lunedì 23 gennaio 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "Sbarco clandestino"
di Dante Maffia


Dante Maffìa Sbarco clandestino Tracce, Pescara, 2011 

Certo, come ho scritto più volte, più il testo si de-letteralizza (prende le distanze dal reale), più il rapporto col reale diventa problematico, e più la problematicità, che è comunque sempre un fatto stilistico-formale, si dà una risposta che è sempre problemato-logica, e retorico-stilistica. Per contro, più il testo si letteralizza (tende a riprodurre mimeticamente il reale), più la problematicità e la conseguente resa iconica e figurativa, tenderà verso forme di «realismo». Ora, non c’è dubbio che Sbarco clandestino di Dante Maffìa oscilli tra queste due dimensioni della scrittura poetica.
Ecco, direi che se fosse stato inventato l’oscillometro, cioè un congegno che misuri le oscillazioni stilistiche della scrittura poetica, sarebbe facile conferire a questa scrittura poetica il parametro di mille millesimi, ammesso che il campo di oscillazione massima sia di mille millibar su un quadrante di mille chilometri. Sarebbe un utile ausilio per i critici letterari e per chi si occupa di libri di poesia, dico, questo strumento, ed è ben strano che nessun fisico ci abbia mai pensato in precedenza, di inventare questa sorta di voltmetro con un ago che indica la misura numerica dell’oscillazione stilistica di un testo.
E così daccapo, la scrittura maffiana non dà riposo, non dà tregua al lettore, lo tiene inchiodato alla lettura (evento questo ben raro oggidì) per via della sua fame d’essere, fame di corporeità e di concretezza che lo porta a mettere insieme (dico nello stesso verso e nella stessa composizione) una grande congerie di terra e di mondo (tanto per usare categorie heideggeriane), direi di terriccio e di mondiccio (o meglio: mondaccio) perché è ben presente e diffusa l’insolente presenza del poeta nei panni di Rigoletto, di Amleto e di Falstaff, un tourbillon, una sarabanda di concretezza, di esasperazione e di surrazionale (per dirla con Bertoldo) davvero inconsuete nella poesia così ben educata ed edulcorata delle nostre lettere...
Come un serpente che si morde la coda: il tratto dal problematologico al formale-stilistico si traduce in un triplice salto mortale. Come nel meccanismo delle scatole cinesi e come nelle ultimissime presentazioni della struttura dell’universo: atomico, sub-atomico e infra-atomico, nella lettura maffiana del mondo c’è:
a) il quotidiano;
b) al suo interno ci troviamo la commedia e il dramma;
c) all’interno di quest’ultima scatola ci troviamo: il distanziamento dallo sguardo di chi guarda.  Leggiamo un brano a pag. 109:

Verso sera si compì la vicenda.
Steso il verbale chiuso il caso.
Lei tornò a casa e lui la seguì
la raggiunse alla porta domandò di entrare.
La cucina invasa dalle mosche – sul tavolo
briciole due banconote bottiglie
mezzo piene una grattugia un cavatappi
due pentole un pettine – un pettine
in cucina,? Dio, ma questa...
in una cesta la frutta già andata un binocolo
e tovaglioli accartocciati... sporchi, Dio che schifo...
la puzza è proprio forte apriamo la finestra?

Oserei dire che ad una unità di figuratività questa poesia oscilla fino ad un massimo di referenzialità e di espressionismo; così ponendo le cose Maffìa scava, sbuccia le parole e le tematiche, che vanno da quelle del realismo a quelle del surrazionale e dell’irreale, con la stessa leggerezza con cui Ariosto fa passeggiare il cavallo Ippogrifo su per la luna alla ricerca del cervello di Orlando nel frattempo andato alla malora. Così, Maffìa sciabola fendenti e ritratti, dipana tracce vere e false tracce, scava nel fossato che si istituisce tra il letterale (il reale fuori della parola) e il figurato (del discorso poetico), a scapito dell’autonomia del significato (il quale sta dentro il mondo e dentro il discorso poetico, non fuori).
Che poi il problema del k«lirico» non sia un problema per l'autore, questo lo si deduce agevolmente dalla sua poesia che può spaziare da una storia d’amore a una scena di terremoto attraverso un dialogo (surreale e surrazionale) tra il terremoto e una bambina; i paesaggi sono sempre stipati e costipati di personaggi, di cose, di piante, di cielo e terra, tanta terra... dove però trascorrono espressionismi e ulcerazioni figurative di più età stilistiche, in una precipitazione retinica e psicologica così, come alla rinfusa di un eccesso stabilito in anticipo, alla rinfusa di un eccesso che sta inscritto nella legge generalissima dell’entropia di tutti i linguaggi.

