sabato 17 marzo 2012

Sabino Caronia
Valentino Campo
ovvero l’arte di scavare pozzi



«La migliore poesia degli anni Novanta parte da lì, dal punto in cui pratica come un foro nel terreno alla ricerca di un misterioso combustibile (“l’arte di scavare pozzi”, dirà Valentino Campo): l’interrogazione del fondamento che non c’è».
Queste parole di Giorgio Linguaglossa nel recente volume Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana 1945-2010 (Edilazio 2011) ben si prestano ad introdurre alcune nostre considerazioni sulla poesia di Valentino Campo.
E appunto al Nostro, come risulta dal componimento che apre la raccolta L’arte di scavare pozzi, La quarta guerra sannitica, non resta altro da fare che ripartire dalla «quarta guerra sannitica», e quel componimento di esordio vuole essere appunto una metafora dell’intellettuale contemporaneo: «Scrivo da una zattera di pietra. / Ho inciso ogni tronco con la testa / del giavellotto, / unto di sterco il mio volto. / Cosa ci faccio / in questa selva di vetro? / i romani dove sono? / non li vedo. / Non so la rotta / la mia e di questo scoglio, / non cerco indizi in alto, tra le foglie. / Affilo punte di selce / preparo il rancio, / passo in rassegna ombre / poi scavo, / ancora.».

            Il ricorrere, non solo in questo primo componimento (e si veda in proposito, ad esempio, Angelica), dei termini “magma” e “filamento” non può non richiamare la poesia di Mario Luzi, il Luzi di Dal fondo delle campagne (1965) e di Nel magma (1963 e 1966), al cui rigore guarda certamente il Nostro: «il duro filamento di elegia», il bisogno di calare la poesia «nel magma», nella massa informe e caotica della realtà con la rivincita di una nuova forma e di un nuovo ritmo.
            Come noto, nel volume L’opera poetica di Mario Luzi, che ha visto la luce nel 1998 nella collana I Meridiani di Mondadori, dopo il primo ciclo, Il giusto della vita, e dopo il secondo, Nell’opera del mondo, di cui fanno parte i sopracitati Dal fondo delle campagne (tra i cui componimenti significativi basterà qui segnalare, oltre al citato Siesta, Augurio, il componimento che dà il titolo alle due sezioni) e Nel magma, è aggiunto un terzo ciclo, Frasi nella luce nascente, nel quale sono raggruppate le raccolte dal 1985 in poi, a partire da Per il battesimo dei nostri frammenti.
            Certo è questo motivo della luce che ritorna significativamente in Valentino Campo («chiede alla luce / più luce») e con esso il motivo della fedeltà, la fedeltà alla vita, l’essere fedele alla vita, quella consapevolezza che attraversa tutta l’opera di Luzi.
            Nell’introduzione a Cronache dell’altro mondo Stefano Verdino, dopo aver sottolineato che il boom della letteratura sudamericana coincide per Luzi con la profonda trasformazione della sua poesia, osserva che il fatto che la definizione di Cent’anni di solitudine («fedeltà alla vita») coincida con una poesia tema di Sui fondamenti invisibili, Vita fedele alla vita può valere da sigla al vitale nutrimento che quella stagione di romanzi ha dato alla sua poesia in mutamento. E a proposito di questa «fedeltà alla vita» non è forse un caso che la mia conoscenza del poeta di Vita fedele alla vita si debba a Elio Fiore, il poeta di Vita ti prometto di essere fedele.
Ma ritorniamo al nostro discorso.
            È nota la classificazione della poesia italiana proposta da Oreste Macrì nel 1953, secondo cui alla prima generazione, dei poeti nati tra il 1881 e il 1890 (Saba, Cardarelli, Ungaretti), segue la seconda, tra il 1896 e il 1901 (Montale, Solmi, Quasimodo) e la terza (Caproni, Bertolucci, Luzi, con l’aggiunta di Sinisgalli, Pavese, Gatto, Sereni, Pozzi) insidiata dalla quarta (Erba, Pasolini, Zanzotto, Testori).
Ora appunto sono proprio i poeti di questa «terza generazione» che, resistendo agli attacchi della neoavanguardia, si sono rivelati autori di straordinaria longevità creativa, autentici maestri.
            Il felice ricominciamento si è verificato per Luzi con Per il battesimo dei nostri frammenti segnato dalla ritrovata libertà di scansione nella versificazione, che il libro ha confermato e arricchito.
            Sanguineti, Balestrini, Porta, teorizzati da Anceschi e Eco, hanno operato uno scavo profondo nella lingua, ne hanno ventilato le radici e la ventilazione ha avuto esiti perfino in Luzi che senza le neoavanguardie non avrebbe avuto l’agio di disporre così liberamente le parole sulla pagina e non avrebbe ritrovato le accensioni ermetiche.
            Libro alto e difficile, salutarmente difficile, questo, un volume fondamentale di Luzi che ci piace richiamare a proposito della raccolta di Valentino Campo di cui, forse non a caso, una sezione, dedicata a una bambina del Salento, è intitolata Angelica come l’omonima sezione del libro di Luzi.
            Tutto il libro di Luzi, infatti, è, come noto, attraversato da una presenza femminile che emerge nella sezione Angelica.
L’Angelica luziana ha in comune con quella ariostesca la perpetua fuga o, meglio, il carattere sfuggente, l’inclassificabilità, l’insoddisfazione per quanto viene offerto e non cercato. Angelica senza Medoro, e conscia della finitezza di Medoro stesso, in un rimando ulteriore alla sete di infinito.
            Per concludere ricordo che Giorgio Linguaglossa nel citato suo saggio richiama per Luzi la linea orfico-sapienziale Campana-Rebora-Luzi-Zanzotto indicata da Giorgio Agamben.
E certo i termini “metafisico” e “metafisica” ben si attagliano anche alla raccolta poetica di Valentino Campo, e vien fatto di pensare a quanto scrive Giorgio Linguaglossa a proposito della poesia degli anni Novanta, quando osserva: «V’è metafisica soltanto là dove quel che resta è soltanto un’assenza che non rimanda ad alcuna presenza. Il che rimanda di ritorno alla necessità di un logos fondato sulla interrogazione, sulla differenza problematologica domanda-risposta e non sull’indifferenziazione proposizionalista delle ultimissime poetiche epigone».

