domenica 11 marzo 2012

SEGNALAZIONE
Marco Cetera
Come non detto

Per leggere il suo poema musivo ipertestuale clicca sotto:
Prove tecniche di es-autor-azione.
«Uno dopo l’altro, da Dostoevskij a Mike Bongiorno, da Heidegger all’Uomo Ragno, ho tradito tutti. Con inaudita violenza ho usato le loro parole contro la loro stessa volontà e le ho disposte secondo un nuovo ordine narrativo, il mio. Ho ricondotto le parole alla loro irriducibile singolarità di evento: esse non sono più la manifestazione di un significato originario più profondo, ma vengono pensate e adoperate semplicemente nella loro esoscheletrica presenza. Espressioni svuotate, rese monche, incrinate, modellate secondo le regole di un gioco che mira innanzitutto a svelare ciò che si cela dietro la loro significante apparenza: l’assenza dell’autore. Il significato, così smascherato ed esautorato, si irradia anarchicamente in tutte le direzioni. Esplode, senza più alcun bisogno di verità. Pronto ad essere usato a mio piacimento. In questo senso, Come non detto è la prova ontologica che decreta, in modo tangibile ed empirico, la morte dell’autore. Una morte violenta. Perché dietro il suo decesso (decostruzione & decomposizione) si cela un altro autore. Io, un assassino. Condannato all’eterno ritorno di un patricidio.»

Marco Cetera, nato a Castellaneta il 15 ottobre 1974. Maturità classica, laurea in filosofia (Bari), master in scrittura pubblicitaria (Roma). Nel 2001 si trasferisce a Milano e lavora in diverse agenzie pubblicitarie come copywriter, partecipando all'ideazione e alla realizzazione di importanti progetti di comunicazione di respiro internazionale. Dal 2010, vive e lavora a Trieste in una ventosa agenzia creativa che vende idee e boccate d'ossigeno.
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POSTFAZIONE

