Le mani… Lavarsi
le mani. Una fra le tante azioni fisiche che ogni giorno mettiamo in pratica quasi
automaticamente. Il più delle volte ce ne dimentichiamo subito dopo. Irrilevante,
si direbbe. Eppure…
Le mani
costituiscono l’interfaccia fra noi e il mondo. Nel bene e nel male. Attraverso
le mani facciamo esperienza. Di noi stessi, degli altri. Stringiamo amicizie,
ci difendiamo e offendiamo. Acquisiamo e trasmettiamo “sostanze” invisibili. Milioni
di germi colonizzano le nostre dita. Può sembrare cosa scontata, ma ancora oggi
l’igiene delle mani è considerata momento fondamentale nella prevenzione delle
infezioni, almeno, secondo l’OMS[1],
[2].
Ma non possiamo considerare l’atto di lavarsi le mani dal solo punto di vista
igienico: di cosa ci liberiamo con quell’atto? Da cosa prendiamo le distanze
quando pronunciamo, magari stizziti, il fatidico “me ne lavo le mani”?
Una normale
e per lo più lodevole azione/pulsione si può trasformare in compulsione
rituale, sequenza motoria stereotipata, forse necessaria ad attenuare ansie
altrimenti incoercibili[3],
[4].
Ponzio
Pilato affonda le mani nel catino pieno d’acqua di fronte alla folla in tumulto:
già agli occhi della turba di duemila anni fa quell’azione doveva avere un
forte impatto simbolico. Pilato lo sapeva bene, ma certo non poteva immaginare
le conseguenze a lungo termine di tale atto. Per la cristianità l’acqua si è tinta
di rosso. Il nome del prefetto di Tiberio in Giudea viene riverberato nei secoli
dei secoli da quella singola azione, anche se noi, magari meno tragicamente, facciamo
più o meno lo stesso, metaforicamente parlando, ogni giorno, e spesso senza
neppure rendercene conto.
È dalle
mani, e dalla semplicissima azione di lavarle che inizia la storia tragica di Ignazio
Filippo Semmelweis, il medico, ungherese di Buda emigrato a Vienna, che intuì la
modalità di trasmissione della febbre puerperale[5],
principale causa di morte fra le donne che avevano appena partorito in
ospedale. La malattia uccideva fra il 10 e il 15% delle puerpere (con vette fino
a un caso ogni 5 parti!), con differenze eclatanti fra le diverse cliniche
ostetriche, come per esempio quelle dei professori Barcht e Kline presso
l’”Ospizio Generale”, a Vienna: nella prima, la mortalità puerperale, pur
sempre elevata, non raggiungeva le vette da macello della seconda. La
differenza fra le due? Da Barcht l’assistenza al parto era effettuata da ostetriche
mentre presso la clinica di Kline da medici e studenti di medicina.
Semmelweis
intuì che in buona parte dei casi erano le mani dei medici e degli studenti appena
usciti dalle sale anatomiche a trasmettere, attraverso il contatto con i
genitali delle partorienti, quel “qualcosa” che acquisito dai tessuti
cadaverici doveva essere alla base della malattia[6],
[7].
Le
ostetriche di Barcht non avevano infatti accesso alla sala anatomica.
La
batteriologia era ancora di là da venire: per scoprire la causa di tutte quelle
morti ci volevano il genio di Pasteur e gli studi di Joseph Lister
sull’antisepsi in chirurgia, diversi anni dopo[8].
E le donne
povere che per necessità dovevano partorire presso l’”Ospizio Generale”
continuarono a morire nonostante l’intuizione di Semmelweis. Ecco perché chi
aveva le possibilità economiche preferiva partorire in casa o, all’estremo
opposto, per strada, lontano da quelle mani. Perfino lì le chance di
sopravvivere erano maggiori che in ospedale. E le donne lo sapevano, spesso
opponendosi tenacemente al ricovero presso le cliniche ostetriche.
Era la metà
dell’800. Nemmeno due secoli fa. Alle porte del ’48, per la precisione. Con
tutte le conseguenze del caso. Quanto era necessario il cambiamento, la
sovversione dell’ordine costituito? Le idee, nonostante i lumi, ancora piegate
a una visione del mondo rigida, gerarchica, indiscutibile. Anzi,
paradossalmente, in questa storia è la gerarchia “scientifica” a condannare
l’intuizione apparentemente “a-scientifica” di Semmelweis. Palese dimostrazione
che quando le basi del pensiero sono sbagliate, l’”oggettività” scientifica può
diventare alibi e strumento del pensiero dominante, facendosi complice delle
peggiori nefandezze. E ad ulteriore dimostrazione della mancanza di “purezza”
in certe prese di posizione, ecco la voce secondo la quale l’avversione nei
confronti di Semmelweis aveva anche natura politica, essendo il professor Kline
un “ardente monarchico” mentre Semmelweis aveva forti simpatie repubblicane[9].
