deve valere il principio metodologico dell’organizzazione. “I proletari non hanno che un’arma: l’organizzazione!” (Lenin).



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sento un pò male
quando il pathos mi assale
non per tutti è uguale
mi sento d'esservi amica
non voglio legarmi le mani
non voglio pensare a un tremendo domani
se questo domani mi accende e mi attizza
allora vediamoci per una pizza.

poetucola Emy

Anonimo ha detto...

L'Ineffabile ha diciotto anni di vantaggio ( tanti ) e la Sinistra , anche quando è stata al potere , non solo non è stata capace di opporre alternative culturali adeguate , ma in nome dell'audience ha fatto come e peggio del Padrone.
Morale: una vera e propria mutazione antropologica : i valori sostituiti dal consumo , l'essere con l'apparire ; moltitudini colonizzate / clonate / anestetizzate dalla pervasività che conosciamo .
Le ricadute sulla poesia si sono viste : incapacità di lettura dell'Altro , del Mondo ; gnoseologia inesistente , culto dell'ego , minimalismo in tutte le sue declinazioni ecc.
E' mancato purtroppo un nuovo Pasolini a fare da contraccettivo e i poeti hanno ripiegato su una sorta di autoascultazione vana/ effimera mediata dai propri soprassalti psichici e dalla cultura del " male di vivere" di buona memoria ; tutte opzioni legittime ma fuori dalla Storia e dalla realtà becera di questi anni .
Hanno continuato a battersi le mani e a scambiarsi favori in un infinito "oggi" feriale e dispersivo di dame e cicisbei dediti soltanto alla propria rendita di posizione .
I veleni capitalizzati dal Potere a suo uso e consumo sono stati ampiamente metabolizzati e restituiti con imbelle generico disagio esistenziale buono per le accademie ingessate/impaludate ma soporifero per le coscienze.
I poeti ripetono oggi , come se niente fosse , la stanca maniera di se stessi ; quando ogni incontro dovrebbe essere un atto di opposizione alla miseria dei tempi : poesia come "critica" ( Octavio Paz ) , ribellione civile , indignazione , e soprattutto fervore propositivo . Quindi ben venga quella modalità assembleare itinerante che suggerisce Abate contro il torpore micidiale delle coscienze , contro l'inerzia di chi sa usare le parole e non trova lo scatto interiore per adire alle parole l'umano e il civile che le fa esistere e durare . Diamoci da fare, porca miseria !

leopoldo attolico