Dieci e frode
di Marco Cetera

Cos'è Come non detto? Scartabellando nella memoria tra tutte le riflessioni che hanno accompagnato la redazione di questo piccolo pasticcio letterario, ne ho trovate dieci che forse possono servire a illustrarne il (non)senso.
1. Esperimento di scrittura musiva.
Come non detto è un mosaico. 2000 citazioni-tessere (lessie) per un totale di 2332 versi. Parole d’altri, minuziosamente ricomposte in un gioco di incastro che dà forma a un articolato intreccio polifonico di voci. Una specie di ready-made poetico che preleva i suoi pezzi dalla discarica indifferenziata della letteratura. Letteratura alta, bassa, giuridica, religiosa, filosofica, scientifica, artistica, storiografica, lirica, rosa, noir. Eccetera eccetera.
A livello formale, l'esperimento si ispira a quel vasto filone d'arte d'avanguardia che va dai papiers collés dei cubisti agli assemblage del Neodadaismo, della Pop art e del Nouveau realisme. Ancora maggiore è il debito nei confronti della poetica combinatoria di Nanni Balestrini: «per me il montaggio è la resurrezione» (Caosmogonia, Fino all'ultimo, 2). Ma con un'evidente differenza rispetto alle manipolazioni balestriniane: Come non detto prevede anche il palesamento della fonte di ogni singola citazione. Promuove un enciclopedismo pedagogico. Come se l'opera volesse predisporre un mini kit culturale di sopravvivenza. Aperto a tutti. Per resistere al depauperamento del sapere imposto dall'industria della comunicazione. Pratica preliminare di resurrezione.
2. Percorso didattico virtuale per scuole medie superiori.
Basta soffermarsi sull'autore di ogni singola lessia, per comporre la basilare costellazione di un sapere che spazia dalla letteratura alla fisica teorica, dai fumetti alla filosofia (cfr. Indice tematico). L'ideale per costruirsi dei punti di riferimento, piuttosto generici, e iniziare a muoversi nel vastissimo orizzonte della conoscenza.
Ho privilegiato i Grandi (gli autori eletti nella mia ideale biblioteca universale), ma non è raro imbattersi in parole o in frasi tratte da libri a dir poco epigonali, usate qua e là per chiudere le intercapedini del discorso.
La manifesta sovrabbondanza di autori italiani non nasce da un disegno premeditato ma, evidentemente, dalle circostanze. Come non detto è un’opera in italiano. E a ben vedere, anche quando cito Saul Bellow, in realtà uso sempre e comunque le parole del traduttore italiano di Bellow.
3. La più lunga lettera anonima della storia.
E a un certo punto compare la busta, in bella vista sotto la porta di casa. Al suo interno, un foglio di dieci metri ripiegato su se stesso almeno 50 volte, su cui sono state meticolosamente incollate le parole e le frasi ritagliate da duemila libri. La lettera non contiene minacce o avvertimenti, ma solo la cronaca in versi di una giornata vagamente kafkiana. Anche questo potrebbe essere Come non detto, nella sua versione cartacea.
4. Gioco ozioso di sprofondamento semantico.
Attraverso il lessico posticcio delle sue lessie, Come non detto non si limita a usare il significato vocabolariesco delle parole ma tira in ballo la semantica dell'autore a cui quelle parole sono state estorte.
Per esempio: «non».
Secondo il vocabolario è un avverbio che normalmente nega o esclude il significato espresso dal verbo cui è premesso. Ma se a usarlo sono Toni Negri e Michael Hardt (lessia 26, capitolo 1), questa minuscola particella del discorso subisce un ampliamento di significato, inizia a evocare un orizzonte concettuale più ampio. Il non sembra chiamare in causa l'idea stessa dinegativo, momento dialettico marxisticamente decisivo, l'unico in grado di promuovere la critica della società e dei suoi valori. Per di più, è un non pronunciato da una coppia, e quindi ancora più contraddittorio.
Oppure: «in quel posto».
Un banalissimo complemento di stato in luogo che, tuttavia, può alludere a una destinazione topografica ben più turpe e straziante – anale – dal momento che è tratto dal lessico malato del Superwoobinda di Aldo Nove (lessia 1908, capitolo 10).
Ma questi non sono che due esempi.
In realtà, ogni lessia di Come non detto si presta a questo intrattenimento semantico. Le regole del gioco sono le seguenti: 1) raccogliere nella memoria tutte le possibili informazioni, gli aneddoti, le dicerie e i pregiudizi sull'autore della lessia, 2) inventarsi letteralmente un significato sulla base di questa ricognizione e, soprattutto, 3) ignorare del tutto il (con)testo originario in cui quelle parole sono state usate.
5. Storia fantarcheologica di versificazione.
Lo scenario è apocalittico. Pioggia radioattiva incessante. Rovine di una biblioteca incendiata, con libri anneriti nelle pozzanghere. Scaffali ribaltati. La pianta esagonale delle sale della biblioteca lascia intuire che si tratti proprio della Biblioteca di Babele di cui narra Jorge Luis Borges nelle sue Finzioni.
A quanto pare la Biblioteca (che altri chiamano Universo) ha un'estensione e una capienza infinite: raccoglie sui suoi scaffali interminabili tutti i libri scritti dall'uomo. E anche quelli che deve ancora scrivere. O che non sa di aver già scritto, anche se solo potenzialmente.
Si tratta di un numero infinito di opere composte da tutte le combinazioni possibili dei 25 simboli ortografici, in tutte le lingue. La Biblioteca, quindi, contiene in forma stampata tutto lo scibile umano. O sarebbe più corretto dire, conteneva.
Adesso che è solo un ammasso di rovine, di quel sapere non è rimasto che qualche frammento bruciacchiato.
Un essere dalle strane sembianze, decisamente non umane, si aggira a testa bassa tra i resti dei tomi. In lontananza si intravede il suo ufo tutto illuminato che l'aspetta. Di tanto in tanto, l'alieno si piega a raccogliere dei pezzi di carta, gli unici dai quali siano ancora distintamente leggibili dei caratteri tipografici. Prima della ripartenza verso ignote galassie, l'extraterrestre raccoglie 2000 frammenti di quella che gli uomini chiamavano letteratura. A stento ne capisce il significato, anche perché ignora totalmente l'intenzione dei suoi autori.
Un giorno li metterà insieme, componendo un'oscuro poema musivo dal titolo Come non detto.
6. Verbale di una possessione medianica.
Come non detto potrebbe anche essere la trascrizione fedele di una seduta spiritica. Io, il medium. Seduto al centro del tavolo tondo, con le mani aperte distese sul piano di legno, entro in trance. Le pupille si rovesciano, le labbra si dischiudono e dalla bocca fuoriescono gli spiriti di duemila libri letti nel corso di una vita.
7. Dramma della speculazione in un atto unico.
Al Teatro alla Scala di Milano ci sono solo 13 posti vuoti. Gli altri duemila*, disposti tra la platea, i quattro ordini di palchi e le due gallerie, sono occupati da altrettanti attori. In rapida successione, ogni attore declama una lessia di Come non detto dando libero sfogo alla propria personale interpretazione del personaggio (che potrebbe essere l'autore della lessia o il narratore del testo da cui la lessia è tratta; nulla vieta che l'attore impersoni se stesso o un qualsiasi altro individuo da lui conosciuto, sognato, inventato).
Al centro della scena, seduto nella penombra del palcoscenico deserto, un unico spettatore.
Come non detto costituisce il testo di una pièce teatrale che ribalta la prospettiva drammaturgica attore-spettatore e mette in scena (e in platea e in galleria) la metafora del sistematico defraudamento (es-autor-azione) letterario operato dal lettore nei confronti dello scrittore.
* La capienza del celebre teatro milanese è di 2.013 posti.
8. Apologia della balbuzie.
Duemila ripetizioni possono generare una novità.
9. Sgarabazzi! Sbrodeghezzi!
Al barildim gotfano dech min brin alabo dordin falbroth ringuam albaras. Nin porth zadilkin almucathim milko prim al elmin enthoth dal heben ensouim: kuth im al dim alkatim nim broth dechoth porth min michas im endoth, pruch dal maisoulum hol moth dansririm lupaldas im voldemoth. Nin hur diavolth mnarbothim dal gousch pal frapin duchi m scoth pruch galeth dal chinon, min foulthrich al conin butathen doth dal prim. Zanij. Ysuwu dwu pn ywlbqx lp vlbylnp. Fanal impasizione craccalini und gattotopia mri bubbolo pelone, scherzetto. Cdh jeheun o najsb ajhns iii ooo www djnkfll. (cfr. la lessia 1241 del capitolo 5 e le lessie 1402-1403 del capitolo 6).
10. Paranoia, impura e semplice.
Parlare, parlare, fingere di parlare. Ma per dire cosa? Bisogna innanzitutto trovare qualcosa da dire. Per il momento mi sembra che non ci sia più niente da aggiungere. Queste parole in calce, infatti, non possono considerarsi a pieno titolo un’aggiunta, perché anch’esse in un certo senso s’inseriscono nella grande archivio delle cose già dette. Più o meno male-dette.
È del tutto certo, infatti, che anche questa psuedo postfazione non sia altro che un collage di parole già dette. Tutto è stato detto, io sono stato già detto. E ho la netta sensazione che qualcuno, dietro di me, abbia già iniziato a ripetere quello che sto per dire.



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