Semmelweis però
aveva solo intuito la modalità di trasmissione, non aveva scoperto la causa
dell’infezione, e oltretutto era privo di strumenti statistici. Non fu pertanto
in grado di dare una dimostrazione “scientifica” di ciò che andava dicendo
sempre più disperatamente. Fu considerato un pazzo visionario, incapace di
adeguarsi al “metodo” scientifico. I colleghi si rifiutarono di applicare la
sua prescrizione di lavarsi le mani prima di entrare in sala parto. Ritenevano
tale azione “poco dignitosa”, come se avvicinarsi con mani sozze a chi stava
per donare la vita fosse azione piena di dignità. Il fatto (indiscutibile) è
che nel periodo in cui il lavaggio delle mani fu applicato con continuità presso
la clinica di Kline la mortalità passò da una media del 10% a non più dell’1%,
valori simili a quelli riscontrati – sembra incredibile – nel secolo
precedente, prima dell’introduzione dell’anatomia patologica negli ospedali.
Nonostante ciò Semmelweis fu isolato. Additato. Il lavaggio delle mani
interrotto. Lui definitivamente allontanato dalla clinica ostetrica. Alla fine
morì, colmo della tragedia, a soli 47 anni in un manicomio, della stessa
malattia di quelle donne (setticemia), forse iniziata dalle ferite conseguenti
alle “cure” subite in quello stesso manicomio.
Quante vite
avrebbe potuto salvare nell’attesa di Pasteur quell’azione banale al punto da
diventare pressoché irrilevante nel nostro bilancio giornaliero?
Un altro visionario,
Louis Ferdinand Céline, poco meno di un secolo dopo, intuì la portata di quella
storia, il suo valore umano e simbolico, e la raccontò nella sua tesi di laurea
in medicina[10].
C’è già in quell’opera il germe dei temi e delle modalità narrative che
caratterizzano l’opera di Céline (oltre, dobbiamo ammetterlo, ad una malcelata
tendenza verso iperboliche modificazioni della realtà a proprio uso e consumo).
Certo, non ancora nel pieno della loro potenza narrativa; ma è interessante
seguire il percorso mentale dell’artista, che porterà in breve ad un’opera come
il “Voyage”[11],
apice della sua produzione narrativa.
Da questo
scritto si percepisce chiaramente l’identificazione fra l’artista ribelle e il
genio intuitivo di Semmelweis. Denominatore comune: il rifiuto dell’ordine
costituito, il sentirsi accerchiato e rifiutato, l’odio per le gerarchie e le
burocrazie, fonte primaria, secondo Céline, di ogni stupidità e di ogni male.
È
drammatico e paradossale pensare all’adesione di Céline al nazismo: regime burocratico
all’ennesima potenza, massima espressione di quella “banalità del male” che
sembra essere l’obiettivo principale della critica insita nella parabola del
“Dottor Semmelweis”. Una catastrofica cantonata che ben rappresenta Céline, uomo
certamente contraddittorio, psicologicamente problematico, ma non sempre
limpido nelle proprie prese di posizione. La frustrazione per il parziale
insuccesso di “Mort à crédit” (per me assai meno sincero e più di maniera
rispetto al “Voyage”), spostano il baricentro di Céline verso un estremismo
sempre più esasperato, all’insegna di una volontà di “épater le bourgeois” ma
anche di assecondare e vellicare il diffuso antisemitismo presente nella
società francese (e non solo) dell’epoca, volontà funzionale alla ricerca di un
successo finanziario e di pubblico che troverà con le ottime vendite del
pamphlet “Bagatelles pour un massacre” (1937) (circa 75.000 copie vendute), ma
che non bisserà con il successivo “L’école des cadavres” (1938), accolto con
distacco dal pubblico e con un certo imbarazzo perfino negli ambienti
antisemiti francesi per la presa di posizione nei confronti di Hitler e dei
tedeschi[12].