Tre poesie di Valentino Campo

Domenica delle Palme

Vidi, lo vidi
il nero della seppia
nel nero che recide
l'ombra dal suo doppio.
Persi la rotta nel timpano
                       del fiume,
gettai alla riva
all'ansa la mia voce,
al luccio chiesi
l'aria dei suoi bronchi
il filamento nel pantano;
all'onda resi
il sale dei miei anni.
 
Lunedì Santo

Ti so, ti sento,
ombra, mia presenza,
nel cavo dell'iride che sgrossa
il dalmata a nuoto nel trifoglio,
palla e fanciulla saldi al chiostro
stillano il miele dell'astro.
E tu ti celi nel cono
dei suoi dardi, nel midollo
delle cose, la schiena devo darti
se voglio il tuo perdono.
  
Angelica

La trinità si mosse
in un cono
di luce,
            sazia di luce
si guardò intorno
in un'aria di mosche.
Dal basso
risaliva la corrente
di sterpi lavati
con l'acqua dei cani.
Ora che tutto stava
           per compiersi
sentiva la scure
invocare il legno,
un ronzio d'incenso
benedire i suoi passi.

******
Angelica non parla,
dà la saliva
al nido delle tarme,
poi arriva al masso
dove il ramarro
                   dorme,
lo scuote, gli dà il cambio,
                     sale
per vedere il mare.


           

*Valentino Campo è nato e vive a Campobasso dove insegna presso il Liceo Scientifico Statale "A. Romita". Dirige insieme a Luigi Fabio Mastropietro il "Quaderno internazionale di segni contemporanei AltroVerso".

            

1 commento:

giorgio linguaglossa ha detto...

la poesia di Valentino Campo si distingue per il suo rigore formale e concettuale. Il traslato e la metafora costituiscono le basi di una ricognizione poetica che punta al principiale, o, detto in parole più semplici, all'essenziale. Campo salta tutto ciò che nella peosia contemporanea comunemente viene accettato come poesia, poesia dell'ovvio, del quotidiano, del commento, della glossa... e così via. il poeta molisano sfronda con l'accetta tutto ciò che sa di artefatto, di politico, di modismo. è, direi, una poesia scomoda, irta di aculei e di armi taglienti che impediscono l'ingresso al suo interno... è, insomma, una poesia che proviene da una intensa meditazione.