«La migliore
poesia degli anni Novanta parte da lì, dal punto in cui pratica come un foro
nel terreno alla ricerca di un misterioso combustibile (“l’arte di scavare
pozzi”, dirà Valentino Campo): l’interrogazione del fondamento che non c’è».
Queste parole
di Giorgio Linguaglossa nel recente volume Dalla
lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana 1945-2010 (Edilazio
2011) ben si prestano ad introdurre alcune nostre considerazioni sulla poesia
di Valentino Campo.
E appunto al
Nostro, come risulta dal componimento che apre la raccolta L’arte di scavare pozzi, La quarta guerra sannitica, non resta altro da fare che ripartire
dalla «quarta guerra sannitica», e quel componimento di esordio vuole essere appunto
una metafora dell’intellettuale contemporaneo: «Scrivo da una zattera di
pietra. / Ho inciso ogni tronco con la testa / del giavellotto, / unto di
sterco il mio volto. / Cosa ci faccio / in questa selva di vetro? / i romani dove
sono? / non li vedo. / Non so la rotta / la mia e di questo scoglio, / non
cerco indizi in alto, tra le foglie. / Affilo punte di selce / preparo il
rancio, / passo in rassegna ombre / poi scavo, / ancora.».
Il
ricorrere, non solo in questo primo componimento (e si veda in proposito, ad
esempio, Angelica), dei termini
“magma” e “filamento” non può non richiamare la poesia di Mario Luzi, il Luzi
di Dal fondo delle campagne (1965) e
di Nel magma (1963 e 1966), al cui
rigore guarda certamente il Nostro: «il duro filamento di elegia», il bisogno
di calare la poesia «nel magma», nella massa informe e caotica della realtà con
la rivincita di una nuova forma e di un nuovo ritmo.
Come
noto, nel volume L’opera poetica di
Mario Luzi, che ha visto la luce nel 1998 nella collana I Meridiani di
Mondadori, dopo il primo ciclo, Il giusto
della vita, e dopo il secondo, Nell’opera
del mondo, di cui fanno parte i sopracitati Dal fondo delle campagne (tra i cui componimenti significativi
basterà qui segnalare, oltre al citato Siesta, Augurio, il componimento che dà il
titolo alle due sezioni) e Nel magma, è aggiunto un terzo ciclo, Frasi nella luce nascente, nel quale
sono raggruppate le raccolte dal 1985 in poi, a partire da Per il battesimo dei nostri frammenti.
Certo
è questo motivo della luce che ritorna significativamente in Valentino Campo
(«chiede alla luce / più luce») e con esso il motivo della fedeltà, la fedeltà
alla vita, l’essere fedele alla vita, quella consapevolezza che attraversa
tutta l’opera di Luzi.
Nell’introduzione
a Cronache dell’altro mondo Stefano
Verdino, dopo aver sottolineato che il boom della letteratura sudamericana
coincide per Luzi con la profonda trasformazione della sua poesia, osserva che
il fatto che la definizione di Cent’anni
di solitudine («fedeltà alla vita») coincida con una poesia tema di Sui fondamenti invisibili, Vita fedele alla
vita può valere da sigla al vitale nutrimento che quella stagione di
romanzi ha dato alla sua poesia in mutamento. E a proposito di questa «fedeltà
alla vita» non è forse un caso che la mia conoscenza del poeta di Vita fedele alla vita si debba a Elio
Fiore, il poeta di Vita ti prometto di
essere fedele.
Ma ritorniamo
al nostro discorso.
È
nota la classificazione della poesia italiana proposta da Oreste Macrì nel
1953, secondo cui alla prima generazione, dei poeti nati tra il 1881 e il 1890
(Saba, Cardarelli, Ungaretti), segue la seconda, tra il 1896 e il 1901
(Montale, Solmi, Quasimodo) e la terza (Caproni, Bertolucci, Luzi, con
l’aggiunta di Sinisgalli, Pavese, Gatto, Sereni, Pozzi) insidiata dalla quarta
(Erba, Pasolini, Zanzotto, Testori).
Ora appunto
sono proprio i poeti di questa «terza generazione» che, resistendo agli
attacchi della neoavanguardia, si sono rivelati autori di straordinaria
longevità creativa, autentici maestri.
