Caro Ennio, ho trovato il tempo, oggi pomeriggio, di dare un’occhiata al blog dei Moltinpoesia e ho letto…Incredibile! Ho pensato che il modo migliore di rispondere a certe sciocchezze sia quello di cominciare a pubblicare il materiale dormiente nei file. Ho scritto “Il gatto di Fortini” nel novembre 1997. Servì da base alla conferenza tenuta nello stesso periodo al Centro “Guido Dorso” di Avellino. Insieme a me c’era Graziella Spampinato. Lei parlò di Zanzotto. Confrontammo i due poeti…A distanza di quasi 15 anni, ritengo, senza falsa modestia, che il pezzo regga ottimamente e dica ancora molto al sottoscritto e a tutti noi. Penso che vada molto bene per avviare, dopo l’appello, scioccamente contestato, il “cantiere” su Fortini. Puoi pubblicarlo sia sul blog dei Moltinpoesia che di Poliscritture Ciao Donato
Del
tuo timido gatto...
Del
tuo timido gatto
che
scendeva la scala
dell'orto
la mattina
con
la sua ombra fina
lungo
le terrecotte
cosa
è rimasto? Nulla
fuor
che l'impronta impressa
dalle
sue zampe nella
gettata
di cemento
fra
le tue grida: "Via,
via
di lì, stupidino!"
Era
luglio, era aperto
il
cielo. Pensai: "Certo
rimarrà
sempre un segno".
Ora
il cemento è pietra
alle
piogge d'ottobre.
Ostinate
lo coprono
le
foglie senza forma.
Toglile
e potrai leggere
l'orma
di quegli unghioli.
Il
testo presentato è tratto da «Paesaggio con serpente»(Einaudi, 1984).
Siamo
di fronte a una poesia semplice, piana; ad un componimento che può esser
proposto senza incontrare difficoltà anche a ragazzi di scuola media.
La
prima impressione è di trovarsi innanzi a qualcosa di familiare, di già
ascoltato; ad una trama di parole, frasi, pensieri non nuova, un modo di
tradurre in forma le proprie visioni-emozioni che si direbbe 'classico':
ventuno versi regolari, tutti settenari, distribuiti in quattro strofe di
cinque versi ciascuna, eccetto l'ultimo, solitario, in chiusura. Insomma, un
bel gusto dell'ordine, almeno grafico; un'esigenza di costruire e far 'colare'
il pensiero poetico entro precise formelle.
Scrutandole,
però, più da vicino, si può notare che, uguali per numero di versi e metro, le
strofe sono poi tra loro molto dissimili per presenza o meno di rime
all'interno, sagomatura dei periodi, corrispondenza fra pausa strofica e unità
di significato, ecc.
Così,
ad esempio, la prima e la terza strofa hanno i versi 3-4 in rima baciata:
mattina-fina, aperto-certo; la seconda, delle quasi rime e un'allitterazione:
nulla-nella, cemento-incerto, impronta-impressa; la quarta è compattata
musicalmente dalle allitterazioni FOglie-FOrma, pioGGE-leGGEre, fOGLIe-tOGLIle,
queGLI e dalle diverse assonanze in O oppure in O-E: piOggE-fOgliE,
OttObrE-cOprOnO. Forma rima con l'orma dell'ultimo verso. Cemento è parola
ripetuta come il Via-via dei versi 11-12, dando per altro luogo a sineresi nel
secondo via.
Suoni
prevalentemente dentali e allitterazioni, già presenti in modo significativo
nei versi della prima strofa, si prolungano per tutto il componimento: gaTTo,
maTTina, TerrecoTTe, rimasTo, impronTa, geTTaTa, cemenTo, incerTo, sTupidino,
aperTo, cerTo, pieTra, oTTobre, osTinaTe, Toglile, poTrai.
Settenari
per lo più anapestici e giambici costruiscono un movimento ritmico che non ha
nulla di monotono. Anzi, si accompagna la gettata sintattica del pensiero e,
come succede nella prima strofa, è reso quasi visibile l'incedere dell'animale:
del
tuo tìmido gàtto
che
scendèva la scàla
dell'òrto
là mattìna
con
là sua òmbra fìna
lùngo
lè terrecòtte
L'impressione
d'insieme è quella di un tessuto musicale sapiente, di un'orchestrazione tonale
tutt'altro che monocorde: su una invariabilità della lunghezza versale si
organizza un'armonica e studiata variazione del ritmo e della figuralità
sonora.
Se
da questa sommaria ricognizione dell'organizzazione dei significanti si passa
alla conformazione sintattica, si può agevolmente rilevare il periodare
abbastanza complesso delle due strofe iniziali (oltre alla interrogativa
principale, si registrano delle proposizioni subordinate: una relativa, una
limitativa ed una locativa) a fronte di una costruzione più semplice della terza e quarta strofa.
Dall'ipotassi alla paratassi. Pure a questo livello, dunque, variazione.
L'impostazione
dei periodi è, inoltre, tale da dar luogo a frequenti spezzature fra pause
metriche e pause sintattiche. Si segnalano per la loro particolare intensità
gli enjambement dei versi 8-9 e 13-14 (nella/gettata...era aperto/il cielo)
Anche
le pause strofiche non coincidono con le unità di significato. La sola volta in
cui accade, al termine della terza strofa, il fatto assume un significato
rilevante. Subito dopo si produce, infatti, una vera e propria frattura
nell'intero componimento: da un lato la vicenda passata e il pensiero del
futuro, dall'altro il presente. Il cambio di scena e di stagione (da un'estate
all'autunno) è indicato in diversi modi: avverbio (ora), variazione dei tempi
verbali (imperfetto-passato remoto/presente), sostantivi (luglio/ottobre).
Queste
veloci annotazioni consentono una prima conclusione: Fortini ordina il suo
pensiero poetico in strofe; tuttavia, rispetto a quello forte della tradizione,
il suo è un isostrofismo debole (P.V.Mengaldo, 1991); un modo, cioé, di
raggruppare versi senza dare compattezza alle strofe.
Per
rendersene conto, basterebbe un confronto con le prime due strofe pentastiche
dei seguenti settenari tratti da «Myricae»:
Sogno
d'un dì d'estate.
Quanto
scampanellare
tremulo
di cicale!
