Partiamo dalla
proposizione «Siamo usciti dal Novecento» che molto spesso si trova pronunciata
dagli autori delle ultime generazioni. Che cosa significa essere usciti dal
Novecento? Che cosa comporta trovarsi nel mezzo del guado dell’«Ignoto»? Hanno
coscienza i nuovi autori di questa Antologia di ciò che comporta l’essere
usciti dal Novecento? - Giampiero Neri e
Vincenzo Mascolo hanno lavorato sodo, hanno consegnato alle stampe questo
tomo di 274 pagine che raccoglie «alcune
tra le voci poetiche più interessanti di oggi. Non un’antologia…», come è
scritto nella brevissima introduzione, appena un cenno e via. Eppure, ci
sarebbe stato bisogno di spiegare le ragioni che militano in favore
dell’esistenza di questa cospicua schiera di autori presentati. Se davvero la
poesia ha, oggi, diritto all’esistenza, dico una esistenza reale e
significativa per dei lettori che cercano esperienze linguistiche
significative.
Il problema, credo, che si pone (implicitamente) dinanzi a questi giovani (e alcuni meno giovani) autori è il seguente: è finito il Novecento? Ma il Novecento è già finito il 31 dicembre 2000! - E mi chiedo: c’è qualcuno che se n’è accorto? Qual è l’atteggiamento che questi autori hanno con il Novecento? Hanno chiuso la porta del Novecento alle loro spalle? O l’hanno lasciata aperta o semi chiusa? E mi chiedo: vi sono una o più porte alle nostre spalle? E quale porta lasciare chiusa o semichiusa? Quale porta chiudere? Quale porta aprire?
USCITI DAL NOVECENTO: ma per andare dove? A destra? A sinistra? Al centro?
USCITI DAL NOVECENTO: ma non trovo negli autori prescelti la consapevolezza della direzione da seguire.
USCITI DAL NOVECENTO: la totalità degli autori inseriti sembra seguire l'esempio della scrittura alla maniera di Valerio Magrelli, una scrittura de-metaforizzata, sterilizzata, ri-naturata, in una parola: neutra. E mi chiedo: come mai accade questo fenomeno? Ma, veramente, è uno scherzo o una beffa da coccodrillo? Se ho capito bene, il magrellismo viene posto (inconsapevolmente) a emblema e retroterra stilistico del NUOVO, dell'uscita dal Novecento! Il fatto eclatante è che la scrittura magrelliana, che del tardo Novecento è stata magistra ed emblematica, viene di fatto accettata senza alcuna discussione quale griglia di scrittura da parte direi di tutti gli autori antologizzati.
Se l'uscita dal Novecento significa adottare la poesia di Magrelli quale barometro e manometro della poesia del Dopo il Novecento, è chiaro che qui la montagna ha partorito il topolino! Non c’è dubbio che ci sia, e sia ben visibile, un magrellismo sociale al quale corrisponde un neutrismo stilistico, ma, direi che esso non è un fenomeno di nuovo conio (era già ben visibile negli anni Ottanta e Novanta del Novecento), è una scrittura poetica ad alto tasso di convogliabilità nella rete elettrica della distribuzione globale, tipico epifenomeno della comunicazione che coincide con una sostanziale abdicazione alla elaborazione di una posizione di poetica. Le generazioni nate dagli anni Settanta in poi adottano la neutralità della scrittura magrelliana non quale punto di arrivo di una cultura già epigonica ma quale punto di partenza di una cultura che è l’epifenomeno di una cultura epigonica. Con l’eccezione di Chiara Daino, la quale almeno è capace di una sana incazzatura, si ha l’impressione di una scrittura al neutrale, al neutrino, al rallentatore, una neutralità non tra posizioni di poetica confliggenti, ma una neutralità che alza la bandiera bianca della propria innocenza, una neutralità che vuole convincere i lettori che la «poesia» è una facoltà dell’anima, un discorso suasorio. Al post-magrellismo degli uomini direi che si acclude, da parte femminile, la maniera di mimare gli accenti e l’enfasi della poesia di Antonella Anedda e delle sue seguaci. E il fatto che la quasi totalità degli autori antologizzati non si accorga di questo fatto mi lascia molto perplesso sulle residue capacità di approfondimento critico della poesia contemporanea che hanno le ultime generazioni. Non me ne vogliano i curatori i quali, senza averlo previsto, si sono ritrovati tra le mani il paradigma magrelliano-aneddiano come via privilegiata per il Dopo il Novecento, se constato un fatto ampiamente visibile presso la poesia delle recenti generazioni: il dilagare del fenomeno del post-magrellismo e del post aneddismo implica (direttamente o indirettamente, in modo riflesso o irriflesso) che esso è il paradigma vincente presso le ultime generazioni in quanto il più facile da seguire, il meno problematico e il più sintomatico per le esigenze della comunicazione mediatica, socialmente il più accettabile.
