Pe' carnevale
Aggio
deciso,
pe'
carnevale
me voglio
veste
ra uno
normale,
e ghì'
giranno,
allegro,
sicuro,
miez' a curiandule
'e tutt'
'e culure.
Voglio
esse uno
ca miez'
'a gente
porta na
faccia
ca pare
cuntenta,
ca esce
fore,
e nun se
chiure
rint' 'o
turmiento
'e mille
paure.
Uno ca
nun cunosce,
nun sape,
tutt' 'e
pazzie
ca tene
'nt' 'a capa.
Voglio
paré'
uno ch' è
forte,
e nun s'
affligge
penzanno
â morte,
ca nun ha
fatto
ancora 'a
scuperta,
ca ce sta
attuorno
friddo 'o
deserto,
e nun s'
accorge
ca tra
isso e l' ate
se stenne
fitto
nu filo
spinato.
Ra n'
ommo nuovo
me voglio
veste,
tutt' 'a
nuttata
facenno
festa.
Fino â
matina,
quanno,
tranquillo,
levo 'e
curiandule
'a rinto
'e capille,
e me
torno
a mette
'o vestito,
ca
ncuollo a me
ha cusuto
sta vita.
Ho deciso,
per
carnevale
voglio
vestirmi
da uno
normale,
e andare
girando,
allegro,
sicuro,
in mezzo a
coriandoli
di tutti i
colori.
Voglio
essere uno
che tra la
gente
porta una
faccia
che sembra
contenta,
che esce
fuori
e non si
chiude
nel
tormento
di mille
paure.
Uno che non
conosce,
non sa
tutte le
follie
che ha
nella testa.
Voglio
sembrare
uno ch’è
forte
e non si
affligge
pensando
alla morte,
che non ha
fatto
ancora la
scoperta
che ci sta
attorno
freddo il
deserto,
che non si
accorge
che tra lui
e gli altri
si stende
fitto
un filo
spinato.
Da un uomo
nuovo
voglio
vestirmi,
tutta la
notte
facendo
festa.
Fino al
mattino
quando
tranquillo
tolgo i
coriandoli
dai capelli
e torno
a indossare
il vestito
che addosso a me
ha cucito la vita.
13 commenti:
meravigliosa. I coriandoli dalla testa non dovremmo togierli mai. Bravo e grazie .Emy
p.s.: Il dialetto campano è bello e così musicale!
quando la poesia è poesia, in dialetto o in italiano
l'emozione è sempre la stessa, cara Emy.
Incredibile versi brevi e snelli capaci di spazzare via polemiche sterili sulla poesia. Una poesia questa che non si consuma. Non vorrei cadere negli stereotipi ma è che ho un debole per la lingua di Napoli e questa poesia la rende estremamente viva e attuale. enzo
@Mario - Lo so che qualcuno vorrebbe in questi commenti "sangue e arena" (ed è un po' triste osservare - o meglio, fa riflettere - che i post più affollati sono proprio quelli in cui le polemiche si fanno più taglienti)...ma che ci posso fare se la tua poesia mi è proprio piaciuta? Normalmente non amo la poesia dialettale, ma semplicemente perché, capendoci poco, mi devo rifare alla trascrizione in lingua. In questa tua poesia, Mario, la comprensibilità è massima, e non ce n'è stato bisogno. Come al solito sento un enorme divario fra le due versioni, e mi pare evidente come una poesia (in qualunque lingua essa sia), privata della sua fonetica e ritmo originali, diventi altro da sé, un opaco riflesso di quella luce; e penso che ciò avvenga, né più né meno, per la Szymborska come per qualsiasi altro poeta tradotto (anche se c'è traduzione e traduzione, ovviamente...).
Grazie e ciao,
Flavio
La vita addosso ci cuce vestiti portati quasi sempre con un certo disagio. Da qui il desiderio di uscire fuori di sé e di essere altro da ciò che si è, “uomo nuovo”, almeno a carnevale e per una nottata… Straordinaria la profondità che questa poesia riesce a raggiungere attraverso una leggerezza quasi impalpabile e tutta sua. Complimenti e fraterni saluti
Donato
Uomo nuovo, uomo normale. L'uomo giusto per carnevale. Che non soffrendo dentro di se' non vede sofferenza intorno. Che non avendo dentro fili spinati e deserti non ne vede neanche intorno. L'uomo ideale, l'uomo che verrà?
Mario Mastrangelo ce lo mostra con amarezza ma regalandoci un respiro di sollievo, perché dentro siamo tutti così. Altrimenti questa poesia non la capirebbe nessuno.
Ben scritta, veloce incalzante. In dialetto è un recitato, la chiusa di una commedia di Pulcinella, maschera purissima che mai si trasformò nel mimo triste Pierrot.
Complimenti.
mayoor
Caro Mario, la tua poesia sul Carnevale nel dialetto, che ha il dono di farsi leggere anche senza traduzione,ci presenta un uomo nuovo che è tutti noi.Indossiamo per un poco la" maschera",sapendo già ,interiormente, che la realtà è un'altra,quella che la vita ci ha cucito addosso.
Pensieri che ci hai comunicato con apparente leggerezza e in versi raffinati.
Maria Maddalena
Davvero bella...
Lascia un poco di amarezza, un po'come il rientro alla quotidianità dopo la festa. Un'amarezza che è sorella a quella che sento quasi sempre la domenica pomeriggio.