Stridule
pel filare
moveva
il maestrale
le
foglie accartocciate.
Scendea
tra gli olmi il sole
in
fascie polverose;
erano
in ciel due sole
nuvole,
tenui, rose:
due
bianche spennellate
in
tutto il ciel turchino.
Dei
tre fattori caratteristici della metrica classica (isostrofismo 'forte',
simmetria versale e regolarità delle rime), evidenti nel testo pascoliano,
nella poesia di Fortini residuano solamente, come indicatori di un rapporto con
la tradizione, la regolarità versale dei settenari e la forma strofica debole.
E' un fatto che succede spesso.
Poeta
«essenzialmente metrico» (G.Raboni, 1986), costruttivista, egli non si lascia
andare alle illusioni 'moderne' e, in special modo, avanguardistiche del nuovo.
Non rinnega la tradizione, ma neppure l'accetta nella sua interezza. Piuttosto
la rifà, la riusa, la traduce, ingaggiando un rapporto di variazione,
sottrazione, modificazione con le forme ereditate dalla classicità.
Le
impronte, i segni lasciati nel cemento fattosi pietra della storia vanno letti,
interpretati, poetati. La forma è il contenuto. Questa poesia nelle sue
modalità, nel suo essere come, è di per sé uno scontro in atto con le foglie
ostinate che ricoprono gli unghioli dei classici trapassati. Fortini non dice
solo, fa quello che dice. Ma cosa dice?
Non
è difficile capirlo. La poesia del gatto non oppone resistenza alla parafrasi.
Il suo linguaggio non è 'oscuro', non presenta tassi 'insostenibili' di
metaforicità, come capita in certa poesia ermetica e/o simbolista.
La
scena è semplice. E' quella di un colloquio fra un Io ed un Tu. L'Io vuole
sapere dal Tu, con una di quelle classiche domande retoriche che, di solito, i
maestri rivolgono agli allievi, che cosa è rimasto del tuo gatto? La risposta,
già nota all'interrogante, è una sola parola, breve e tremenda: nulla.
Nessuna
illusione. Dopo la morte, per il gatto, come per ogni altro animale vivente
(uomini e donne compresi), c'è solo l'abisso del Nulla. Ma, per fortuna, il
nucleo principale della domanda e la drammatica risposta, fondamentali per la
vita di ognuno, vengono dopo cinque versi e prima di altri quindici. Si fa in
tempo a diventare personaggio (sia pure timido, fino e incerto), a compiere
azioni, più o meno abituali, in un luogo familiare (scendere la scala
dell'orto, lungo le terrecotte). Si riesce ad avere una storia rivelatrice di
una puerile, forse ineliminabile, nostra stupidità piuttosto che di una matura
e sicura intelligenza: finire con le zampe in una colata fresca di cemento e
star lì dubbioso ad annusare, tra le grida protettive di quel Tu al quale si
appartiene; grida tradotte in un'esclamazione, tanto affettuosa quanto materna,
con la quale si vorrebbe tenere lontano l'animale dalla situazione in cui
scioccamente si è messo.
Non
lo sanno, ma lo fanno. Perché le persone dovrebbero essere migliori di un
gatto? Il fatto storico, l'episodio che consentirà al grazioso felino di
imprimere la sua incancellabile orma sul cemento si realizza in una condizione
di annaspamento e incertezza, con la sensibilità ridotta al fiuto. Gli uomini e
le donne non posseggono il filo della propria storia. L'esplorazione,
l'avventura, la voglia di tradursi in forma ha forse a che vedere con un
bisogno fondamentale degli esseri umani.
L'Io
che, insieme al Tu, ha assistito alla vicenda del gatto; l'Io poetico che mette
in versi questo episodio, nell'occasione, giudicò con certezza che
dell'animale, una volta morto, non sarebbe rimasto nulla se non il segno
lasciato in luglio, col cielo sgombro di nuvole.
Ora
che la storia, come il cemento, si è pietrificata in un passato, ora che il
tempo è divenuto altro, che la stagione è mutata nell'autunno presente,
nell'ottobre piovoso con le innumerevoli foglie informi, cadute ostinatamente
proprio nel luogo dove il gatto aveva compiuto la sua inconsapevole impresa,
ora è possibile verificare la fondatezza del pensiero-profezia dell'Io.
La
verifica s'impone come dovere morale del Tu, come frutto di un imperativo. Essa
richiede il compimento preliminare di alcuni gesti: togliere le foglie nel
frattempo accumulatesi e rendere nuovamente visibile la gettata di cemento,
mettendosi nella condizione di poter leggere.
E'
necessario non lasciarsi sfuggire l'importanza di questo verbo: esso presuppone
una pratica cognitiva, un riconoscimento di segni, un'azione di comprensione,
un lavoro d'interpretazione da compiere nel presente.
Quale
il messaggio di quest'orma fortiniana? Il sentiero è spianato. In ordine, questa
poesia dice:
a)
Qualcosa sul suo modo di essere poesia; sul modo di lasciare tracce, segni
sulla carta da parte di Fortini; in breve: comunica un'idea e una pratica
poetica. Alcune cose, riguardanti la lingua, sono state già dette, altre le
diremo, più avanti.
b)
Qualcosa sul destino ultraterreno di un individuo vivente e morente, sul tempo
ciclico della natura, sul trascorrere delle stagioni, dei cieli, delle nascite
e morti. Una volta, questi pensieri si sarebbero chiamati concezioni del mondo.
Oggi si ha paura di averne una.
La
poesia dice qualcosa anche sul tempo storico di un individuo. E' un lampo. Si
scompare da una stagione all'altra. Però, la storia di ognuno, per quanto
breve, si può raccontare. Può farlo il protagonista o, come capita a questo
gatto, un poeta generoso. L'importante è non lasciarsi sfuggire la possibilità.
Sulle differenze fra tempo ciclico e tempo storico e su questo bisogno
essenziale di formalizzazione, cui si è già accennato, ritorneremo.
c)
La poesia suggerisce, inoltre, qualcosa sulle modalità di realizzazione dei
cosiddetti fatti storici, di quegli episodi, cioé, che lasciano tracce. Essi
capitano come capitano: per caso, per inavvertenza, per stupidità; non certo,
comunque, nelle condizioni migliori d'intelligenza e consapevolezza del
protagonista. Uomini e donne sono ancora gattini ciechi. Più che alla storia
siamo alla preistoria, come sosteneva un vecchio (da qualche decennio diventato
innominabile).