E se “Bagatelles” va forse giudicato, in accordo con André Gide, poco credibile
(tutto sommato un “gioco letterario”), una bagatella dunque, “L’école” è da
prendere assai più seriamente costituendo il passo definitivo, politico, verso
il punto di non ritorno rispetto alla valutazione che la posterità ha dato e
darà nei confronti dell’uomo Céline, al di là dell’indubbio valore della sua opera
letteraria nel complesso.
Ed è al
lavoro di Céline che s’ispira il “Canto di Semmelweis”. Un racconto, scritto
per il teatro, parte in versi parte in prosa, di cui sottopongo a Moltinpoesia
alcuni estratti della parte in versi.
INTRO
Si sono svegliati
di buon mattino
mentre
sotto, per strada,
oltre le finestre
spalancate,
nessuno ancora passa.
Tutto è pronto
a quanto pare:
la cameretta
(ne hanno parlato
fino a tardi
ieri sera)
è
del colore giusto
(rosa/azzurro, dipende
dal sesso,
ovviamente),
i vestitini piegati
nei cassetti
bene ordinati,
i quadretti divertenti
appesi alle pareti
finalmente.
Lei dice: ho fatto
avanti
indietro
fra il letto e il
bagno,
tutta la notte,
ti sei accorto?
Ora c’è del sangue
sulla bianca
porcellana,
una chiazza rossa
sola
che lenta cola
e
nell’acqua si scolora.
La pancia è tesa,
lento
lento il dolore
viene
e va
ancora lieve
troppo lieve
per suggerire
una qualunque
verità.
Sprofondano le pupille
nelle orbite
mentre
si chiedono che fare
(nulla sanno
di queste cose,
ed è normale).
È pronta la valigia?
Prendo l’auto?,
ieri sera
l’ho lasciata nel
parcheggio
poco distante.
Silenzio in strada,
il sole è caldo,
oggi forse è festa,
e
comunque
a ben guardare
qualunque giorno sia
la cameretta è pronta,
l’auto è nel
parcheggio
in attesa
poco distante,
sempre là,
in Bastiengasse al 36,
da casa di chilometri
suppergiù un paio,
dieci minuti se non
c’è fretta,
certo, andando piano.
L’auto la puoi portare
fin sulla porta,
attende una carrozzina
per non farti
affaticare,
poi scivoli fra le
stanze
luminose,
spinta senza scosse
fastidiose
da una nurse
proprio gentile,
e tutto è color
pastello,
il mondo intero
è
color pastello,
per occhi stanchi
colori riposanti
davvero molto
molto
rilassanti.
Forse è il momento.
Forse.
Dicono.
Tutto è pronto,
per fortuna,
stanza, culla,
vestitini
cassetti
muri
perfino i pannolini.
Il sole è caldo,
le strade vuote,
qualcuno
potrebbe perfino
credere
che è festa
festa
davvero.
…
L’Ospizio Generale non
è distante…
cinque minuti, o poco
più,
ma senza fretta – certo,
certo, andando piano
piano.
I PADIGLIONI PER IL PARTO
All’Ospizio
Generale giungono
partorienti
a frotte
in giorni e
notti
tutti
uguali.
Due i
padiglioni per il parto,
identici quanto opprimenti,
s’innalzano
nel mezzo del giardino
dell’Ospizio Generale.
Dicono:
sono luoghi da evitare,
solo donne perse
puttane
reiette
poveracce
per lo più
lì, proprio
lì, finiscono
per
partorire e subito morire.
Da una
parte la clinica di Barcht
di fronte all’altra,
trenta passi o poco più,
quella di
Kline:
ovunque il
puzzo della morte
è forte,
ma da Kline
è
insopportabile.
Il fatto è
noto a tutti,
ma nessuno,
nessuno riesce a immaginare
né desidera
sapere
perché
……………………………………
SEMMELWEIS
A ventotto anni
solamente la soglia varcai
la soglia
varcai dell’Ospizio Generale senza volerlo:
“esercita
fra le donne – mi sussurrò una voce –
fra le
donne partorienti, e non ti pentirai,
onori,
gloria, poi un bel ritratto nell’atrio della clinica
a memoria
imperitura
in mezzo a
tutti gli altri,
ai confratelli”
credo non
avessi scelta e, sono certo, neppure loro.
Era –
ricordo bene – la fine del febbraio quarantasei.
Fu allora
che persi i genitori, entrambi, e Vienna si trasformò in matrigna.
Fu allora
che il fiato iniziò a mancarmi mentre dalla stanza lassù
nell’abbaino
guardavo i tetti aguzzi, distesi all’infinito, della città.