Il
felice ricominciamento si è verificato per Luzi con Per il battesimo dei nostri frammenti segnato dalla ritrovata
libertà di scansione nella versificazione, che il libro ha confermato e
arricchito.
Sanguineti,
Balestrini, Porta, teorizzati da Anceschi e Eco, hanno operato uno scavo
profondo nella lingua, ne hanno ventilato le radici e la ventilazione ha avuto
esiti perfino in Luzi che senza le neoavanguardie non avrebbe avuto l’agio di
disporre così liberamente le parole sulla pagina e non avrebbe ritrovato le
accensioni ermetiche.
Libro
alto e difficile, salutarmente difficile, questo, un volume fondamentale di
Luzi che ci piace richiamare a proposito della raccolta di Valentino Campo di
cui, forse non a caso, una sezione, dedicata a una bambina del Salento, è
intitolata Angelica come l’omonima
sezione del libro di Luzi.
Tutto
il libro di Luzi, infatti, è, come noto, attraversato da una presenza femminile
che emerge nella sezione Angelica.
L’Angelica
luziana ha in comune con quella ariostesca la perpetua fuga o, meglio, il
carattere sfuggente, l’inclassificabilità, l’insoddisfazione per quanto viene
offerto e non cercato. Angelica senza Medoro, e conscia della finitezza di
Medoro stesso, in un rimando ulteriore alla sete di infinito.
Per
concludere ricordo che Giorgio Linguaglossa nel citato suo saggio richiama per
Luzi la linea orfico-sapienziale Campana-Rebora-Luzi-Zanzotto indicata da
Giorgio Agamben.
E certo i
termini “metafisico” e “metafisica” ben si attagliano anche alla raccolta
poetica di Valentino Campo, e vien fatto di pensare a quanto scrive Giorgio
Linguaglossa a proposito della poesia degli anni Novanta, quando osserva: «V’è
metafisica soltanto là dove quel che resta è soltanto un’assenza che non
rimanda ad alcuna presenza. Il che rimanda di ritorno alla necessità di un
logos fondato sulla interrogazione, sulla differenza problematologica
domanda-risposta e non sull’indifferenziazione proposizionalista delle
ultimissime poetiche epigone».
Tre poesie di Valentino Campo
Domenica delle Palme
Vidi, lo vidi
il nero della seppia
nel nero che recide
l'ombra dal suo doppio.
Persi la rotta nel timpano
del fiume,
gettai alla riva
all'ansa la mia voce,
al luccio chiesi
l'aria dei suoi bronchi
il filamento nel pantano;
all'onda resi
il sale dei miei anni.
Lunedì Santo
Ti so, ti sento,
ombra, mia presenza,
nel cavo dell'iride che sgrossa
il dalmata a nuoto nel trifoglio,
palla e fanciulla saldi al chiostro
stillano il miele dell'astro.
E tu ti celi nel cono
dei suoi dardi, nel midollo
delle cose, la schiena devo darti
se voglio il tuo perdono.
Angelica
La trinità si mosse
in un cono
di luce,
sazia di luce
si guardò intorno
in un'aria di mosche.
Dal basso
risaliva la corrente
di sterpi lavati
con l'acqua dei cani.
Ora che tutto stava
per compiersi
sentiva la scure
invocare il legno,
un ronzio d'incenso
benedire i suoi passi.
******
Angelica non parla,
dà la saliva
al nido delle tarme,
poi arriva al masso
dove il ramarro
dorme,
lo scuote, gli dà il cambio,
sale
per vedere il mare.
*Valentino Campo è nato e vive a Campobasso dove insegna presso il Liceo Scientifico Statale "A. Romita". Dirige insieme a Luigi Fabio Mastropietro il "Quaderno internazionale di segni contemporanei AltroVerso".
1 commento:
la poesia di Valentino Campo si distingue per il suo rigore formale e concettuale. Il traslato e la metafora costituiscono le basi di una ricognizione poetica che punta al principiale, o, detto in parole più semplici, all'essenziale. Campo salta tutto ciò che nella peosia contemporanea comunemente viene accettato come poesia, poesia dell'ovvio, del quotidiano, del commento, della glossa... e così via. il poeta molisano sfronda con l'accetta tutto ciò che sa di artefatto, di politico, di modismo. è, direi, una poesia scomoda, irta di aculei e di armi taglienti che impediscono l'ingresso al suo interno... è, insomma, una poesia che proviene da una intensa meditazione.
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