La
breve storia capitata ad un individuo non si svolge in un laboratorio protetto,
al di fuori di un legame necessario ed inevitabile, sociale e culturale, con
tutto ciò che accade ad altri individui sopravvissuti o nuovi venuti. Si vive
tutti, qualunque sia la propria condizione e capacità di rappresentazione,
all'interno di questo tessuto figurale, simbolico: morti, vivi e venturi;
trapassati, presenti e futuri. Anzi, la Storia , quella con la maiuscola, è questa
totalità di compresenze.
d)
Il presente, il qui ed ora, è sempre un tempo carico di storie svolte e da
svolgersi. E'un autunno che chiede ai sopravvissuti e ai nuovi nati di compiere
il loro dovere morale, di rispondere all'imperativo della lettura, del
disseppellimento e del riconoscimento dei segni lasciati dai morti e resi
invisibili dal tempo ciclico della natura. Il presente è il tempo della
verifica, dell'adempimento ai pensieri profetici del passato.
Più
questo non avviene, più si abbandona il tempo della storia, più la comunità dei
viventi, l'alleanza di passati-presenti-futuri regredisce all'eterno ritorno del
trascorrere delle stagioni e del variare dei cieli.
2.
Riprendiamo i punti, nell'ordine in cui sono stati enucleati. Fortini, quale
idea pratica della poesia? Si è già detto qualcosa del suo classicismo.
Proviamo ora a fare un passo avanti.
L'episodio
di un gatto che finisce in una gettata di cemento, lasciandovi un'impronta è
avvenimento che può capitare a tutti. Fortini decide di trarne dei versi. Non è
il primo a farlo. Anche Baudelaire, ad esempio, poetò, a più riprese, su questo
animale.
In
un componimento vide nel felino la sua donna, il suo sguardo profondo e freddo;
in un altro lo sentì passeggiare nel cervello. Avvertì il suo tono tenero e
discreto, la sua voce ricca, lenta ed armoniosa. Era quella di un angelo.
Misterioso, serafico, bizzarro, il gatto di Baudelaire è un genio familiare,
una fata, un dio. E' la sua stessa poesia.
Non
si evocano i testi del grande poeta francese per instaurare confronti puntuali
ed approfonditi con il nostro poeta. E' solo una suggestione, un ricordo di
altre letture, il suggerimento di una pista che si potrebbe seguire.
Il
gatto di Fortini è timido, incerto, stupidino. Con lui il poeta non instaura
corrispondenze, analogie. Nei suoi occhi non vede misteri. Il suo incedere è
grazioso, fine; ma non è quello di un angelo, di una fata o di un dio. Non c'è
poesia o voce segreta che si sprigiona dal suo miagolìo. Anzi, decide proprio
di non seguirlo e rappresentarlo in questo suo atto. Probabilmente ritiene che
nella sua immediatezza, in sé e per sé, il verso di un gatto non significhi
molto. L'immediato chiede di essere mediato, l'emozione, la traccia, l'impronta
degli unghiòli presuppongono il riconoscimento, la comprensione, l'atto di
lettura. Un gesto più o meno piacevole; sempre, però, carico di storia.
Linguaggio, metrica, figuralità, gli strumenti e le modalità attraverso cui
uomini e donne si esprimono, anch'essi sono, inevitabilmente, storici. Esterno
ed interno, esteriorità ed interiorità sono poli di un rapporto, elementi
stretti di una relazione da pensare insieme, come fenomeno e parte d'una
totalità storico-sociale.
Questo
Fortini lo sa. Perciò il suo gatto non ha in sé la verità, che si ridurrebbe al
nulla della sua morte. Ne ha solamente una parte, quella rappresentata
dall'episodio dell'impronta, dal racconto di una traccia che lo consegna alla
storia passata-presente-futura, ad una verità che è fuori dal suo sé.
A
differenza del gatto orfico e simbolico di Baudelaire, quello fortiniano è
allegorico. Nella sua timidezza ed incertezza è parabola, esempio morale di una
verità che gli esseri viventi posseggono in parte, ancora come sogno ed ombra:
il loro riconoscimento reciproco, la sopravvivenza della vita del singolo nel
ricordo della comunità sociale, l'unità del genere umano, ecc. Il gatto
baudelairiano, invece, col suo mistero e la sua bizzarria, è rivelazione in
atto di un dio imperscrutabile.
Non
è solo in questa occasione che Fortini si vuole e si dimostra poeta allegorico,
discorsivo, contrario ad una pratica ermetica, simbolista e post-simbolista della
poesia. E' da sempre una caratteristica delle sue scritture.
«Il
mistero dell'economia politica, di cui già Marx aveva discorso, è oggi...il
mistero stesso della nostra vita, l''essenza' che giace sotto al 'fenomeno'».
Questo è quanto sostiene Fortini in «Astuti come colombe», un saggio del 1962,
pubblicato in «Verifica dei poteri».
Il
rifiuto della "vita apparente" delle società capitalistiche lo porta
ad escludere, come ha scritto Guido Mazzoni, «in modo rigoroso alcune delle
principali linee della poesia contemporanea:
-la
lirica (e in generale la letteratura) che tenta una mimesi diretta
dell'alienazione capitalistica, descrivendola così come essa appare nella vita
quotidiana, o imitandone il caos attraverso il plurilinguismo e il
pluristilismo [...].
-la
lirica come voce immediata dell'interiorità e dell'Erlebnis singolare, nelle
forme neoromantica, espressionista o surrealista. Le critiche che Fortini
rivolge a Pasolini e al movimento di Breton hanno questa origine.
-l'idea
della poesia come lingua segreta delle cose, 'explication orphique de la Terre'. Il rifiuto del
simbolismo è una costante della poetica fortiniana, dagli anni Trenta fino agli
anni Ottanta, dalla polemica contro l'ermetismo a quella contro le nuove
teosofie.» (pag.26-27, 1996).