Mi sentivo
estraneo, rifiutato, l’accento? la faccia? chissà?
e io allora
nulla accettavo di quel luogo, presentivo forse
ma non potevo,
non potevo (chi potrebbe, in fondo?)
ribellarmi
al mio destino.
Guardate
ora il mio ritratto (nonostante tutto me l’hanno fatto):
devo
confessare, ora mi riconosco ancora meno,
così confuso
fra le tante ombre di quei medici famosi.
Guardate
bene. Vedete? Con gli stessi baffi e favoriti, lo stesso
sguardo
ispirato la stessa donna aperta
e
violata
violata da
tutte quelle mani e da strumenti acuminati
sono uguale
in fondo – non addossatemi la colpa –
sono uguale
a tutti loro,
ai confratelli.
DIALOGO DELLA PARTORIENTE CON IL
GUARDIANO
PARTORIENTE Per carità signore, aprite questa
porta, non c’è più tempo, il bambino preme, da me pretende ciò che gli è
dovuto.
GUARDIANO Signore…?! Ah donna, ma che dici?!
Devi essere impazzita! Hai sbagliato, è alla clinica di Klin che devi andare. Di
lì, vedi? Trenta passi o poco più. Bussa là, l’ora è scoccata, e questa porta per
te rimarrà sbarrata.
P. Cos’hai in petto?! Non ti batte un cuore?!
Lo sanno tutti
cosa c’è di là. (fra sé) Quale forma
può avere il cuore di chi non ascolta la voce di chi sta per…
G. Ma che vuoi! Cosa ti rode, donna, in quella pancia?!
Un mostro?
un ratto? Chi t’ha ingravidata, donna? Quale bestia t’ha penetrata? Di quale
marcio seme t’ha riempita? Un marinaio sul lungofiume, certamente, per un coito
contro un muro o in un antro muffo…
P. Lo sapete cosa m’aspetta, oltre la porta dove mi
spedite
con tanta
leggerezza?
G. Senti donna, io non so nulla di ‘ste faccende,
faccio
solo ciò
che mi è ordinato. Ora è da Kline che s’accettano le partorienti,
questi sono
gli ordini, donna, vattene! non m’annoiare.
P. Guardami bene, uomo, guardami bene.
Ricorda
questo viso misurato dalle lacrime. E i miei stracci,
e questa
pancia tesa, tesa, e le mani raggrinzite dal freddo e dal lavoro.
Ricordati
di me quando guarderai i tuoi figli…mentre il loro sonno veglierai d’innocenti.
G. Lascia perdere ‘ste cose, e non menar gramo. Stanne
certa, mi ricorderò di te, e come potrei scordare chi è uguale ad altre mille?
E mille e ancora mille ne ho viste bussare a questa porta, ed implorare. Mica
mi commuovo, per voi, gentaglia.
E poi non è
in mio potere fare ciò che chiedi, donna.
Non è mio
l’arbitrio. Sono padrone di nulla, io, neppure di me stesso.
P. Dio mio, ora è sempre più forte, il mio ventre
si contrae come
morso da cane con la rabbia, e il dolore si fa insopportabile, mi piega in due.
Non posso fare un altro passo. E’ la fine…
G. Donna, consolati, lassù sarà migliore…nulla di
personale, credimi, tu di là io di qua,
nulla di
personale, è solo una fatalità.
Prega,
prega almeno che sia maschio. Un bel maschietto da brefotrofio,
il
sacrificio non sarà inutile del tutto, almeno sarà carne da macello,
per la
conquista delle Indie o giù di lì.
… i miei
errori perdona, Signoriddio, di peccatrice, risparmia, te ne prego,
la mia vita
e l’innocente che porto in me.
…
Suona la
campanella, prevedibile, al rintocco segue il prete
con il
viatico
s’aggira come
corvo per i corridoi bui di questa Casa.
Dopo, una visione: luce, e una porta s’aprirà nel cielo…
PRECETTI ANTICHI
Egli dunque
conosce i precetti antichi:
chiunque
chiunque toccherà
un cadavere
il proprio
corpo dovrà lavare
e
immondo
sarà fino alla sera.
Chiunque
chiunque trasporterà
un cadavere
laverà le
proprie vesti,
e
immondo
sarà fino alla sera[13].
Allora –
portate via
i corpi dal santuario!
Via! via!
Fuori!
fuori dal padiglione i corpi e le loro vesti.
VENEZIA[14]
Ha lasciato
di Vienna l’orrido fulgore,
tanto netto
da sembrare tagliente,
in cerca di
quella pace che – quantunque scabra –
ogni
clamore riporta all’essenziale.
