martedì 21 febbraio 2012

Mario Mastrangelo
Pe' carnevale



Pe'  carnevale                                                   

Aggio deciso,                                                                
pe' carnevale                             
me voglio veste                                     
ra uno normale,                                                 
e ghì' giranno,                            
allegro, sicuro,
miez'  a curiandule
'e tutt' 'e culure.


Voglio esse uno
ca miez' 'a gente
porta na faccia
ca pare cuntenta,

ca esce fore,
e nun se chiure
rint' 'o turmiento
'e mille paure.

Uno ca nun cunosce,
nun sape,
tutt' 'e pazzie
ca tene 'nt' 'a capa.

Voglio paré'
uno ch' è forte,
e nun s' affligge
penzanno â morte,

ca nun ha fatto
ancora 'a scuperta,
ca ce sta attuorno
friddo 'o deserto,

e nun s' accorge
ca tra isso e l' ate
se stenne fitto
nu filo spinato.

Ra n' ommo nuovo
me voglio veste,
tutt' 'a nuttata
facenno festa.

Fino â matina,
quanno, tranquillo,
levo 'e curiandule
'a rinto 'e capille,

e me torno
a mette 'o vestito,
ca ncuollo a me
ha cusuto sta vita.                  



 A carnevale

Ho deciso,
per carnevale
voglio vestirmi
da uno normale,

e andare girando,
allegro, sicuro,
in mezzo a coriandoli
di tutti i colori.

Voglio essere uno
che tra la gente
porta una faccia
che sembra contenta,

che esce fuori
e non si chiude
nel tormento
di mille paure.

Uno che non conosce,
non sa
tutte le follie
che ha nella testa.

Voglio sembrare
uno ch’è forte
e non si affligge
pensando alla morte,

che non ha fatto
ancora la scoperta
che ci sta attorno
freddo il deserto,

che non si accorge
che tra lui e gli altri
si stende fitto
un filo spinato.

Da un uomo nuovo
voglio vestirmi,
tutta la notte
facendo festa.

Fino al mattino
quando tranquillo
tolgo i coriandoli
dai capelli

e torno
a indossare il vestito
che addosso a me
ha cucito la vita.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

meravigliosa. I coriandoli dalla testa non dovremmo togierli mai. Bravo e grazie .Emy
p.s.: Il dialetto campano è bello e così musicale!

Anonimo ha detto...

quando la poesia è poesia, in dialetto o in italiano
l'emozione è sempre la stessa, cara Emy.

Anonimo ha detto...

Incredibile versi brevi e snelli capaci di spazzare via polemiche sterili sulla poesia. Una poesia questa che non si consuma. Non vorrei cadere negli stereotipi ma è che ho un debole per la lingua di Napoli e questa poesia la rende estremamente viva e attuale. enzo

Anonimo ha detto...

@Mario - Lo so che qualcuno vorrebbe in questi commenti "sangue e arena" (ed è un po' triste osservare - o meglio, fa riflettere - che i post più affollati sono proprio quelli in cui le polemiche si fanno più taglienti)...ma che ci posso fare se la tua poesia mi è proprio piaciuta? Normalmente non amo la poesia dialettale, ma semplicemente perché, capendoci poco, mi devo rifare alla trascrizione in lingua. In questa tua poesia, Mario, la comprensibilità è massima, e non ce n'è stato bisogno. Come al solito sento un enorme divario fra le due versioni, e mi pare evidente come una poesia (in qualunque lingua essa sia), privata della sua fonetica e ritmo originali, diventi altro da sé, un opaco riflesso di quella luce; e penso che ciò avvenga, né più né meno, per la Szymborska come per qualsiasi altro poeta tradotto (anche se c'è traduzione e traduzione, ovviamente...).
Grazie e ciao,
Flavio

Anonimo ha detto...

La vita addosso ci cuce vestiti portati quasi sempre con un certo disagio. Da qui il desiderio di uscire fuori di sé e di essere altro da ciò che si è, “uomo nuovo”, almeno a carnevale e per una nottata… Straordinaria la profondità che questa poesia riesce a raggiungere attraverso una leggerezza quasi impalpabile e tutta sua. Complimenti e fraterni saluti
Donato

Anonimo ha detto...

Uomo nuovo, uomo normale. L'uomo giusto per carnevale. Che non soffrendo dentro di se' non vede sofferenza intorno. Che non avendo dentro fili spinati e deserti non ne vede neanche intorno. L'uomo ideale, l'uomo che verrà?
Mario Mastrangelo ce lo mostra con amarezza ma regalandoci un respiro di sollievo, perché dentro siamo tutti così. Altrimenti questa poesia non la capirebbe nessuno.
Ben scritta, veloce incalzante. In dialetto è un recitato, la chiusa di una commedia di Pulcinella, maschera purissima che mai si trasformò nel mimo triste Pierrot.
Complimenti.

mayoor

Anonimo ha detto...

Caro Mario, la tua poesia sul Carnevale nel dialetto, che ha il dono di farsi leggere anche senza traduzione,ci presenta un uomo nuovo che è tutti noi.Indossiamo per un poco la" maschera",sapendo già ,interiormente, che la realtà è un'altra,quella che la vita ci ha cucito addosso.
Pensieri che ci hai comunicato con apparente leggerezza e in versi raffinati.
Maria Maddalena

Anonimo ha detto...