Numerose
citazioni dall'opera poetica e saggistica potrebbero dimostrare le tesi qui
sostenute. Limitiamoci a riportarne due. La prima è tratta da «L'ospite ingrato»
(Marietti, 1985). Sono versi notissimi, indirizzati proprio a Pasolini. Si
possono ritenere una specie di «epigrafe araldica o stemma» (R. Pagnanelli,
pag. 6, 1988) della poetica fortiniana:
Non
imiterò che me stesso, Pasolini.
Più
morta di un inno sacro
la
sublime lingua borghese è la mia lingua.
Non
conoscerò che me stesso
ma
tutti in me stesso. La mia prigione
vede
più della tua libertà.
La
seconda, più recente, s'intitola «Da un'arte poetica». Di squisito sapore
oraziano, la si può leggere nella raccolta di «Poesie inedite» (Einaudi, 1995 e
1997), pubblicate, dopo la morte del poeta, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo:
I.
...farai
bene a evitare che troppo sia breve
la
tua poesia; non fidarti che un giorno
i
piccoli scatti di umore, i veloci epigrammi
se
letti in fila un universo aprano.
Chiunque
fa trenta versi; ma cento o duecento
non
li farai con accorte giunture. Ci vuole
sprezzo
e coraggio; e molta debolezza.
Bisogna
saper cominciare, durare e finire.
Non
puoi confidare nell'istinto. Ci vuole chiarezza,
un
piano, un disegno. Così Pasolini, se riesce.
E
invece un Bertolucci divaga e il suo zirlo
è
quello gentile del grillo, lo ascolti ma poi ti distrai.
Dagli
atonali poi, guardati! Un tritacarne
è
utile, bello perfino; per pochi minuti però.
Non
sanno che sempre fu rotto, che sempre
fu
inafferrabile il mondo; che il primo dolore
è
dall'inestinguibile incoerenza
degli
oggetti, dei volti e delle parole; ma sempre
chi
poetò vinse quel primo disordine, salvo
un
altro, più fondo, scrutare e anche quello
vincere
e ancora un altro, precipitando
verso
più inflessibile ordine, organizzando
sempre
più indicibile caos, che è al primo com'è
Milano
dal Duomo alla terra che ha scorto Gagàrin...
E'
un testo che richiederebbe un lungo commento. La poetica 'classicista' di
Fortini è ribadita con sufficiente chiarezza. Non si tratta, naturalmente, di
negare l'umore o l'istinto. Il nostro poeta è noto per aver scritto, proprio ne
«L'ospite ingrato», epigrammi memorabili, confezionati con accorte giunture. E'
che non bastano da soli a dischiudere un universo. Necessitano altre 'virtù':
quelle di chi non teme il pericolo, di chi non ha paura di mostrare il proprio
disdegno e disgusto; se necessario, il proprio odio e la propria ira. Ci vuole
ardimento, forza d'animo, voglia d'osare ma anche capacità di sopportare. La
poesia necessita pure di molta debolezza, qualità e condizione esattamente
opposte a quelle indicate prima. Gli esseri umani sono attraversati dalla
contraddizione, sono scissi in opposti, rotti, lacerati dalle antinomie. Con un
po' di sagacia, articolando e congiungendo attentamente parole ed umori,
chiunque può scrivere trenta versi, ma bisogna saper portare dentro e mostrare
il primo dolore di questa contrapposizione e universale frattura degli esseri,
dell'interminabile incoerenza/degli oggetti, dei volti e delle parole per
scriverne cento o duecento. Hegel è indubbiamente uno degli autori di Fortini.
Sempre/chi
poetò vinse quel primo disordine. Ossia, mise in atto un movimento di
riconciliazione, mostrò un intento di superamento delle scissioni, aiutato in
questo dalla volontà di chiarezza, dalla progettazione e realizzazione di un
piano, dalla elaborazione di un disegno. La poesia è passione per la forma,
sforzo d'ordine, desiderio di armonia, voglia di superare il dolore del
disordine. Proposito tanto inevitabile, quanto illusorio, perché l'ordine
momentaneamente raggiunto cela un disordine più profondo. Quando lo si scopre e
lo si osserva attentamente, s'origina una nuova battaglia per l'ordine, e poi
ancora disordine, finché, quasi arrendendosi a questo moto dialettico, verso
l'ordine più inflessibile si precipita e il caos più indicibile si organizza.
In questo caso, il doppio ossimoro, tipica figura retorica della poesia
fortiniana, segnala con le sue antitesi la direzione finale di tutti i nostri
conflitti: purtroppo, più inflessibile della morte non c'è nessun ordine e più
indicibile del suo caos neppure.
Siamo
tornati alla domanda sul Gatto.
La
sua poesia è quella di una creatura attraversata da contraddizioni.
Come
si è detto all'inizio, ad un passo metrico sempre uguale si oppone un ritmo
vario; l'ordine pentastico delle strofe è contraddetto dalla frequenza delle
spezzature sintattiche; l'ipotassi delle prime due trova un contraltare nella
paratassi delle altre due strofe; una fenditura profonda, un'antitesi si
manifesta tra la situazione estiva, di movimento e di apertura del passato
rispetto a quella bloccata del presente attuale di pietra, al cielo chiuso
dell'autunno di piogge e all'ininterrotta caduta delle foglie informi.
La
poesia del Gatto è dunque totalità, ordine in sé concluso; non privo, però, di
'disordine', di scissioni ed opposizioni.
Nessuna
pacificata armonia, ma neppure il belligerante caos. Piuttosto una forma che
difende ed illustra una possibile vita-forma; qualcosa piuttosto di analogo, di
somigliante alla vita di ciascuno di noi: totalità uniche ed irripetibili,
individui unitari eppure incoerenti, contraddittori, rotti, lacerati.
La
poesia indica l'orizzonte tragico, l'abisso di nulla sperimentato e da
sperimentare, e mostra contemporaneamente la 'redenzione' possibile: non la
felicità del genere umano, ma la sua unità, la possibilità del reciproco
riconoscimento. Una scommessa da realizzare nel tempo della storia, un
imperativo di superiore civiltà e cultura, l'esigenza di un salto di qualità.