Quando è
successo? Quando il destino si è fatto finalmente chiaro?
Oggi, qui a
Venezia, circondato da laguna morta,
tutto mi
sembra così lontano: la giovinezza,
Budapest, i
miei genitori. Vienna come l’ho vista
la prima
volta,
una distesa
infinita di tetti acuminati, sotto di me.
Purezza:
questo è il mio destino?
Ora
ricordo: Budapest a primavera è così allegra, piena di vita,
il profumo e
la musica per strada. Mai, mai avrei immaginato,
quando
correvo spensierato
da un ballo
all’altro, che sarei giunto in questo luogo,
lugubre e
di dolore – eppure
eppure già
allora non sapevo
distogliere
lo sguardo dalla morte.
La nave dei
folli ha mete imprevedibili:
senza
possibile difesa, naufrago,
m’abbandona
nell’immobile
laguna
senza sbocco certo al mare.
Poco
lontano dall’attracco, all’improvviso,
un barlume
muta in bagliore cupo,
e San
Giorgio raggelando ammiro
vinto dal drago.
KOLLETCHKA[15]
caro,
caro,
caro medico
sapiente,
dolcissimo
uomo, amico
amico mio
di sempre
anima degna
di tutto
l’umano
rispetto,
ho posato
il mio sguardo
su di te
un’ultima
volta,
mentre ritto e pallido,
stavi
presso
il tavolo
di marmo:
allora non
t’ho parlato,
e ora,
troppo tardi,
me ne
pento…
È finita,
così, per una
semplice
puntura:
la malattia
è progredita
senza
remissione:
infiammazione,
e ancora
infiammazione,
febbre, e
poi cancrena
insostenibile
fetore.
Non c’è
intercessione…no
nessuna
possibile preghiera
a questo punto
potrà
salvare la tua vita,
e tutte
quelle donne, insieme a te…
per
sempre.
INTUIZIONE
Non esce
certo dalla polvere
tanta
sventura,
né
germoglia dalla terra
questo
dolore. Il dolore
che sento
dentro le budella
e mi
rovista. E’ l’uomo,
è l’uomo
che genera le pene
che come
scintille in alto
volano
nella bocca scura
del camino.
…
Oggi gli
occhi schiudo
nell’aria
vana dell’alba grigia
su un solo
fatto,
un solo
fatto,
che
istantaneo
improvviso
nascente luminoso
per un istante,
un istante
solo,
accecante,
accecante
illumina la mente.
L’attimo
che da sempre cerco
in questa
epoca
morente.
…le mani,
null’altro che le mani,
per
semplice contatto ad infettare…
FOLLIA
Quell’uomo
è pazzo!
Pazzo,
dico, e pericoloso…
Uno straniero!
Accusare
me! Il preferito
della
corte. L’ostetrico
dei
regnanti.
E’ pazzo!
dico, uno straniero.
Cercare
d’obbligarmi…
Mai
immergerò le mani
in quella
calce in
soluzione.
Non è affatto
dignitoso,
e poi perché?
tanto
trambusto, tanta
agitazione?
Cosa si
dirà di me se lo lascio
fare?
Io decido!
La mia parola
è quella
se lo
inchiodi bene in testa,
fatti suoi
se non capisce.
DEMONI
A 47 anni
vive solo[16].
Non
sembra più
neppure lui.
Invecchiato
di vent’anni,
s’aggira
cupo nella poca luce
della stamberga
dove formiche,
formiche
lunghe un dito
in file
passeggiano sul pavimento.
Quali
demoni?
Quali
demoni si sono impossessati di lui?
Legioni...legioni.... [17]
Egli s’aggira, nudo,
fra le tombe come invasato.
E’ stato lapidato e dal villaggio
allontanato,
uomo disperato.
Ascolta quelle voci,
non tornare più
fra chi ti odia
con tanta devozione.
Quali altri soprusi
dovrà subire per convincersi
a partire?
Che qualcuno spinga
i porci nel dirupo!
così
ricoperto di escrementi
certo non
fai bella impressione.
Guardati!
fai proprio compassione
semplice
apprendista del dolore.
L’AGONIA
L’agonia
durò tre settimane.
Ventuno
giorni d’inferno
in terra,
la cancrena
se lo mangia
brano a
brano,
e così il
fetore. Tre settimane
d’immagini
terrifiche
davanti e
dietro gli occhi,
moltitudini
di voci dall’oltre-
Tomba.
Perché?