Davvero bella...
Lascia un poco di amarezza, un po'come il rientro alla quotidianità dopo la festa. Un'amarezza che è sorella a quella che sento quasi sempre la domenica pomeriggio.
C'è anche l'altra amarezza, quella di poter cambiare abito ma non la pelle ed il suo vissuto.
Piaciuta sia in dialetto che in lingua...ma in dialetto rende molto di più, è piu' musicale.

Augusto Villa.

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con Augusto che fa una analisi perfetta, di mio volevo aggiungere che non tutte le poesie in dialetto mi piacciono ma "Pè carnevale" è formidabile. enzo

Anonimo ha detto...

...sì, Mario ci ha abituato alla delicatezza, alla riflessività e alla vivezza dei suoi versi in dialetto. In più mi sembra che adatti il dialetto ad una comprensibilità più ampia. Qualcuno all'inizio del blog lo notava che questa poesia la si capisce bene anche letta in dialetto. Accade abbastanza spesso con le poesie in dialetto di Mario. Chissà che in futuro non riesca anche ad ampliare l'ambito degli argomenti affrontabili usando il dialetto...
Quando si è presentato il libro di Ennio (l'Immigratorio) a Roma si è sfiorato questo argomento ed Ennio sosteneva che non è possibile poetare in dialetto su temi come la guerra o altri argomenti d'impegno civile. Su questo punto mi piacerebbe vederlo smentito. Da Mario o da altri.
un caro saluto a tutti
marcella

Anonimo ha detto...

Le poesie scritte in dialetto a me sembra rimandino all'oralità, anche quando sono scritte con metrica. Il linguaggio parlato è sovrastante, assai più di quanto accade nelle poesie in lingua. Ma l'italiano è lingua ufficiale, è quella in uso dalle istituzioni e fa da tramite tra queste e la popolazione. Suppongo sia per questo che per trattare di temi sociali si preferisca l'universalità della lingua italiana. Anche se il grido (e il canto) dialettale sono di gran lunga più forti, proprio per quella componente di oralità che dicevo e che la lingua italiana stenta a mettere in campo. Mi sembra che il parlato trovi esiti più felici in prosa che in poesia. D'altra parte la tradizione poetica italiana è di provenienza alto borghese, e non sempre è concesso di uscirne. Tutt'al più del prosastico. Ed ancora siamo lì, perché il basso è associato al brutto.

Mayoor

Anonimo ha detto...

Fra razionale e irrazionale
Se faccio un'analisi a pelle mentre leggo "Pe Carnevale" mi lascio trasportare e penso che il dialetto è sicuramente più espressivo della lingua italiana se invece uso la ragione cambia la prospettiva.
E' probabile che per la poesia "Pè Carnevale" o in generale Mastrangelo adatti la sua lingua (dialetto) ad una più ampia comprensibilità che corrisponde sia ad un criterio di democrazia sia ad un bisogno oggettivo di essere capito da più persone. Semplifico : anche Buttitta o Dante se avessero usato rispettivamente il dialetto e il volgare in maniera rigida avrebbero assistito ad un calo dell "audience". Non credo però che l'espressività aumenti con il dialetto si può anzi dire che l'italiano è dotato allo stesso modo di grandissima espressività. Credo che non si possano fare paragoni non si può dire che in assoluto il dialetto sia più espressivo dell'italiano. Forse si può dire che ad es. "Pè Carnevale " è poesia di grande espressività ma come lo si può dire di una poesia in lingua italiana. E’vero anche che il dialetto al contrario della lingua” è più resistente a certi mutamenti linguistici ma l'omologazione causata dalla società dei consumi di cui profeticamente parlava Pasolini, i mutamenti antropologici e linguistici degli anni sessanta (e seguenti) hanno colpito impoverendoli sia la lingua italiana di quel tempo che il dialetto. Della lingua italiana invece si può dire che per ragioni storiche è nata come lingua di una borghesia stracciona che nulla “concedeva”, una lingua borghese per addetti ai lavori che non ha fatto il benchè minimo sforzo per democratizzarsi. (data la dicotomia tra lingua italiana ufficiale e registro quotidiano potrebbe nascere una domanda “Di quale lingua stiamo parlando?”).Ma sia il dialetto che la lingua corrispondono anche a differenti concezioni del mondo quindi non comparabili.
E' vero che per certe tematiche è necessario avere come punto di riferimento la lingua italiana. Se devo parlare di guerra tecnologica di fenomeni sociali o trasformazioni legate alla divisione del lavoro (mi riferisco a problematiche come “Job rotation”, “Job evaluation”, Just in time”, “Out and Backsourcing ecc.) e ai discorsi o i conflitti che ne derivano, in una parola alla globalizzazione, la lingua italiana mi sembra più adatta. In questi casi per necessità devo usare la lingua italiana ed essa è meno adeguata a livello globale ad es. della lingua inglese, imperialista ma utile per esprimere certi fenomeni. E’ possibile che in futuro sempre più poeti scriveranno in lingua inglese. Ma anche qui credo non potremmo fare comparazioni tra chi scrive in inglese puro, ammesso che esista, chi scrive in Indian English, Australian English South African English, “European English” ecc.
enzo

Anonimo ha detto...

... e i lettori? scriveremo solo per chi sa leggere l'inglese?
continuo a pensare che sarebbe opportuno che ci si provasse anche a scrivere versi in dialetto sulla guerra e versi in italiano su fenomeni come le moderne forme di lavoro, funzionali al capitale, che non a caso sono conosciute (forse non solo agli addetti ai lavori) con termini in inglese.
(marcella)