«La
magica e vitale delusione della forma, il disinganno dei significati
contraddittori, il mobile rinviarsi dei piani e dei segni-significati
all'interno dei confini formali, tutto questo che la poesia è, quando sia
inteso sospende la vita ad una forma effimera. Ulisse deve farsi legare
all'albero, i rematori devono farsi impedire l'udito o mai raggiungeranno la
meta. Ma per coloro che non hanno meta da raggiungere perché credono di averla
già, quei medesimi canti vengono uditi come un brivido delizioso, un annuncio
di morte che accresce il piacere di essere. Pagano le sirene perché cantino ai
loro banchetti. C'è all'incontro un alto insegnamento che la poesia può dare
alla classe della negazione e a coloro che la guidano: essa può introdurre il
benefico sospetto che la lotta di classe combattuta per estinguere le classi
conduca ad una più alta ed inestinguibile contraddizione: quella che si è già
detta, fra l'illimitata capacità di gestire la vita e la sua illimitata
infermità. Ed è qualcosa di eccezionalmente importante, di essenziale anzi, che
può aiutare a liberare il movimento rivoluzionario dal suo ottimismo infantile,
dal suo progressismo primario sempre risorgente. Forse la maggiore cosa che la
poesia può insegnargli oggi è l'attitudine a valutare l'ampiezza del nulla che
accompagna l'azione positiva». («Verifica dei poteri», pp.186-87).
Scrivere
poesie, tradursi in forma, è volontà e desiderio di sfuggire alla routine
quotidiana, alla noia dei giorni sempre uguali, all'alienazione di un tempo di
lavoro imprigionato in una fabbrica o in un ufficio o di un tempo di vita
caratterizzato da un uso esclusivamente pratico di sé e degli altri: curare
figli o obbedire a genitori, studiare per strappare un diploma, 'sbattersi' per
trovare un lavoro, ecc. L'utile, insomma.
Scrivere
poesie è formalizzare l'intento di scoprirsi una 'seconda natura', restituirsi
a se stessi, disalienarsi per autodeterminarsi, per 'salvarsi la vita'.
Ogni
religione dell'arte, ogni estetismo trova in questo nocciolo il fondamento.
Un'illusione, naturalmente. Come tutte le religioni. La poesia, ricorda
Fortini, «sospende la vita ad una forma effimera». La 'formalizzazione' che si
raggiunge sulla carta non coincide con quella della vita.
Un
generoso poeta 'salva' l'orma di un gatto. Ma quale società è disposta a
leggerla? Quale comunità a comprenderla e a riconoscerla? Come l'Ulisse d'ogni
tempo, chi ritiene di avere una meta da raggiungere s'impedisce - deve
impedirsi - l'ascolto e la visione del 'sogno di una cosa'; chi, invece, pensa
d'averla già raggiunta invita le Sirene poetiche al banchetto e le paga perché
il loro «annuncio di morte...accresce il piacere d'essere». Per il conservatore
la poesia è ornamento e diletto, per l'inquieto esploratore ('rivoluzionario' è
parola impronunciabile in questo paese da quando a incarnarla sono figure di
magistrati o di volti leghisti) è pericolosa seduzione, pratica che distoglie
dal vero compito.
«La
luce metaforica d'una formalità integrale» che si sprigiona dall'opera d'arte e
di poesia, il suo contenuto profetico, la sua organizzazione di «ambigua
menzogna per dire una verità ambigua» non possono, dunque, ricevere accoglienza
in questa società se non nei modi conservatori dell'industria culturale,
restando bigiotteria della vita, assolvendo a una funzione di 'supplenza
religiosa', surrogando con «magia e superstizione, forti come droghe, la sete
di irrealtà e di vuoto senza la quale non c'è per i proprietari gusto di potere
e di dominio».(«Verifica dei poteri», pag. 188).
Fortini
era consapevole di tutto ciò. Per questo fra timidezze, incertezze, finezze
represse accentuava il tratto graffiante, quello aggressivo degli unghioli.
Il
riconoscimento, la comprensione, la 'lettura' di ciò che siamo come coaguli di
forme, corpi svaniti o in via di svanire, possono risultare solo da una volontà
politica determinata, sono frutto di un ordine storico e morale forte, disposto
a non abbandonarsi al 'tempo ciclico' della natura, a non cedere
all'ostinazione delle 'foglie senza forma'.
«La
poesia - scrisse Fortini - come i frammenti
di ferro meteoritico che pur sempre ferro sono, e stanno sulla terra ma
'significano' una diversa origine, si manifesta come frazioni di 'tempo
orientato'» («Verifica dei poteri», pag. 184)
Chi
organizza quotidianamente la distruzione della storia-memoria per consegnarci
un presente 'insensato' o un passato lobotomizzato, chi elegge a luogo di culto
il supermercato (delle merci, delle idee, delle immagini, delle vite e delle
morti) e propaganda come naturale ciò che, invece, è storico e sociale è in contraddizione
stridente con l'ordine di valori cui la poesia necessariamente appartiene.
In
quanto frazione di tempo orientato, facoltà che dà forma (e senso) alla vita o
agli 'intervalli' sfuggiti al mare di quotidiana alienazione, la poesia
'significa' per un uomo e una donna 'ferro meteoritico', desiderio e sogno di
un'altra origine, proposito e scelta di un destino diverso da quello di una
pietra.
Anche
quando si sostiene di voler essere «lasciati come una cosa posata / in un
angolo e dimenticata», si scrivono poesie per non ridursi a cose tra cose.
Tempo orientato, ossia, tempo ordinato a partire da una meta, tempo di qualità
altro da quello vegetale di un albero che, proprio per questo, ha foglie 'prive
di forma', o da quello sereno o pluviale di un cielo, registrato nei bollettini
meteorologici.
Bisogna
«restituire alla poesia la sua delimitata e perciò tragica dignità: quella che
- per chi, ovviamente, presupponga un fine alla storia - ne fa il punto
d'intersezione del tempo degli orologi e di quello storico (il religioso
direbbe: dell'ordine profano e di quello sacro)». («Verifica dei poteri», pag.
184).
L'ordine
profano è quello capitalistico, quello di una società che conosce e apprezza in
modo esclusivo il 'tempo degli orologi' (il capitalismo è notoriamente
'economia di tempo'); l'ordine sacro è quello dell''avvento', della
'redenzione', del passaggio dalla preistoria alla storia.
Per
Fortini è il comunismo, «un luogo di contraddizione più alto e visibile», una
zona di frontiera mentale e sociale in cui si possa esprimere «l'illimitata
capacità di gestire la vita», ma anche di gestirne «l'illimitata infermità».