Bambina:
Mamma, mamma, vieni, rispondimi, ho paura.
Questo mi dice che non puoi parlare? Perché?
Che t’hanno fatto? Mamma, vieni, la tazza m’è caduta,
il latte s’è versato, trema tutto intorno.

Terremoto
Bambina, mi piace la tua voce, ma io non posso
salvarti da nulla. Io sono tutto ciò ch’è detto morte,
sono l’assenza, il niente che rinnova
l’antico e senza una ragione. Sono il male, dicono...

Epilogo di un tempo trascorso? Prologo della poesia del futuro? Prodotto di una Spaltung, di una ribellione, di un eccesso di vitalità, di un eccesso di separazione, di un eccesso di esperienza? Come vogliamo definire questa poesia di Dante Maffìa?
Tutta inscritta nella pratica dell'espressione (forte) questa poesia corre verso la vetta del diapason... dalla quale, però, è problematico scendere a valle con una slitta, a piedi, con gli scarponi chiodati o le scarpe da ginnastica, o con l'ascensore... anzi, non c'è discesa affatto, c’è un girotondo, un tourbillon, una sarabanda, un affoltamento di situazioni le più varie.
È questo continuo corpo a corpo con la materia, forse, l’aspetto più positivo della poesia maffiana degli anni Dieci, questa sua capacità di ribollire e far friggere nel calderone del proprio linguaggio contenitore che tutto vuole contenere e tutto vorrebbe possedere, gli elementi contrari ed eteronomi. Direi che la cifra squisitamente  maffiana è proprio questa capacità di esperire l’ilare angoscia, l’eccesso, anche stilistico, rischiando anche la sbavatura, il cacofonico e il cacomorfico e la metafora incongrua direbbe un critico beneducato. Invece, io direi che la poesia maffiana è maleducata e impresentabile nel consorzio del bon ton della poesia di atmosfere o di quella degli oggetti oggi di moda, farebbe la figura di Diogene in mezzo agli impomatati damerini di corte del Settecento.



Nota
 ... alcune poesie di questa raccolta risalgono a 20 30 anni fa, altre sono recenti. Il nucleo risale all'esperienza del meridionale che sbarca a Torino per lavoro, sono gli anni dell'immigrazione di massa dei meridionali, gli anni Settanta... sono dunque poesie che nascono da un grosso grumo esistenziale ma sono anche composizioni che hanno assorbito la destrutturazione del linguaggio poetico italiano così come si è configurato in questi ultimi 40 anni; voglio dire che il risultato complessivo di questo marasma storico che ha investito la fragile barchetta della poesia è che non la poesia è andata verso la prosa (come ha sostenuto Berardinelli) ma che la prosa è stata fagocitata (attirata come un magnete) nella forma-poesia maffiana e il discorso poetico ne è sortito fuori come bombardato (dalla prosa). A questa situazione, merito di Maffìa è stato quello di non essersi seduto sulla riva del fiume (come hanno fatto molti altri poeti) ad aspettare che passasse il ciclone (della destrutturazione e della de-fondamentalizzazione), ma è passato al contrattacco, convertendo quello che era un punto di debolezza del discorso poetico del Dopo il Moderno in una linea di forza: arruolando nel proprio esercito poetico, si fa per dire, le truppe ausiliarie dei barbari della prosa... e tutto ciò mentre prendeva atto della crisi di destrutturazione che stava colpendo a morte anche il «soggetto».
Insomma, per concludere, qui c'è una grande quantità di prosasticismi e di cacofonismi che galleggiano nel mare della «datità» poetica che resiste un po' come il fiume ghiacciato resiste alle rigide temperature dell'inverno...

1 commento:

Anonimo ha detto...

La vita nella morte . l'esistenza che si svolge nella morte di ogni attimo di ogni cosa. Freddamente , talmente freddamente che emoziona, una sensazione sempre uguale ritmica come un battito sul tubo vuoto del tempo.Sensazioni...non facile da dare. Grande.
"il fiume ghiacciato resiste alle rigide temperature dell'inverno" Vero . Emilia Banfi