mercoledì 19 dicembre 2012

Flavio Villani
Il natale ai tempi
della “spending review”



Questo racconto di Flavio Villani a me ha fatto pensare a "E adesso pover'uomo?" di Hans Fallada (vedi sotto in Appendice). Uè, andiamoci piano col pathos natalizio! [E.A.]

Dicono: pesa almeno cento chili, grammo più grammo meno. E la pancia è così grossa che per riempirla tutta lui inizia a mangiare ora e finisce fra due giorni. Minimo. Ma come cavolo farà a passare dal camino?

Il papà dice che tutti hanno un Capo sulla testa.
Sulla testa?, dico.
Sì, sulla testa, fa lui, mentre continua a picchiare i tasti del computer.
Papà, faccio io.
Che c'è?, fa lui.
Papà...?, faccio io, sulla testa?! Davvero?!

Lui allora picchia con più di forza, e senza guardarmi dice: non letteralmente. Capisci? Ora fa' il bravo, vedi che sto facendo?! E prende a guardare il video molto intensamente, come se io non sono più lì. Ma la mamma a papà glielo dice sempre che quando s'inizia un discorso non si può lasciarlo a metà. Anzi, di solito glielo grida dietro quando lui s’alza da tavola tutto scuro in faccia, e si chiude in camera per qualche ragione sua. E la mamma si soffia il naso come quando si piange, ma dice no amore non ho nulla, ma qualcosa deve pure avercela, sennò il naso mica se lo soffia che il raffreddore non ce l’ha.
E allora io dico: papà, letteralmente? Che vuol dire?
Lui allora sbuffa, e finalmente smette di picchiare sui tasti del computer: vabbé, hai ragione: non letteralmente vuol dire che non intendo qualcuno sulla testa per davvero. È solo un modo di dire. E ora fa' il bravo, e va' dalla mamma che devo lavorare. Va bene?
Sì, va bene papi. Vado, dico io aprendo la porta della camera.
Papà...?
Diamine! Ma che c'è ancora?!
Anche Babbo Natale c'ha un capo sulla testa?

L'altro giorno la mamma mi fa: domani è Sant'Ambrogio, dovresti scrivere la letterina per Babbo Natale.
Sì mamma, faccio io, m’aiuti?
Lei allora mi guarda con una faccia che quando la fa mi tremano le gambe, e dice: ora hai otto anni, e sei in terza elementare. Sai scrivere, mi sembra. Almeno, spero. Tu la scrivi, poi la spediamo insieme.
Sì mamma, faccio io, e in quel momento penso che sarà mica facile, ma poi penso anche ai regali, a tutte le cose che ho visto in tivvù, i Gormiti, i Power Rangers, e le altre cose bellissime, e a me mi sembra che ce la devo proprio fare a scriverla ‘sta letterina.
Ma sarà poi Babbo Natale a leggerla o il suo Capo?

L'altro giorno poi ho capito. Quella cosa del Capo sulla testa, dico. Ci pensavo da un po', visto che il papà sembrava molto arrabbiato quando l'ha detto. È che lui ultimamente è sempre arrabbiato, e pensavo deve essere colpa mia che lo faccio sempre arrabbiare per qualcosa, tipo capricci e cose del genere, e invece adesso mi sa di no, che non è colpa mia, che forse invece è quella cosa del Capo che lo fa arrabbiare sempre, e sbattere le porte e non finire i discorsi con la mamma, e poi si chiude in camera, e non gli si può parlare per delle ore. E la mamma gli dice di parlare, di non tenersi tutto dentro. Tutto cosa?, poi...