Una
società liberata dall'ottimismo infantile del Prodotto Interno Lordo (il famoso
PIL) che non contempla e non calcola quanto dolore e sofferenza, quanta
mancanza di dignità e sfruttamento d'umanità, quanto servilismo siano necessari
alla sua produzione. Una società liberata dal «progressismo primario sempre
risorgente», dal mito delle «magnifiche sorti e progressive» contro cui ci
aveva messi in guardia già Leopardi.
Coloro
che scrivendo poesie hanno imparato a coltivare la propria voce di libertà, a
dare parole al proprio desiderio d'identità, di senso, d'uso non alienato del
brevissimo tempo di vita concessoci, togliendo le foglie informi cadute e fatte
cadere ostinatamente sulle pagine fortiniane, potranno leggervi il
riconoscimento dei loro ineliminabili bisogni, comprenderanno che le loro
espressioni sono prese sul serio ed apprezzate in ciò che hanno di più
profondo. Dovranno, però, imparare da Fortini che la soddisfazione poetica dei
bisogni equivale al "sogno di una cosa". Dopo Freud, ma anche prima
di lui, nessuno riterrà irreale o nullo un sogno. D'altra parte come negare il
pugno di mosche tra le mani evidente ad ogni risveglio? I bisogni di
formalizzazione possono essere soddisfatti effettivamente solo nella realtà. Da
qui la necessità di partecipare alla negazione dell'ordine profano.
Coloro
che, invece, non scrivono poesie, fanno 'politica' e ritengono di appartenere
alla "classe della negazione" dello "stato di cose
presenti", classe resa e resasi dalle nostre parti pressocché invisibile,
continuino pure ad «echeggiare le più coerenti formule della borghesia
combattente del secolo XVIII ("meglio un paio di stivali che
Shakespeare")» («Verifica dei poteri», pag. 180), facciano, però, tesoro
del suggerimento di Fortini: leggendo opere d'arte e poesie, imparino a coltivare
«l'attitudine a valutare l'ampiezza del nulla che accompagna l'azione positiva».
Il
gatto di Fortini non ha, ovviamente, molto da dire a coloro che, ritenendo
inesistente lo spazio fra parere ed essere, pensano che sotto le visibili
foglie d'autunno non si conservi nessun'orma temporaneamente invisibile. Per
costoro l'essere è assente, scomparso, inabissato in chissà quali stellari
profondità. Per costoro è rimasto solo il parere o l'apparire. Società dello
spettacolo e delle immagini, dei sondaggi di volatili opinioni e dell'Auditel.
Anche se scrivono poesie, costoro sono consegnati alla droga della superficie,
alla quotidiana sonnolenza d'un sociale disponibile ad inventarsi identità
inesistenti, ad alleggerirsi come trucioli o piume, a vendersi per quattro
soldi, a limitare la ricognizione d'un opera o di un luogo al turismo di massa
o ai fazzoletti usa e getta degli articoli d'un giornale.
Che
senso dare alla propria vita? Nessuno. E alla propria morte? Meno che meno.
Insensibilità, indifferenza o al massimo 'allarme' per le altrui vite e altrui
morti; rimozione, ansia ed angoscia per l'assurdità e l'insignificanza del
proprio dileguante orizzonte.
Possano
costoro incontrare un giorno l'orma del Gatto di Fortini.
Novembre
1997
BIBLIOGRAFIA
FRANCO
FORTINI Paesaggio con serpente, Einaudi, Torino 1984
FRANCO
FORTINI Verifica dei poteri, Garzanti, Milano 1974
FRANCO
FORTINI L'ospite ingrato, Marietti, 1986
FRANCO
FORTINI, a cura di P.V.Mengaldo, Poesie inedite, Einaudi, Torino 1995 e 1997
PIER
VINCENZO MENGALDO La tradizione del Novecento. Terza serie, Einaudi, Torino
1991
PIER
VINCENZO MENGALDO Un aspetto della metrica di Fortini, in «Allegoria» n° 21-22,
anno VIII, nuova serie, 1996
GUIDO
MAZZONI La legittimazione della poesia in «Allegoria» n° 21-22
REMO
PAGNANELLI Fortini, Transeuropa, 1988
GIOVANNI
RABONI, in Aa.Vv., Seminario in onore del prof. Franco Fortini, in Annali della
facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena, vol. VII, Olschki,
Firenze 1986
26 commenti:
Un grazie sentito a Salzarulo per questo suo contributo. Sia per il materiale che gentilmente ha messo a disposizione e su cui c'è molto da riflettere e da argomentare - bisognerà farlo eventualmente per tranches, tanto è ricco - e sia per il tentativo di ricondurre la navigazione di Moltinpoesia fuori dalle secche insidiose della sterile polemica.
Rita S.
Grazie Donato , come sempre le tue parole sono un unguento soprattutto in questo momento. Questo gatto e le sue orme che aprono un cammino dove Fortini passa , comprensibile, vero , chiaro senza perdere la sua incredibile forza. Che dirti grazie per la critica e la spiegazione dei versi, sempre utilissima...se ne facesse di più...grazie per avermi per l'ennesima volta anche commossa. C'è sempre nella tua scrittura una dose di allegria che a me piace tanto e tu sai che leggo soprattutto per piacere...Ennio non me ne voglia! Ciao Emy
La poesia come libertà, che bella immagine. Navigavo in internet e ho scoperto queste pagine che mi hanno permesso di approfondire Fortini, un autore che ammiro da molto tempo a dire il vero. Ad essere proprio del tutto sincera seguo, ma sarebbe meglio dire inseguo, Salzarulo nei vari blog mi piace il suo stile leggero e profondo al tempo stesso, mi piace la sua vena di malinconia che di tanto in tanto, si avverte fra le righe. La sua scrittura è agile e scattante, l’analisi del testo è profonda e ti permette di entrare dentro i versi, andando a fondo per capire bene, si spalanca una porta piena di meraviglie. Ecco cosa vuol dire fare un’analisi poetica. Si possono imparare molte cose seguendo Salzarulo che come un gatto salta da un verso all’altro…
Ancora una volta grazie Donato, nel tuo nome è scritto il tuo stile, mentre scrivi ti doni al lettore con generosità.
