Elisabetta Maltese Per tre lune La
Vita Felice , Milano, 2012
Parlare di un libro di
poesia significa in qualche modo parlare della questione della Lingua, ma parlare
di una questione linguistica è un modo di parlare della Questione Nazionale.
Ora, chiediamoci: qual è oggi la questione nazionale? Qual è l'interrogativo
fondamentale che la Nazione
pone alla Lingua? C'è un interrogativo? Ecco, io rispondo che NO, oggi, nelle
mutate condizioni del Dopo il Moderno
la questione della lingua non si pone più, o almeno, non si pone più nei
termini con cui l'ha posta Pasolini, oggi non si può più parlare di
«omologazione» televisiva dei linguaggi; di fatto, i linguaggi televisivi si
sono aperti a tutti i linguaggi, bassi e non bassi: da tele Maria alle
emittenti di spogliarelli, dalle emittenti di insulti show ai talkshow non c'è
distinzione: l'alto viene conglobato nel basso, il destro con il sinistro. E
questa indistinzione, questa simmetria del disordine è un dato di fatto dei
linguaggi televisivi del Dopo il Moderno. Simmetria del disordine peraltro che
ha attecchito anche i linguaggi poetici odierni.
Dirò di più: oggi parlare
di una emergenza della lingua e di una questione della lingua è un modo
imbonitorio per non parlare dei problemi che linguistici non sono ma che sono
reali: l'impoverimento di larghe fasce sociali, la perdita di una, due e forse
tre generazioni di giovani che non entreranno mai nel mondo del lavoro. Oggi i
problemi sono scottanti e reali, la RECESSIONE ci ha portati all'improvviso di fronte
al MURO BIANCO dei problemi reali. Altro che Oblio dell'Essere! Qui l'Essere ci
sta di fronte con il suo crudo e nudo postulato di «verità» nuda e cruda.
Il problema della Lingua
e del linguaggio poetico è altra cosa. Direi, per farla breve, che il linguaggio
poetico è un «traduttore», un «traghettatore», un «riduttore» dei veri (reali)
problemi in un'altra dimensione, che è quella della «sfera dell'arte» (se mi si
passa l'espressione).
E qui il problema si pone
in un altro modo: che tipo di riduttore? che tipo di traghettatore? che tipo di
traduttore? E per tradurre che cosa? E per chi?...
E qui i problemi si
ampliano e si moltiplicano...
In questo suo libro di
esordio Elisabetta Maltese parte da un punto fermo, indubitabile: «Io sono il
mio pronome / precursore in-attivo in attesa». L’«io» quindi come apparizione
di un «pronome», una entità linguistica tra altre entità linguistiche,
indicatore di un’altra cosa, segnalatore di un altro reale, di una cosa che
vive tra le altre cose in un’altra dimensione, non più gassosa come quella
della Lingua ma dura, rocciosa, pesante come quella misteriosa del «reale». E
il libro sarebbe stato davvero interessante se l’autrice avesse indirizzato la
sua indagine su questa problematica, ma il fatto che il discorso poetico della
Maltese abbia poi sviato dall’assunto di partenza della scomparsa dell’io è
indicativo di una difficoltà oggettiva di porre quel problema al di là dei
termini puramente linguistici e stilistici per la mancanza di un retroterra
stilistico sottostante.
La poesia della Maltese
resta come impigliata entro le maglie che la significazione modellizzata della
poesia femminile ha indotto nell’indotto, come se avesse smarrito il contatto
con le strutture di senso soggiacenti nel linguaggio naturale; di qui la modellizzazione
sonoro-ritmica della sua poesia simile a una colonna sonora e la frequente assenza
di una punteggiatura che funga da guida e da argine alla fluidificazione della significazione.
Cosicché la significazione si dilata in significanze autoreferenziali,
contestualizzate in ritmi sonori con prevalenza assoluta dell’acustica sulla
grammatica, della fonetica sulla fonemica, della fotosintesi sulla chimica
della materia, e così via, alla ricerca di una omogeneizzazione stilistica che
non si dà per legato testamentario o per magia.
Giorgio Linguaglossa
Endecasillabi
Io scrivo per legittima difesa
sono in piazza e lo striscione è di rosso
rabbia per chi non può persino inchiostro
il suo diritto e il mio dovere urgente
grido a rigo di voce sulla carta
di donne figli uomini e di animali
fatti minimi storie da sfatare
che non mi basta il dire o ragionare
è troppo poco – fa vergogna – e allora
conto le mie sillabe come note
di un notturno ne seguo l’incombenza
il suo eseguirlo adagio come posso
restituisco alla mia fortuna il volto
in ombra a rendere più sopportabile
del giorno il piccolo da trasformare.
Carta vince pietra
C’è una misura sottile uno spazio
fra le parole quasi un punto e virgola
volubile come nuvola a marzo
incerto come respiro di donna
in resa o amore. È distanza difficile
da misurare e a guardarla il sorriso
si finge sasso bianco e scintillio
di sguardo, confuso. Eppure
chiude il cerchio delle dita intrecciate
prima del dopo libero di andare.
e si rinasce si rinasce sempre
ché carta vince pietra lo sappiamo
da bambine
Vuoti a restare
Mi necessita morire, di tanto
in-tanto una non esistenza giova
un vuoto dove riporre le cose
un ciclico ricambio cellulare
ché nata femmina educata madre
mi permetta di partorirmi donna
dichiarando vita. Tu che sei nato
uomo (ti prego) cerca di capirmi
Autocombustione
Io sono il mio pronome
un precursore in-attivo in attesa
della pausa all’attimo precedente
la paura che non teme la paura
ma mi scava – sono la stanza dove
la parola muore prima di essere
abitata. In costante mutamento
mi riduco per seminare l’acqua
piantando le mie scorie sulla carta.
Del più e del meno
Se davvero vogliamo chiacchierare
di presenza e di assenza
dobbiamo prima fissare i confini
scegliere il taglio di sguardo, se può
essere verticale
in cerca di risposte sul valore
oppure orizzontale a superare
prospettiche distanze.
Dimmi se vuoi parlare di cellule
di termodinamica
del nulla si distrugge
o improvvisiamo dai parliamo ad occhio
del come io ti sento se mi avvicini
la sedia attaccata alla mia a sfiorarci
gambe labbra in un incrocio di assaggi.
Non basta in questo adesso?
Limoni
Non mi resta che andare.
Prima devo avvicinare le costole
fiocando ogni battito da sipario
(ultimo) sguardo
e intrecciata a una biscroma sarò
nota. Se torno sarà per posare
limoni gialli sul tavolo.
1 commento:
Buongiorno.
Vorrei ringraziare Ennio Abate e Giorgio Linguaglossa per l'ospitalità in queste pagine e per il tempo che mi è stato dedicato. Grazie.
Elisabetta Maltese
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