Una volta l'ho anche chiesto alla mamma che mi ha fissato come fossi una strana bestia, e ha detto: lascia perdere. Queste sono cose da grandi...
Be', a me quella risposta è sembrata la stessa di quando il papà smette di parlare e si fa i fatti suoi, chiuso in camera, e lei ci rimane male. Dovrebbe capirlo. Avevo appena finito di scrivere la letterina. Una fatica. Ma mi sembra venuta proprio bene, senza cancellatura (che alla mamma proprio non piacciono), con tanto di cornicetta colorata. È lì che è successo qualcosa: la mamma l’ha guardata per un sacco di tempo, ho visto i suoi occhi farsi lucidi lucidi, e poi s’è voltata e s’è soffiata il naso. Non ci posso credere: o è un raffreddore improvviso o c’è qualcosa che non va. E proprio non capisco perché, dato che ce l’ho messa tutta a scrivere ‘sta letterina senza errori, tipo a con l’acca e cose così. Ma si sa, i grandi sono strani, e hanno reazioni, non so come dirlo, be’ reazioni strane. Allora dico alla mamma: mamma va bene così? Lei scuote la testa e si abbassa per guardarmi meglio negli occhi: mi sa che Babbo Natale quest’anno ha un problema.
Un problema? Un problema, mamma? dico io.
Temo, tesoro, che i regali…i regali non potranno arrivare, dice lei.
E a questo punto è a me che mi viene da piangere, niente regali?! dico con le lacrime che scendono e bruciano sulla faccia. E mi fanno tirare su col naso.
Vedi, Babbo Natale…Babbo Natale, be’, lui è un po’ come papà. Sono tutti e due lavoratori speciali, qualcuno usa una strana parola, li chiama atipici. E quest’anno va così per i lavoratori atipici: non benissimo. Papà deve starsene a casa per un po’, finché non troverà un altro lavoro. Nel frattempo dovremo tirare un po’ la cinghia. Lo stesso capita a Babbo Natale, anche lui dovrà tirare un po’ la cinghia: mi sa che quest’anno non avrà i soldi per pagare gli Elfi che fanno i giocattoli ai bambini.
Ora la mamma sembra davvero triste. Guarda fuori, oltre i vetri appannati della cucina. È tutto grigio oggi, e non c’è nulla da vedere oltre il cortile e la casa di fronte.
È allora che tutto diventa chiaro: ahhhh, ho capito mamma, allora è quella cosa del Capo sulla testa che dice il papà.
Cosa?
Ognuno c’ha un Capo sulla testa…
Sulla testa?
E io credo pure Babbo Natale…
Un Capo sulla testa di Babbo Natale?
Sì mammina. Ma non letteral…mmm, è una parola difficile che dice papà. Comunque sembra che il Capo, quello che sta sulla testa, ma non per davvero, decide un sacco di cose.
Lei mi guarda sbalordita, ma che dici?, dice.
Anche se non sta proprio sulla testa, un effetto deve avercelo. Magari mal di testa o qualche altro effetto non tanto bello che fa arrabbiare tanto il papà. Tipo stai a casa invece di andare a lavorare, non dare i soldi per gli Elfi, e cose del genere…

Le cose vanno così quest’anno. A casa, e niente regali. La neve la vedremo in tivvù. Almeno però papà sembra un po’ più tranquillo, e la mamma si soffia il naso solo raramente.

Ma ora che mancano pochi giorni al Natale, a voi questa sembrerà una storia piuttosto triste. A Natale le storie dovrebbero essere tutte allegre. I grandi e i piccini felici, nelle case calde e colorate, con gli alberi di Natale agghindati e i presepi con tutti i personaggi che sembrano usciti da una fiaba, attendono la nascita del Bambinello, fra carte colorate e doni, tutti insieme a intonare cori e canzoni.
E poi, obbligatorio, il lieto fine per ogni storia. Anche i cattivi diventano buoni, e il mondo si ribalta, almeno per una notte. Ed è così che finisce questa ministoria, non preoccupatevi, ecco il necessario lieto fine: il Capo, ahimè, non diventerà buono, e il papà rimarrà senza lavoro, temporaneamente almeno, ma il bambino troverà un bel dono sotto l’albero, al mattino. Un pacchetto che neppure attendeva, e a lui, nonostante tutto, nonostante Babbo Natale se lo sia procurato in un discount, sembrerà meraviglioso, il più bel regalo mai ricevuto prima. E qui sta il bello, qui sta la magia del Natale che, nonostante tutto, è salvo anche quest’anno.

Grazie Babbo Natale, dico io, meno male che ci sei, alla faccia dei Capi che mai diventano buoni, e se ne rimangono appollaiati come neri corvi sulla testa del mio papà e di tutti quegl’altri papà di questa terra.

Una curiosità, Babbo Natale…ma con quella pancia come cavolo fai a passare dal camino?


APPENDICE

Hans Fallada

E adesso, pover'uomo?