Giulia
Caro Donato, tu hai incontrato l'orma del gatto...La tua vita ha un senso meraviglioso, come la tua scrittura.
Grazie per queste pagine.
Angela
Sto scrivendo la mia tesi: Fortini fra politica e poesia. Posso citarla? I diritti sono riservati?
Ottimo materiale. Grazie
Valentina
Caro Donato,anche da me un grazie per averci proposto questa significativa poesia.L'analisi che ne hai fatto ,così ricca e stimolante ha suscitato in me,come penso in altri, la voglia di approfondire i temi proposti.
L'esposione poi così chiara e scorrevole è un grande dono.
Trova ancora il tempo per noi.
Maria Maddalena
Molto carina la poesiola sul gatto di Fortini, ma incredibilmente il signor Salzaruolo ritiene che la sua poesiola sia il rimedio a tutti i mali del discorrere tra umani: forse sì, tuttavia non avendo postato una poesia di autore noto a tutti, ma una sua...direi quanta poca modestia in questa proposta di lettura contro quelle che offendendo chiama sciocchezze, e quanto sciocchezza (non me ne vorrà, visto che ha introdotto egli il termine) questa sua presunzione.
Stefano
Errata: tuttavia non avendo postato (un saggio) su una poesia di autore noto a tutti, ma una sua lettura, direi quanta poca modestia in questa proposta di lettura contro quelle che offendendo chiama sciocchezze, e quanto sciocchezza (non me ne vorrà, visto che ha introdotto egli il termine) questa sua presunzione.
Stefano
"L'impressione d'insieme è quella di un tessuto musicale sapiente, di un'orchestrazione tonale tutt'altro che monocorde"
(questo è il commento più generale e banale che possa mai essere fatto su una poesia qualsiasi. Non me ne voglia ancora il signore Salzarulo, ma questo scritto non dice nulla che non sia stato già mille volte detto ("Dopo Freud, ma anche prima di lui, nessuno riterrà irreale o nullo un sogno. ")e dice pochissimo sia su Fortini sia sulla poesiola al suo gatto.
Poi ri-citandolo, il commento alla poesiola di Fortini:
"Che senso dare alla propria vita? Nessuno. E alla propria morte? Meno che meno. Insensibilità, indifferenza o al massimo 'allarme' per le altrui vite e altrui morti; rimozione, ansia ed angoscia per l'assurdità e l'insignificanza del proprio dileguante orizzonte.
Possano costoro incontrare un giorno l'orma del Gatto di Fortini."
ecco appunto....in uno scritto che non vede, non dà senso, e suggerisce non dovere darci senso alla vita e alla morte, come si può mai sperare esserci un qualche minimo senso in quello che viene detto su Fortini, la sua poesia,il suo gatto? "Men che meno"....
Nella vita e nella morte infatti ci si troverà ben più da commentare che nelle vuote ragioni dietro a queste riflessioni nichiliste e disfattiste che pensano di risolvere le sciocchezze altrui con altrettante sciocchezze.
Stefano
Il commentatore Stefano così si esprime:
“questo è il commento più generale e banale che possa mai essere fatto su una poesia qualsiasi. Non me ne voglia ancora il signore Salzarulo, ma questo scritto non dice nulla che non sia stato già mille volte detto ("Dopo Freud, ma anche prima di lui, nessuno riterrà irreale o nullo un sogno. ")e dice pochissimo sia su Fortini sia sulla poesiola al suo gatto”.
Beh, anche questo commento su un commento non è che dica granchè. Poteva anche scrivere “A basso – sì, a basso – il maestro” e, forse, sarebbe stato più significativo.
Quanto al fatto che le cose sono state dette mille volte, non è una novità.
Dacchè l’essere umano ha cercato di esprimersi, e credo che ciò dati da molto, molto tempo, gira e rigira ci siamo sempre in mezzo alle solite dannate cose.
Il mio ‘amico’ Freud, aprendo la strada al sogno aprì il mondo alle innumerevoli possibilità di rappresentazione delle dinamiche umane. Noi, più modestamente, molto più modestamente, da bravi funamboli cerchiamo di fare del nostro meglio, a volte riuscendovi e a volte no, come ben diceva, nel suo Tonio Kroeger, Thomas Mann che di tutto ciò un pochino se ne intendeva. La ricerca quindi prosegue. E la forma poetico/poietica prosegue con essa.
Non ci resta che aspettare il commento del Signor MAGGI per avere più lumi rispetto a quelli che ci ha fornito il Signor Stefano.
Rita S.
Ciao Rita, ho riletto il saggio per scrupolo e devo dire che a me non interessa tanto se ha detto cose nuove su Fortini o se ha ripetuto quello che è stato detto già da tutti quelli che se ne occupano, che qua sembrano molti. Nemmeno voglio disprezzare il merito dell'evidente amore verso questa poesiola tenera di Fortini che gli ha fatto scrivere a Salzarulo il suo saggio.
Commentavo il senso generico di questo scritto critico. Insomma mi irrita vedere non solo espressioni come "perfetta orchestrazione", ma altre frasi vuote del tipo:
"Coloro che scrivendo poesie hanno imparato a coltivare la propria voce di libertà, a dare parole al proprio desiderio d'identità, di senso, d'uso non alienato del brevissimo tempo di vita concessoci, togliendo le foglie informi cadute e fatte cadere ostinatamente sulle pagine fortiniane, potranno leggervi il riconoscimento dei loro ineliminabili bisogni, comprenderanno che le loro espressioni sono prese sul serio ed apprezzate in ciò che hanno di più profondo."
Ma che significa!? Questo è un esempio di frase vuota e concetti altrettanto in scatola sottovuoto spinto.
La logica imporrebbe che io me ne uscissi con qualche mia originale interpretazione...della poesia del gattino.
Io a parte tutte queste parole sprecate direi solo una cosa e che riassumo in breve. Quà il poeta cerca di dire alla persona che lo ascolta quello che deve fare per riscoprire la lettura di un testo che in apparenza è semplice e realistico e allora glielo indica tramite l'allegoria attraverso i segni lasciati dalla bestiola ignara, come ignaro potrebbe essere anche lo scrittore di un testo mentre meno ignaro il lettore. Troppo elementare? Argomentando a pane e acqua, io la cosa la leggo così.
Stefano G.