Perché
tanta ingiustizia?
in questa
vita.
Perché chi
troppo
ama è
oggetto di tanto
strazio?
Perché è
l’innocente
destinato
allo sterminio?
Esiste una
giustizia ultra-
Terrena?
Questa è la
risposta?
Questa è la
menzogna?
IN MEMORIAM
E ora
attende il suo destino:
arriva il
tempo
della pace distesa
finalmente
su ogni
cosa,
l’assenza
di mostri e fiori recisi,
il ritorno
dell’inverno.
Ha sempre
odiato
le
primavere assolate
e i ciliegi
in fiore, correre
nell’erba
alta fra le colline
ondulate della
gioventù.
Implora,
ora, la lunga quiete,
il
depositarsi della neve sulle strade
l’attutirsi
dei rumori
l’incanutirsi
delle chiome.
Tutto si
mostrerà in una lontana
prospettiva.
Dimenticare
il dolore:
tutto sarà
un procedere diritto
un quieto
lasciare
scorrere alle spalle
le ombre
capricciose dello specchio.
[1] T. Pincock, P.
Bernstein, S. Warthman, E. Holst. Bundling hand hygiene interventions and
measurement to decrease health care-associated infections. American Journal of
Infection Control 40 (2012) S18-S27
[2] H.
Sax, B. Allegranzi, MN. Chraıti, J. Boyce, E. Larson, D. Pittet. The World Health
Organization hand hygiene observation method. Am J Infect Control 2009; 37:
827-34
[3] Leckman JF, Grice DE, Boardman J, Zhang H, Vitale A, Bondi C, et al.
Symptoms of obsessive-compulsive disorder. Am J Psychiatry. 1997;154(7):911-7.
[4] L.F.
Fontenelle, M.V. Mendlowicz, M. Versiani. Clinical subtypes of
obsessive-compulsive disorder based on the presence of checking and washing
compulsions. Rev Bras Psiquiatr. 2005;27(3):201-7
[5] T.D. Noakes, J. Borresen, T. Hew-Butler , M.I. Lambert, E.
Jordaan. Semmelweis and the aetiology of puerperal sepsis 160 years on: an
historical review. Epidemiol. Infect. (2008), 136, 1–9
[6] I. Semmelweis. The Etiology, the Concept and
the Prophylaxis of Childbed Fever (translated by Murphy
FP). Birmingham , AL ,
USA : The
Classics of Medicine Library, 1981, 1–191.
[7] I. Semmelweis. The Etiology, Concept and
Prophylaxis of Childbed Fever (translated by Codell Carter K). Madison ,
Wisconsin , USA :
The University of
Wisconsin Press, 1983,
1–263.
[9] Waller J. Leaps in the Dark. The Making of
Scientific Reputations. New York , USA : Oxford
University Press, 2004, 1–292
[10] L.F. Céline. La vie et l’oeuvre de Philippe
Ignace Semmelweis, Doctoral Thesis, 1924
[11] L.F. Céline. Voyage au bout de la nuit, Ed. Denoël & Steele, Paris, 1932
[12] P. Alméras. Céline. Entre haines et passion, Ed. R. Laffont, Paris, 1994
[13]
Levitico 11,15; 11,29
[14] Semmelweis è stato spinto dagli
amici a lasciare Vienna per un periodo di riposo a Venezia.
[15]
Professore di anatomia, amico
di Semmelweis: si infetta attraverso una ferita che si è procurato durante una
dissezione cadaverica. Dall’autopsia si può dedurre che il processo che lo
porta a morte è del tutto simile a quello che caratterizza il decorso della
febbre puerperale. L’intuizione di Semmelweis avviene proprio al suo ritorno da
un viaggio a Venezia, effettuato per uscire da un clima di ossessione, dopo
avere appreso i particolari della morte dell’amico e collega.
[16] Ha lasciato Vienna, dove nessuno è
in grado di sostenerlo. Un grave disturbo psichico si è reso ormai evidente.
[17]
Il riferimento è all’episodio
dell’indemoniato geraseno (Luca 8, 26-39; Marco 5, 1-20).
13 commenti:
Confesso che la lettura di questo testo mi ha fatto da una parte ribollire di rabbia e dall'altra affiorare le lacrime. Conoscevo la vicenda di Semmelweis, sia per averne letto che per un film-documentario molto bello che avevo visto in passato. Avevo pensato allora che a mettersi contro il Potere (medico in questo caso, ma anche politico) ci si perde sempre. Il Potere non accetta sconfitte e preferisce distruggere.