Le vicende di un giovane commesso, di sua moglie, del loro bambino. Una famiglia come tante della piccola borghesia tedesca alle prese con le crescenti difficoltà economiche e con lo spettro della disoccupazione. Sullo sfondo una Germania già presa nel vortice che l’avrebbe piombata nel Nazismo.
A cura di Mario Rubino
Con testi di Ralf Dahrendorf e di Beniamino Placido
Lingua originale: tedesco
Titolo originale: Kleiner Mann, was nun?
«È da persone come queste, come i coniugi Pinneberg – modesti pazienti onesti – che sono venuti fuori i nazisti?», induce a chiedersi Beniamino Placido, a commento di E adesso, pover’uomo? Fu pubblicato nel 1932, nella Germania di Weimar già presa nel vortice che l’avrebbe piombata nel Nazismo. Ottenne in pochi mesi vette di vendita altissime, tradotto subito in dieci paesi: tra cui l’Italia dove giunse in una versione edulcorata nel linguaggio, privata di scene pruriginose, alquanto rieducata politicamente. Sul lettore di oggi che sa come andò a finire, il libro fa più o meno l’effetto di un ultimo urlo lanciato ai posteri appena prima che sia caduta la notte. Hans Fallada, l’autore, apparteneva alla tendenza artistica della Nuova Oggettività, un neorealismo che si prefiggeva di corrispondere al desiderio di vedere rappresentata l’esistenza concreta. Ed infatti messa in scena è la crisi del piccolo borghese tedesco, stretto in un disagio angosciosamente privo di percepibili vie di uscita: quasi un come si diventa nazisti, ma con l’intuizione felice di raccontarlo entro la cornice di un romanzo sentimentale. La storia è l’amore di Johannes Pinneberg e di Emma Mörschel, detta Lämmchen, agnellino. Un matrimonio freschissimo, a causa di un’imprevista gravidanza, che comincia subito ad essere letteralmente inghiottito dallo spettro della disoccupazione che porta miseria, smarrimento e minacce alla dignità, mentre il prossimo diventa incomprensibile e lontano. Lui è il kleiner Mann del titolo in tedesco, un «uno di noi», fragile, senza pretese, apolitico, piuttosto vago; Emma è figlia di una famiglia di duri operai socialdemocratici e comunisti, maltrattata in famiglia, commessina, dolce ma ferma. E intorno, gli altri: la famiglia di Emma col fratello spinto ogni giorno in un cupo estremismo; la vedova Scharrenhöfer, la padrona di casa rovinata dall’inflazione; il contabile Lauterbach, arruolatosi nelle SA per rompere la noia; la madre di Johannes Mia, tenutaria di un bordello e il suo spregiudicato amante di buon cuore; il commesso Joachim, del movimento naturista. È il Volk, che al momento sembra avvertire solo risentimento e restituire ostilità, ma che presto Hitler illuderà di essere un unico protagonista: «Ora nessuno doveva più sentirsi in colpa perché non capiva cosa stesse succedendo o perché non partecipava – scrive Ralf Dahrendorf, nel testo che accompagna questa nuova traduzione. – Adesso c’era un ordine nel quale tutte le questioni venivano risolte. Ein Volk, ein Reich, ein Führer».
Hans Fallada, pseudonimo di Rudolf Ditzen (1893-1947). Di Fallada questa casa editrice ha pubblicatoE adesso, pover’uomo? (2008), Ognuno muore solo (2010) e Nel mio paese straniero (2012).

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie Ennio. Non mi aspettavo di vedere il mio raccontino qui, e mi ha fatto molto piacere trovarlo.
Vorrei solo aggiungere che l'interessante presentazione del romanzo di Hans Fallada mi ha fatto riflettere sull'idea che la realtà si comprende anche esplorandone le sue pieghe "minime". Anche solo ascoltandone le voci; come quelle, perché no, dei bambini.
Ciao e auguri,
Flavio

Anonimo ha detto...

Grazie, anche se suona un po' scontato occuparsi dei poveri a natale. La tragedia attuale però, secondo me, non sta tanto nell'essere poveri quanto nel diventarlo; al punto che essere poveri diventa una conquista ottenuta progressivamente modificando la propria coscienza, osservando le necessità che si modificano. Paradossalmente, facendo affidamento sulla forza di mantenersi integri, scoprendo altri valori, ad esempio cercando di vivere la rovina come una trasformazione e così via. Peccato, oggi per il calendario maya avrebbe dovuto esserci una parziale fine del mondo... avevo già inviato la mia letterina a babbo natale indicando i punti da colpire!
mayoor

Anonimo ha detto...

...e invece, niente da fare, Mayoor, niente da fare. Qualcuno ucciderà babbo natale.

Emy