C'è anche l'altra amarezza, quella di poter cambiare abito ma non la pelle ed il suo vissuto.
Piaciuta sia in dialetto che in lingua...ma in dialetto rende molto di più, è piu' musicale.
Augusto Villa.
Sono d'accordo con Augusto che fa una analisi perfetta, di mio volevo aggiungere che non tutte le poesie in dialetto mi piacciono ma "Pè carnevale" è formidabile. enzo
...sì, Mario ci ha abituato alla delicatezza, alla riflessività e alla vivezza dei suoi versi in dialetto. In più mi sembra che adatti il dialetto ad una comprensibilità più ampia. Qualcuno all'inizio del blog lo notava che questa poesia la si capisce bene anche letta in dialetto. Accade abbastanza spesso con le poesie in dialetto di Mario. Chissà che in futuro non riesca anche ad ampliare l'ambito degli argomenti affrontabili usando il dialetto...
Quando si è presentato il libro di Ennio (l'Immigratorio) a Roma si è sfiorato questo argomento ed Ennio sosteneva che non è possibile poetare in dialetto su temi come la guerra o altri argomenti d'impegno civile. Su questo punto mi piacerebbe vederlo smentito. Da Mario o da altri.
un caro saluto a tutti
marcella
Le poesie scritte in dialetto a me sembra rimandino all'oralità, anche quando sono scritte con metrica. Il linguaggio parlato è sovrastante, assai più di quanto accade nelle poesie in lingua. Ma l'italiano è lingua ufficiale, è quella in uso dalle istituzioni e fa da tramite tra queste e la popolazione. Suppongo sia per questo che per trattare di temi sociali si preferisca l'universalità della lingua italiana. Anche se il grido (e il canto) dialettale sono di gran lunga più forti, proprio per quella componente di oralità che dicevo e che la lingua italiana stenta a mettere in campo. Mi sembra che il parlato trovi esiti più felici in prosa che in poesia. D'altra parte la tradizione poetica italiana è di provenienza alto borghese, e non sempre è concesso di uscirne. Tutt'al più del prosastico. Ed ancora siamo lì, perché il basso è associato al brutto.
Mayoor
Fra razionale e irrazionale
Se faccio un'analisi a pelle mentre leggo "Pe Carnevale" mi lascio trasportare e penso che il dialetto è sicuramente più espressivo della lingua italiana se invece uso la ragione cambia la prospettiva.
E' probabile che per la poesia "Pè Carnevale" o in generale Mastrangelo adatti la sua lingua (dialetto) ad una più ampia comprensibilità che corrisponde sia ad un criterio di democrazia sia ad un bisogno oggettivo di essere capito da più persone. Semplifico : anche Buttitta o Dante se avessero usato rispettivamente il dialetto e il volgare in maniera rigida avrebbero assistito ad un calo dell "audience". Non credo però che l'espressività aumenti con il dialetto si può anzi dire che l'italiano è dotato allo stesso modo di grandissima espressività. Credo che non si possano fare paragoni non si può dire che in assoluto il dialetto sia più espressivo dell'italiano. Forse si può dire che ad es. "Pè Carnevale " è poesia di grande espressività ma come lo si può dire di una poesia in lingua italiana. E’vero anche che il dialetto al contrario della lingua” è più resistente a certi mutamenti linguistici ma l'omologazione causata dalla società dei consumi di cui profeticamente parlava Pasolini, i mutamenti antropologici e linguistici degli anni sessanta (e seguenti) hanno colpito impoverendoli sia la lingua italiana di quel tempo che il dialetto. Della lingua italiana invece si può dire che per ragioni storiche è nata come lingua di una borghesia stracciona che nulla “concedeva”, una lingua borghese per addetti ai lavori che non ha fatto il benchè minimo sforzo per democratizzarsi. (data la dicotomia tra lingua italiana ufficiale e registro quotidiano potrebbe nascere una domanda “Di quale lingua stiamo parlando?”).Ma sia il dialetto che la lingua corrispondono anche a differenti concezioni del mondo quindi non comparabili.
E' vero che per certe tematiche è necessario avere come punto di riferimento la lingua italiana. Se devo parlare di guerra tecnologica di fenomeni sociali o trasformazioni legate alla divisione del lavoro (mi riferisco a problematiche come “Job rotation”, “Job evaluation”, Just in time”, “Out and Backsourcing ecc.) e ai discorsi o i conflitti che ne derivano, in una parola alla globalizzazione, la lingua italiana mi sembra più adatta. In questi casi per necessità devo usare la lingua italiana ed essa è meno adeguata a livello globale ad es. della lingua inglese, imperialista ma utile per esprimere certi fenomeni. E’ possibile che in futuro sempre più poeti scriveranno in lingua inglese. Ma anche qui credo non potremmo fare comparazioni tra chi scrive in inglese puro, ammesso che esista, chi scrive in Indian English, Australian English South African English, “European English” ecc.
enzo
... e i lettori? scriveremo solo per chi sa leggere l'inglese?
continuo a pensare che sarebbe opportuno che ci si provasse anche a scrivere versi in dialetto sulla guerra e versi in italiano su fenomeni come le moderne forme di lavoro, funzionali al capitale, che non a caso sono conosciute (forse non solo agli addetti ai lavori) con termini in inglese.
(marcella)
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