Prima di dire altro però, voglio mandare un abbraccio a Villani - mi sento di farlo - per la bellezza di questo testo, che mi piacerebbe tanto leggere per intero. Immagino sarà bellissima la rappresentazione teatrale. Ha i toni della tragedia greca nella sua spoglia bellezza. Ma dentro c'è una sapienza di scrittura e drammaturgica di grande spessore. C'è la tragedia dell'essere donne, e peggio povere, in una società in cui la vita non conta nulla. L'ottusità del potere di casta, terrorizzato dalla perdita dei propri privilegi. La luce scintillante del genio e dell'intuizione. La disperazione e la sofferenza dell'anima nel vedere trionfare la malafede e la morte, che tradiscono vergognosamente il giuramento di Ippocrate sull'amore per l'uomo e per la conoscenza. Il dolore fisico atroce, che distrugge il corpo come la disillusione aveva massacrato l'anima. Tutto questo esprime il testo di Villani.
Un'altra considerazione, molto amara, è come l'atteggiamento che ha impedito a Semmelweis di seguitare a salvare vite umane, non è cambiato nemmeno oggi. I mezzi e le modalità con cui viene messo in atto sono diversi, ma lo scopo e gli effetti sono gli stessi. La legge del Dio Profitto rende putrefatta la nostra società, e chi ne paga le conseguenze sono, come sempre, i deboli.
Un ringraziamento con tutto il cuore a Flavio Villani.
Cara Francesca, grazie a te per la lettura di questo mio testo. Le tue parole mi fanno davvero molto piacere, a maggior ragione perché provengono da chi ama e conosce bene la letteratura (si percepisce in ogni tuo scritto...).
Mi porto dietro la storia di Semmelweis (e forse anche quella di Céline...) ormai da qualche anno. E' una storia paradigmatica, e mi ha insegnato molto. Come anche tu sottolinei, oggi, a distanza di quasi due secoli da quei fatti, non molto è cambiato. Lo spregio della vita umana è imperante, sempre e comunque a discapito dei più deboli. Si potrebbe, ad esempio, aprire il discorso su un altro autore che amo molto e che ha guardato lo stesso genere di orrore negli occhi: Roberto Bolano, e la strage delle donne di Ciudad de Juarez, un luogo quasi metafisico ai confini del mondo, ma così rappresentativo di questo nostro mondo, descritta nel romanzo 2666. In questo Céline aveva visto benissimo, con quell'intuito da grande artista che gli era proprio.
"Il Canto" è stato per me (e forse lo è ancora) un cantiere aperto, un "work in progress" senza fine. Molte scene sono state scritte e riscritte innumerevoli volte senza che mai riuscissi a convincermi a concludere il lavoro una volta per tutte, senza mai raggiungere la piena soddisfazione. Ho deciso di inviare questi estratti a Moltinpoesia proprio per cercare di mettere un punto fermo a questa storia, per convincermi che forse è davvero conclusa.
Grazie a Ennio per lo spazio che dà ad autori come me, fuori dal "main stream", e pertanto con scarse possibilità di farsi ascoltare.
Un caro saluto
Flavio
Caro Flavio, non fatico a credere che un simile lavoro ti abbia preso - o divorato? - a tal punto. La portata di ciò che significa, anche in senso metaforico o, come dici, paradigmatico, è enorme per la sua vastità. Ciò che non sapevo era che Céline avesse fatto la sua tesi di laurea su Semmelweis ed è una cosa davvero interessante. Comunque, come sai, le società si difendono dalle grandi innovazioni, dalle menti geniali, perché tendono, checché se ne pensi, ad essere conservatrici, a non sovvertire lo status quo. Il che richiederebbe non solo una totale revisione delle conoscenze acquisite e cristallizzate, ma anche un sovvertimento dei poteri acquisiti. Dunque il genio, che tu sai meglio di me per ciò di cui ti occupi, è un'anomalia, quasi una devianza e non la regola, non ha mai avuto vita facile. E' un diverso e come tale sospetto e rigettato. In genere vede quello che gli altri non vedono, che vedranno solo molto più avanti.
Spero che tu riesca a mettere in scena il tuo "Canto". Mi piacerebbe leggerlo. Se ti va trovi la mia email sul mio blog, a cui arrivi cliccando qui sul mio nome e dove trovi scritto: Contatti.
