- La chiave di lettura dell'arte ce l'hanno i critici? I quali capiranno se il lavoro sottoposto al loro giudizio è solo scaturito da un bisogno, da uno sfogo dell'artista o da altro?
Proverò a rispondere alle tue domande un po' per volta. E anche con idee alla rinfusa, come vengono.
La chiave di lettura chi ce l'ha? Ce l'hanno tutti. Ognuno è il miglior critico per sé stesso. Non bisogna avere complessi di inferiorità, che sono dannosi. Quelli di superiorità lo sono molto meno, l'importante è non esternarli in modo sprezzante. Ci sono infiniti artisti, poeti, registi, che a me non piacciono. Non posso e non devo farmeli piacere per forza. Per piacermi un'opera deve essere congeniale alle mie esigenze, ai miei valori, al mio umore quotidiano perfino. E normalmente per motivare il giudizio bisogna capire. Sia il buono che il cattivo gusto si formano lentamente e gradualmente in base agli incontri che facciamo e ovviamente all'educazione permanente che ciascuno cerca o subisce. Non bisogna avere l'ansia di non essere all'altezza.
Ci sono però le istituzioni dell'arte, cioè gruppi di interessati all'arte nel senso nobile, dalle scuole alle fondazioni e ovviamente alle imprese come le case editrici e le gallerie d'arte, ma anche le comunità sparse come la Casa della poesia e la nostra moltitudine, ora anche i blog. Tutti entrano con maggiore o minore potenza ed effetto nella discussione a vari livelli, dal quartiere al mondo intero, reso sempre più accessibile.
Tuttavia l'arte dovrebbe essere quella cosa che compensa e appaga nella creazione e nella fruizione stessa, senza aspirare ad onori, riconoscimenti, stipendi o diritti d'autore. Scrivere e leggere le poesie deve soddisfare nell'atto stesso dell'esperienza. Ogni lettore è un'istituzione culturale che legge e si forma, e quando parla di ciò che ha letto è automaticamente un critico. Però quando leggi fai un'esperienza; invece, quando parli di ciò che hai letto, riesci a comunicare e convincere gli altri solo se ti fai capire. Perciò devi essere più razionale possibile. La critica di professione dovrebbe avere questa capacità di farsi capire per mestiere appunto. Data per scontata la buona fede, e non la pubblicità editoriale
Ma una cosa è spiegare e una cosa è instillare un gusto. Di solito spiegando educhi il gusto, ma non necessariamente. Le autorità istituzionali che condizionano i canoni non sono infallibili, e il canone si è frantumato in innumerevoli direzioni, il che a mio parere è un bene.
La quantità non fa qualità, anche se qualcosa di buono ci sarà in un film che tutti vanno a vedere. Probabilmente non il meglio, perché "la massa abbassa". Ma il valore degli artisti, dice Frye, sale e scende come le azioni in borsa. E anche questo è un bene, proprio perché la cultura umana, dalla poesia ai videogiochi è sempre in movimento e tutti i tratti stilistici (pensa ai pantaloni a vita bassa) hanno una loro ragion d'essere. Anche cattiva. I gusti di massa anche della peggior specie, magari sono apprezzati per la facilità, il poco impegno necessario a capirli, oppure per certi aspetti che per me sono volgari. Ma il rimedio al cattivo gusto, (cattivo gusto o superficialità che non sta tutto nella cultura di massa, ma talvolta negli artisti più costosi: per me Damien Hirst, Cattelan, Vanessa Beecroft, Jeff Koons) è la discussione. Come quelle che facciamo noi della moltitudine. Ma cercando di essere esplicativi e non limitandosi a esternare la propria irritazione.
Su un secondo punto: da dove scaturisce l'arte. Da qualsiasi cosa, ma l'origine non fa poesia, è il risultato finale che la fa. Se scrivi una poesia perché hai il mal di pancia, va benissimo. Ciò che importa è come l'esperienza qualsiasi che ti muove diventa forma, colore, parola affascinante come il canto delle sirene o la musica che usciva dalle torture inflitte nel toro rovente di Falaride. Quale che sia il materiale con cui costruisci la casa, la casa è qualcosa di diverso dal materiale che hai usato. Così l'opera d'arte.
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