Qua si scrive senza accento
oddio, hai ragione, è sul li e là che l'accento va...non ho fatto bene le scuole, era il ragioneria, la mia.
s.
peccato che non ci vada l'accento...perchè lo si sente..qua, wuà, quà... ma...siamo sicuri che non ci và? chi l'ha detto? la crusca? non ho mai capito come mai la crusca, questa schifezza di alimento per galline e maiale, debba avere una sua autorità sulla lingua italiana! cazzo. anzi, io voglio dire quà: sono contento così-
Bravo
Ma diciamola tutta; si può dire postare,si può dire googolare, si può dire editare, e non si può mettere l'accento su qua?
le altre lingue sono più flessibili. Se si sente l'accento, perchè non bisogna mettercelo, sul quà?
Seriamente scrivo sulla poesia in questione del Gatto. Essa è poesia ispirata perchè immette un'empatia tra uomo e animale.
In Cina il gatto è un animale nobile. Fortini, che era stato in Cina, lo sapeva.
Rossano Trevi
Gradita questa precisazione di Stefano G. in questo suo ultimo commento, che, impostato così,
diventa più produttivo rispetto allo ‘stupidino’ del primo.
Avevo ringraziato Salzarulo perché il suo materiale permetteva, a fortiniani e no, di riflettere e di argomentare esprimendo punti di vista concordi e discordi.
Quanto a me, al pari della “poesia semplice, piana: un componimento che può essere proposto senza incontrare difficoltà anche a ragazzi di scuola media”, avevo letto il lavoro propostomi con lo stesso stato d’animo. Non mi disturba stare sui banchi. E, come quando si è sui banchi, possono dare fastidio quelli che non permettono di ascoltare la lezione o quelli che vogliono fare i primi della classe.
A me personalmente, ad altri non so, sono state molto utili le rivisitazioni legate alla tecnica poetica (prescindendo dalle interpretazioni ‘soggettive’ sulla sapienza del tessuto musicale e anche dalle aggettivazioni che fanno da ‘giusto’, secondo me, accompagnamento al tutto. Ognuno fa il gatto come meglio crede).
Altrettanto utili le specificazioni sul tipo di linguaggio utilizzato da Fortini, non oscuro e ‘antiermetico e/o simbolista’. Che poi sia stato davvero così non lo posso dire: ma il dibattito a seguire sarà utile se qualcuno fosse interessato a queste precisazioni.
Quanto ai contenuti e alla loro modalità di presentazione, mi sento abbastanza refrattaria alle frasi retoriche, vuote di senso, oppure piene di quel senso univoco, che viene presentato come IL senso in sé e per sé. Ma, non basta affermare questo: bisogna confrontarsi.
Per cui ci sarebbero molte cose da dire rispetto a ciò che la poesia chiede al poeta e il poeta chiede ad essa. Davvero la poesia ci può mostrare la ‘redenzione’ possibile nella direzione, come afferma Salzarulo, del raggiungimento, da parte del genere umano, della “sua unità, la possibilità del reciproco riconoscimento”? Ne dubito.
Sarebbe questo il compito/destino della poesia intesa “come lingua segreta delle cose”? Temo di no.
Il senso che diamo alla nostra vita sarebbe sufficiente a evitare l’insensatezza, e l’indifferenza, “l’assurdità e l’insignificanza del proprio dileguante orizzonte”? Mah!
Mi sembrano temi su cui riflettere al di là degli osanna e/o delle stroncature.
Aspettiamo lumi. La fiaccola sotto il MAGGI? (Scusate. Ma quando è sera e sono stanca gli sfrizzichi spiritelli fanno festa. Senza offesa a nessuno.)
Rita S.
perchè qua non serve per altre funzioni. il là (luogo) lo devi distinguere dal la articolo. Un'impiegata che si domanda e si risponde . Emy
Grazie a tutti gli intervenuti sia per gli apprezzamenti e i giudizi lusinghieri, sia per le integrazioni, le annotazioni e le osservazioni critiche. Farò tesoro di tutto per le prossime scritture. Volevo, intanto, dire a Valentina che l’argomento della sua tesi “Fortini fra politica e poesia” mi affascina molto. Citando autore e fonte, può utilizzare questo mio esercizio di lettura. In rete, può trovare altri due miei scritti: “I lampi della magnolia” e “La fede opaca di Fortini”. Siccome, però, ho altro materiale inedito, dormiente nella memoria del computer, se vuole può prendere direttamente contatto col sottoscritto.
Mi piacerebbe risolvere i dubbi dell’ultimo post di Rita S. o rispondere alle sue domande. Ma francamente non ne sono capace. Anzi, quei dubbi (irrisolti) e quelle domande (inevase) mi accompagnano da una vita. “La fede opaca di che vivo / è solo mia”, diceva Fortini.
Ancora grazie a tutti.
Donato
Oh, finalmente una persona aperta allo scambio anche con la critica dura. Caro Salsarulo, nessuno dei sue altri suoi saggi che vorrei leggere, che lei ha pubblicato su Poliscritture, è accessibile. Le pagine non esistono e il PDF non si apre. Forse va detto al gestore di Poliscritture?
Grazie, Stefano
Ho una gran facilità nel riconoscere le mascherine...
E che c'è di male: non è carnevale?
Ennio Abate:
Il link per accedere a "I lampi della magnolia" di Salzarulo è:
http://www.backupoli.altervista.org/article.php3?id_article=327
"La fede opaca di Fortini" è nel PDF del n. 6 di Poliscritture al link:
http://www.backupoli.altervista.org/IMG/Polis_6_def.pdf
A Donato Salzarulo: vorrei fare i miei complimenti: è molto bello questo esperimento in giro per le classi con "I lampi della magnolia". Davvero un saggio-lezione di spirito fortiniano.
Grazie del link. L'ho molto apprezzato- erminia passannanti
Grazie a lei, cara Passannanti, che ha avuto la pazienza di leggere. Ha ragione, "I lampi della magnolia" è il risultato di un esperimento molto bello. E' un esercizio di lettura, devo dirle, che ha avuto anche abbastanza fortuna. E' stato, infatti, ripreso da riviste scolastiche coon l'obiettivo di stimolare la lettura di poesie a scuola. Ancora grazie per l'apprezzamento.
Donato
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