Un caro saluto anche a te
Francesca
Un lavoro che mi lascia commossa e seriamente avvinta aquesta scrittura così intensa, l'ingiustuzia e i sentimenti così proposti fanno di quest'opera un vero capolavoro. Mi unisco agli auguri di Francesca affinchè tu possa davvero metterlo in scena. Emy
Ciao Flavio, non ho molto da commentare, visto che il tema scienza e potere è terribilmente doloroso, anche in questa storia. Mi unisco quindi ai tuoi tormenti, riflessioni, impegno con particolare elogio all'essere stato capace di trasferire/creare dal dolore. Mi unisco inoltre alle considerazioni che ti ha fatto Francesca, quindi a Emy.ciao.rò
@Rò! sì, il tema può essere "terribilmente doloroso", ma forse è meglio parlarne che no. Credo.
Ciao!
Flavio
Grazie Emy, sei troppo gentile, ma la parola "capolavoro"...be', mi accontento di molto meno ;-)
Un caro saluto
Flavio
e' evidente che si caro Flavio, anzi necessario parlarne e parlarne ancora con tanti linguaggi/generi letterari compresi quelli molteplici da te scelti per quetsa tua opera(azione-operazione) perchè questo tipo di dolore nasce dalla solita e secolare detenzione del potere...scienza è potere da cui vengono esclusi gli stessi scienziati a mono che oltre un certo camice si mettano un altro grembiulino, entrino nello stesso consorzio (leggi circuito massonico), ormai sempre piu di facciata mediatica (vedi da un punto di vista medico,anche qui vicino a noi, le gabbie dorate dei tumori)
Il dolore: è tema che coinvolge senza mediazione, altrimenti non sarebbe vero dolore. In questo tuo Canto di Semmelweis, il dolore si somma al male dell'ingiustizia, tanto che ho finito col portarmi dentro sentimenti a cui non so dare nemmeno un nome. Sono scelte difficili, che mi fanno pensare a Hermann Nitsch, a Gina Pane, artisti della Body Art. Anche in questo tuo ottimo lavoro, pur partendo da un'indagine documentata, che sa di investigazione giornalistica, si tenta con la poesia di effettuare un forte coinvolgimento emotivo, spesso l'unico che s'avvicini al reale, quello di allora e quello, forse, di sempre. I valori in campo si ribaltano: l'estetica va in secondo piano, arretra di un passo, si fa veicolo portatore di denuncia. Eppure è tutto ben scritto, come se incurante d'essere fuori dal tempo nel linguaggio che perfora la cronaca rivivendo, e facendo rivivere, il dramma al punto che diventa inevitabile scorgerne i segni anche nell'oggi. E i commenti qui sopra lo dimostrano ampiamente. Mi chiedo cosa ti porti a queste scelte, se l'odio per la violenza in tutte le sue forme, e in questo caso ne avresti/ne avremmo tutti da scrivere, oppure, e al contempo, per il bisogno anche introspettivo di fare pulizia fin dentro le radici... del male stesso voglio dire. In tutti i casi penso che la soluzione migliore sia proprio quella di sconfinare dalla lettura pensando alla rappresentazione, spazio in cui maggiormente il dolore può essere provato, visto, sopportato e condiviso, uscendone magari incazzati, ma illesi. Complimenti.
mayoor
Caro Flavio,
grazie per il tuo " Canto".Hai saputo coniugare scienza e poesia con toni accusatori e dolorosi che mi hanno commosso.
Spero di leggere presto l'opera completa e di vederla rappresentata.
Anche oggi ,in tanti ambiti, in tanti luoghi ,l'ignoranza e l'assenza di pietà la fanno da padroni.
"Nulla è cambiato
il corpo trema,come tremava
prima e dopo la fondazione di Roma
........................
le torture c'erano e ci sono.."
W. Szymborska
Un saluto.
Maria Maddalena Monti
@Mayoor: ognuno di noi ha una propria visione del mondo (poetica) che ossessivamente emerge in ogni scritto, tanto che alla fine hai l'impressione di avere scritto e di continuare a scrivere un unico grande lavoro. Lo capisci dopo un po', ma alla fine lo capisci.
@M.M.Monti: sono d'accordo con te e con la Szymborska. Forse la poesia aiuta a non diventare cinici, pur nella convinzione che sulla natura umana non si possa fare troppo affidamento.
Grazie ad ambedue per la lettura profonda e partecipata.
Un caro saluto
Flavio
Sei molto gentile, Flavio. Il mio era un commento sgangherato che, potendo, avrei cancellato volentieri. Ma la tua saggia risposta ha messo le cose a posto. Grazie.
mayoor
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