Il problema, credo, che si pone (implicitamente) dinanzi a questi giovani (e alcuni meno giovani) autori è il seguente: è finito il Novecento? Ma il Novecento è già finito il 31 dicembre 2000! - E mi chiedo: c’è qualcuno che se n’è accorto? Qual è l’atteggiamento che questi autori hanno con il Novecento? Hanno chiuso la porta del Novecento alle loro spalle? O l’hanno lasciata aperta o semi chiusa? E mi chiedo: vi sono una o più porte alle nostre spalle? E quale porta lasciare chiusa o semichiusa? Quale porta chiudere? Quale porta aprire?
USCITI DAL NOVECENTO: ma per andare dove? A destra? A sinistra? Al centro?
USCITI DAL NOVECENTO: ma non trovo negli autori prescelti la consapevolezza della direzione da seguire.
USCITI DAL NOVECENTO: la totalità degli autori inseriti sembra seguire l'esempio della scrittura alla maniera di Valerio Magrelli, una scrittura de-metaforizzata, sterilizzata, ri-naturata, in una parola: neutra. E mi chiedo: come mai accade questo fenomeno? Ma, veramente, è uno scherzo o una beffa da coccodrillo? Se ho capito bene, il magrellismo viene posto (inconsapevolmente) a emblema e retroterra stilistico del NUOVO, dell'uscita dal Novecento! Il fatto eclatante è che la scrittura magrelliana, che del tardo Novecento è stata magistra ed emblematica, viene di fatto accettata senza alcuna discussione quale griglia di scrittura da parte direi di tutti gli autori antologizzati.
Se l'uscita dal Novecento significa adottare la poesia di Magrelli quale barometro e manometro della poesia del Dopo il Novecento, è chiaro che qui la montagna ha partorito il topolino! Non c’è dubbio che ci sia, e sia ben visibile, un magrellismo sociale al quale corrisponde un neutrismo stilistico, ma, direi che esso non è un fenomeno di nuovo conio (era già ben visibile negli anni Ottanta e Novanta del Novecento), è una scrittura poetica ad alto tasso di convogliabilità nella rete elettrica della distribuzione globale, tipico epifenomeno della comunicazione che coincide con una sostanziale abdicazione alla elaborazione di una posizione di poetica. Le generazioni nate dagli anni Settanta in poi adottano la neutralità della scrittura magrelliana non quale punto di arrivo di una cultura già epigonica ma quale punto di partenza di una cultura che è l’epifenomeno di una cultura epigonica. Con l’eccezione di Chiara Daino, la quale almeno è capace di una sana incazzatura, si ha l’impressione di una scrittura al neutrale, al neutrino, al rallentatore, una neutralità non tra posizioni di poetica confliggenti, ma una neutralità che alza la bandiera bianca della propria innocenza, una neutralità che vuole convincere i lettori che la «poesia» è una facoltà dell’anima, un discorso suasorio. Al post-magrellismo degli uomini direi che si acclude, da parte femminile, la maniera di mimare gli accenti e l’enfasi della poesia di Antonella Anedda e delle sue seguaci. E il fatto che la quasi totalità degli autori antologizzati non si accorga di questo fatto mi lascia molto perplesso sulle residue capacità di approfondimento critico della poesia contemporanea che hanno le ultime generazioni. Non me ne vogliano i curatori i quali, senza averlo previsto, si sono ritrovati tra le mani il paradigma magrelliano-aneddiano come via privilegiata per il Dopo il Novecento, se constato un fatto ampiamente visibile presso la poesia delle recenti generazioni: il dilagare del fenomeno del post-magrellismo e del post aneddismo implica (direttamente o indirettamente, in modo riflesso o irriflesso) che esso è il paradigma vincente presso le ultime generazioni in quanto il più facile da seguire, il meno problematico e il più sintomatico per le esigenze della comunicazione mediatica, socialmente il più accettabile.
In conclusione, direi che
i nodi stilistici che non sono stati sciolti durante il tardo Novecento, si
ripresentano tali e quali nel Dopo il
Novecento: attendono ancora chi li sciolga, l’intervento di un bisturi in
grado di incidere su quelle problematiche che sono rimaste prive di soluzione.
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