“Sai cos’è? Fanno così perché cercano di ottenere qualcosa.
Poi, dopo, si arrendono.”
La telefonata che ascolto è rumorosa, di fretta. Una sbrigativa serie
di ipotesi tutte volte al positivo, di frutta, ma troppo dolci.
L’architettura dei viali è mal riuscita, fanno meglio le ombre, il caffè
ma lo spazio tra le cose è pulito. C’è nell’aria un amorevole daffare montano.
Il senso gentile della decenza è nei figli mattinieri ancor nelle lenzuola.
Ristrutturazione del capodanno duemila. Strade interrotte, pochi pensieri
frenetici tecno pizzaioli. Null’altro, mi pare.
Forse più tardi una spoglia insalata di riso, la stramba versione acustica
di Eric Clapton. Camicie col colletto aperto, meridionali del nord-est
sudisti dell’ultimo piano, centinaia di persone gemelle che non si guardano.
Visite della finanza sui piatti coreani ancora vuoti.
Scrivere certe mattine è scartabellare. Nessuna parola liquorosa, troppe
fette di sole. I semafori tutti rossi.
“Non può mettere la moto qui”
“Un attimo, mi sta suonando il telefono...”
“Lo dico perché...”
Guardo guardo. Un piccione prende il volo.
Oh, come una stella del Louvre una ragazza si affaccia nella vetrina.
Guardo, mi guardate.
Di qualcuno che passa si nota la suola delle scarpette tra i passetti rapidi.
E’ verde.
Il futuro dovrà pur cominciare da un colore. Un verde mela, ma finto
molto finto.